Il vertice per salvare l’euro è cominciato. E c’è già un accordo comune. Non si vuole arrivare all’apertura dei mercati di lunedì con un nulla di fatto. «È troppo importante, se non giungiamo almeno a un accordo sulla tassa sulle transazioni finanziarie, i mercati ci sbranano», dice uno degli sherpa spagnoli presenti al Palazzo Justus Lipsius di Bruxelles. Come era stato al G20 di Cannes dello scorso novembre, uno degli osservati speciali è l’Italia. Dopo la capitolazione della Spagna, che ieri ha avuto il via libera dall’Eurogruppo per l’aiuto finanziario al sistema bancario, si cerca di effettuare un cerchio di protezione per Roma e il suo enorme debito. Nella sostanza, un bailout indiretto.
L’Italia fa paura. Questo è ciò che tutti i membri della zona euro si sono detti non appena arrivati a Bruxelles. Il presidente del Consiglio Mario Monti nei giorni scorsi ha chiesto con forza l’attivazione di uno scudo contro le fluttuazioni eccessive dei differenziali di rendimenti sui titoli di Stato dei Paesi con una buona disciplina di bilancio. Di fatto ha invocato l’uso del fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf) e dello European stability mechanism (Esm), il fondo di stabilità finanziaria permanente che dovrebbe partire il prossimo 9 luglio, con un anno di anticipo. Eppure, l’Efsf già ora può agire sia sul mercato obbligazionario primario (le aste del Tesoro, ndr) sia su quello secondario (la negoziazione fra operatori, ndr), mentre l’Esm avrà questa facoltà una volta approvato.
Sul bailout indiretto dell’Italia c’è solo una sicurezza: se ne discuterà formalmente. Ma non è chiaro che cosa emergerà dalle trattative. Il Commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha ribadito che ci sono i margini per operazioni di questo tipo e che l’area euro dovrebbe intervenire sui mercati primari. Restano i dubbi della Germania e, soprattutto, dei legislatori europei. Per far accedere l’Italia al fondo Efsf dovrebbe infatti esserci una deroga allo statuto, che attualmente prevede l’adozione di un programma di monitoraggio fiscale da parte del Paese richiedente. E Roma non vuole la visita della troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione Ue).
Preoccupa cosa succederà in caso di fallimento del venticinquesimo vertice europeo dal crac di Lehman Brothers, la quarta banca americana crollata il 15 settembre 2008. Come aveva anticipato Linkiesta, il Tesoro italiano ha studio tre scenari nel quale muoversi. «Se non arriva un messaggio chiaro, anche solo una precisa volontà ad andare verso un’unione fiscale, l’Europa potrebbe fare i conti con il salvataggio dell’Italia», ha detto a Linkiesta un funzionario della DG Internal market». L’Italia, spiega il tecnico, è infatti arrivata a Bruxelles chiedendo quello che definisce «un salvataggio indiretto, senza la troika». Come previsto dal secondo scenario del Tesoro, se nel prossimo settembre i tassi d’interesse sui titoli di Stato decennali italiani fossero oltre il 6%, «è possibile che si avvii un programma di monitoraggio da parte di entità esterne, con un eventuale supporto finanziario per reggere l’urto del fly-to-quality e dei downgrade del rating sovrano». Un salvataggio in piena regola, come è stato per la Spagna nelle scorse settimane.
Il timore che ci possa essere un avvitamento della crisi italiana non spaventa però diversi Paese. Uno di questi è la Finlandia, che ha rimarcato per voce del suo primo ministro Jyrki Katainen, che «non ci sono gli spazi operativi per utilizzare i due fondi Efsf e Esm». Per il finlandese occorre perseguire gli obiettivi di bilancio prima del resto, senza concessioni. La stessa posizione è stata presa dall’Olanda, mentre l’Irlanda ha espressamente spiegato, tramite il ministro delle Finanze Michael Noonan, che il summit ha, fra gli altri un obiettivo specifico. «Si sta studiando come portare i tassi d’interesse dei bond decennali italiani intorno o sotto quota 4 per cento», ha detto Noonan, aggiungendo che però non è ancora stato trovato un accordo.
Il rischio che corre l’Italia è grande. Da un lato c’è il timore, sempre più crescente, che Roma possa perdere l’accesso ai mercati obbligazionari per via degli interessi troppo elevati richiesti dagli investitori. Con circa 770 miliardi di euro da rifinanziare sui mercati fra il 2013 e il 2016, più i circa 200 miliardi da qui fino a fine anno, Roma è troppo grande per qualsiasi fondo europeo o internazionale attualmente esistente. «Tutti sanno che l’Italia non può permettersi di fare come la Spagna, ma lo stesso si diceva della Spagna, che non poteva fare come il Portogallo, e via dicendo, fino arrivare alla Grecia, che si diceva che non poteva fallire», dice a Linkiesta un diplomatico italiano sotto animato. Considerando che secondo Goldman Sachs, l’Italia sopra un rendimento del 6% sul Btp decennale è a rischio tenuta, il tempo è sempre di meno. Con le aste di ottobre, novembre e dicembre, spiega la banca d’affari americana, è possibile che si ripresenti lo stesso scenario di un anno fa, quando i rendimenti hanno raggiunti livelli record. Con una differenza: quest’anno la base di partenza è ben più elevata. E se Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno chiesto un sostegno finanziario a quota 7% sui bond decennali, l’obiettivo, spiega Goldman Sachs, per il governo italiano deve essere quello di evitare che si raggiunga a quella soglia.
Ma dall’altro lato c’è l’aumento delle tensioni politiche. Oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha messo in guardia, ancora una volta, i partiti politici, affermando con fermezza che l’unica data per le elezioni è nel 2013. Niente elezioni anticipate, quindi, come era invece circolato nelle ultime settimane. La preoccupazione della Commissione europea è che «non ci possa essere abbastanza tempo per dare un segnale di unità ai mercati finanziari», come spiega a Linkiesta il funzionario. Nota positiva, l’approvazione della riforma del lavoro, i cui dettagli iniziali saranno controllati in questi due giorni.
Se non ci fossero risultati da questo vertice, i percorsi sarebbero pochi. Come ha rimarcato la banca anglo-asiatica HSBC lunedì scorso, per l’Italia potrebbe rendersi necessario un intervento straordinario sul debito pubblico. «Il rapporto debito/Pil è destinato a sfiorare il 130% nel prossimi due anni, nei quali l’economia italiana si contrarrà sensibilmente», spiegano gli analisti. La via d’uscita, anche in vista di un aiuto finanziario esterno, potrebbe essere la riduzione forzosa di parte del debito pubblico. Nessuno degli analisti di HSBC evoca la parola “patrimoniale”, ma il significato è quello. «Una soluzione, sebbene solo con virtù nel breve termine, potrebbe essere un’imposta straordinaria, come accadde nel 1992, a cui affiancare, per un bilanciamento delle politiche nel lungo termine, un supporto finanziario europeo e un progetto di riforme coordinato dal Fondo monetario internazionale», suggerisce HSBC.
L’altra via, quella più drastica del riscadenzamento del debito pubblico, per ora non è stata contemplata. «Nessuno degli sherpa italiani l’ha accennata e si spera che non lo facciano mai», afferma il funzionario della Commissione Ue a Linkiesta. Ma non è detto che, in caso di necessità, la delegazione italiana possa usare questo strumento come minaccia per negoziare i dettagli del bailout indiretto, cioè l’acquisto di bond da parte dei fondi Efsf e Esm.