I piccoli sindaci in marcia contro la spending review

I piccoli sindaci in marcia contro la spending review

Fischietti, striscioni, cartelli e trombette. Ma anche tantissimi gonfaloni e fasce tricolori. Mentre il Senato si appresta a varare la spending review del governo Monti, centinaia di sindaci si ritrovano a Roma per protestare contro i tagli previsti dalla revisione della spesa pubblica. Sul palco di piazza Sant’Andrea della Valle si alternano tanti volti noti della politica italiana: c’è il primo cittadino della Capitale Gianni Alemanno, il collega di Torino Piero Fassino. Anche il leghista Flavio Tosi, giunto a Roma per difendere gli interessi dei cittadini veronesi. Ma la gran parte dei sindaci sono in strada, bandiere in mano. Volti quasi sempre sconosciuti, spesso rappresentano paesi piccolissimi. Qualche centinaio di abitanti. Settentrionali e meridionali: sono arrivati a Roma dal ricco hinterland milanese e dalle valli del Cilento. Ognuno è venuto per raccontare il proprio disagio. Tribunali soppressi, dipendenti comunali in esubero, presidi sanitari a rischio. E tanti, troppi, tagli al Welfare.

Fortunato Zinni è il sindaco di Bresso. Poco meno di trentamila abitanti, qualche chilometro a nord di Milano. «La nostra cittadina – racconta orgoglioso – è famosa perché lo scorso giugno ha ospitato Papa Benedetto XVI e un milione di pellegrini». Esponente di centrosinistra, è alla guida del comune dal 2008. A Bresso gli effetti della spending review si toccano con mano. Fino a quest’anno l’amministrazione cittadina riusciva a integrare le spese per l’affitto di oltre 250 famiglie in difficoltà. «Circa mille euro a famiglia – racconta il sindaco – Ma da quest’anno i fondi a disposizione saranno ridotti da 250mila a 42mila euro». Il risultato: «Potremo aiutare solo una quarantina di famiglie». Intanto la crisi economica continua a mordere. «Noi siamo una zona ricca, qui ci sono fabbriche, negozi. Eppure dieci anni fa erano a rischio circa 500 nuclei familiari su 30mila abitanti. Oggi le famiglie sotto il livello di povertà sono oltre tremila. Gente che non riesce a pagare il mutuo e che ogni giorno rischia lo sfratto». Solo nel 2012 il bilancio comunale di Bresso dovrà fare a meno di altri 300mila euro. «È solo l’ultima riduzione. Negli ultimi tre anni ci hanno tagliato 2,5 milioni di euro». Al sindaco resta poca libertà di azione: «Chiudo una scuola – racconta Zinni – smetto di manutenere le strade, oppure sono costretto ad aumentare le tasse». Una sosta a Roma, per manifestare contro la spending review, poi il sindaco continuerà il suo viaggio verso l’Abruzzo. Domani è atteso nel piccolo borgo di Santo Stefano Sessanio, vicino l’Aquila, dove il terremoto del 2009 ha distrutto la torre medicea simbolo del paese. Il comune di Bresso ha contribuito alla ricostruzione offrendo un euro per ogni cittadino. «Abbiamo raccolto circa trentamila euro che ho consegnato nel dicembre di quest’anno», spiega Zinni, che stasera alloggerà in Abruzzo ospite di alcune famiglie. «Così ne approfitto e pago un viaggio solo. È questa la vera spending review».

Annino Del Principe è un giovane consigliere comunale di Pescasseroli, provincia dell’Aquila. Poco più di duemila abitanti al centro del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Un paese che vive principalmente di turismo, tanto che in estate il numero degli abitanti cresce fino a 20mila unità. Qui il problema «più impellente» è legato alla giustizia. «Il governo ha deciso di chiudere il tribunale di Sulmona. La nostra speranza era quella di essere accorpati ad Avezzano, ma sembra che chiuderà anche quell’ufficio giudiziario. Rischiamo di finire all’Aquila, a oltre cento chilometri di distanza. Con tutti problemi legati alla viabilità: da noi di inverno nevica, anche parecchio». Non ci sono solo i timori legati alla riorganizzazione della geografia giudiziaria. «Il nostro comune – continua Del Pennino, esponente di una lista civica bipartisan – è sottodimensionato nell’organico. Mancano vigili urbani, operatori ecologici. In questi giorni dovremmo dipingere le strisce dei parcheggi. Ma mancano gli addetti. Dopo le ultime riforme del governo dobbiamo fare i salti mortali anche per assumere un dipendente part time per un solo mese».

Tra tante fasce tricolori, una toga. È quella di Doriana Piccirilli, avvocato del foro di Avezzano. Anche lei è arrivata a Roma per manifestare contro la decisione di tagliare il tribunale, che sarà accorpato all’Aquila. «Ma nell’ufficio giudiziario del capoluogo – racconta – non c’è posto per tutti. Per il semplice fatto che L’Aquila è una città terremotata, il centro storico non esiste più. Il tribunale è stato trasferito nella zona industriale». Peraltro dalla cancellazione dei tribunali abruzzesi di Sulmona e Avezzano («un foro che vanta una storia secolare») non deriverà alcun risparmio. «Solo tanti aggravi di spesa, tutti sulle spalle dei cittadini. Penso, ad esempio, a un normale certificato antimafia. Oggi per ottenerlo basta pagare un bollo. Da domani tra autostrada e benzina per arrivare fino all’Aquila si dovranno sborsare tra i sessanta e i settanta euro. Solo per un certificato. È chiaro che così il nostro territorio è destinato a morire».

Maurizio Filipucci è il sindaco di Conselice, 10mila abitanti in provincia di Ravenna. Espressione del Partito democratico, guida la cittadina da oltre otto anni. Una realtà virtuosa. «Io ho pagato tutte le imprese che hanno lavorato per noi – racconta il sindaco con fierezza – Conselice non ha debiti con nessun fornitore». Eppure il comune non può spendere tutti i soldi che ha in cassa. Per colpa dei vincoli imposti dal patto di stabilità. «Ma noi i sacrifici li abbiamo già fatti – spiega Filipucci – L’accorpamento dei piccoli ospedali? Per noi è diventato realtà a metà degli anni Settanta. Oggi abbiamo tre strutture in quasi venti città. Eppure siamo trattati tutti allo stesso modo. Anche se i comuni italiani non sono uguali. Perché il governo non si occupa delle diverse realtà? Istituiscano delle commissioni per capire come sono messe le amministrazioni comunali. Ci vogliono verifiche». Si parla di problemi reali, la politica non c’entra. «Io sono di centrosinistra, ma conosco tanti colleghi di centrodestra con gli stessi identici problemi».

Da Nord a Sud. Il vicesindaco di Teggiano Daniele Manzolillo si aggira nervoso per la piazza. È venuto a Roma per rappresentare i suoi ottomila abitanti in provincia di Salerno. «I tre pilastri della nostra democrazia sono l’istruzione, la sanità e la legalità – racconta – Ma il governo ci sta togliendo le scuole, gli ospedali e il tribunale, che altro devono fare?». In città il presidio di emergenza è a rischio. Mentre il tribunale di Sala Consilina sarà accorpato a quello di Lagonegro («Una città più piccola della nostra e in un’altra regione, la Basilicata»). Manzolillo alza la voce: «Razionalizzare va bene, ma bisogna conoscere i territori. Troppo facile prendere una cartina e fare i tagli da Roma. Ho sentito che il ministro Severino in merito all’accorpamento dei tribunali si è giustificata dicendo che c’è l’alta velocità. Ma lo sa che da noi non esiste nemmeno la ferrovia?».

Tra le poche donne sindaco c’è Sabina Mucchi, primo cittadino di Migliarino, Emilia Romagna. È arrivata nella Capitale questa mattina insieme ad alcuni colleghi della bassa ferrarese («siamo partiti in treno da Bologna e torniamo nel pomeriggio» ci tengono a specificare). «Il progetto della spending review? Per noi è un’altra pesante manovra. Se il nostro piccolo comune di 3.700 abitanti era già in ginocchio, adesso le cose andranno ancora peggio». Il sindaco Mucchi si lamenta per i tagli lineari, che costringono ai sacrifici anche i comuni più virtuosi. «Il risultato? Non ho più le risorse per garantire istruzione e sanità. Ogni giorno devo decidere se tappare una buca per strada o aggiustare un lampione rotto». Il tutto mentre la crisi economica colpisce i cittadini. «La disoccupazione da noi ha raggiunto livelli che non si vedevano da vent’anni. Ormai noi sindaci facciamo più assistenza sociale che politica».

Tagli su tagli, alcuni primi cittadini temono di dover licenziare i propri dipendenti. È il caso di Clemente Dominici, rappresentante dei centonovanta abitanti di Paganico Sabino, in provincia di Rieti. «La cosa che più mi preoccupa è la mobilità del personale. Presto sarà fissato un parametro tra il numero dei cittadini e i dipendenti comunali. Noi oggi siamo in tre, ma nei paesi vicini c’è anche chi ha un organico di sei, sette persone. Alcuni di loro dovranno essere licenziati». Dominici non nasconde l’amarezza. «A Roma preferiscono non toccare i grandi redditi, piuttosto vanno a colpire chi prende tra i 700 e gli 800 euro al mese». Marcello Ratini, sindaco di Casaprota, ottocento abitanti a pochi chilometri da Paganico è d’accordo. «Sarebbe questo il grande risparmio della spesa del governo Monti? Nei piccoli comuni, sotto i mille abitanti, le giunte sono già state cancellate. Noi siamo tutti sindaci monocratici. Hanno voluto risparmiare sui 48 euro al mese che prendeva ogni assessore. Adesso si pensa di accorpare i comuni più piccoli. Ma lo sanno che noi già abbiamo messo in condivisione gran parte dei servizi? Il mio segretario comunale serve quattro paesi. Persino il pulmino della scuola è in comune. Eppure, chissà perché, i tagli devono partire sempre dal basso…». 

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