In un’intervista al Corriere della Sera Lunghini parla di quello che dovrebbe fare il Pd, e dice che Stefano Fassina, il responsabile economico del partito e suo allievo, lo farà. E la ricetta è veramente inquietante.
Una breve intervista di Giorgio Lunghini, decano dell’economia politica dei tempi, lontani, in cui facevo l’università, rafforza un’impressione che ho maturato da tempo, e che trovo condivisa da molti, sul perché la febbre dello spread non scenda, e la risposta non è l’incertezza sul futuro: è la mancanza vera e propria di un futuro. L’accademia e il dibattito sulla politica economica restano quelli di quei tempi lontani: keynesiani contro monetaristi (che oggi si chiamano neo-liberisti). I mercati invece sembrano fatti di gente della mia generazione, la generazione «punk», e di fronte a questo dibattito non possono che ripetere il ritornello di Jonny Rotten: «No future, no future, no future for you!».
Questo pensano i mercati, e la ricetta di Lunghini della breve intervista sul Corriere conferma che hanno ragione. No future! La ricetta è semplice: patrimoniale progressiva, una bella stoccata alla speculazione (non si sa se andando a prendere a casa gli speculatori, o convocandoli a una convention), e infine lo stato che deve pur fare il lavoro che i privati non vogliono fare, e non solo per la sanità: se le banche non vogliono fare le banche…Insomma, matto in tre mosse.
Sulla ricetta non c’è molto da dire. C’è solo da chiedersi se e fino a che punto sia la linea che ispira il Pd, ed il probabile futuro Ministro dell’Economia. Non lo sappiamo perché in primo luogo non sappiamo qual è la linea del Pd. Possiamo dire che probabilmente la ricetta di Lunghini è estrema, ma sembra contenere tutti gli ingredienti di quella di Fassina. In particolare, le questioni sono due, legate una all’altra: la patrimoniale e il livello di spesa pubblica. La patrimoniale non è un tabù, ma è determinante sapere se viene fatta prima o dopo l’aggiustamento dei flussi di entrate e spese correnti dello stato. Pare saggio asciugare per terra dopo che si è chiusa la perdita d’acqua, e pare stupido fare il contrario. Aggiustamento non significa soltanto avere un buon livello del surplus primario per sostenere gli oneri sul debito, ma anche un livello di spesa pubblica che un sistema produttivo possa tollerare. Prima quindi di ogni patrimoniale c’è da tappare il buco: un patto sociale che risponda alla domanda su quanto e cosa debba essere pubblico, e cosa debba essere privato, e quale debba essere il livello di tassazione sui redditi. Di questo non pare si discuta, e non sappiamo (o almeno io non ho capito) quale sia il parere del Pd.
Qual è il livello di spesa pubblica che viene proposto agli Italiani? Dal 50% al 70% del Pil? E qual è il livello di tassazione: dal 50% al 70% del Pil? Il mio parere è che nessuno investirebbe un euro in un paese retto da un patto sociale così. Ma probabilmente un imprenditore del Pd la pensa diversamente. E comunque, qui non discutiamo del contenuto, ma della trasparenza. Quant’è la spesa e il carico fiscale secondo la proposta del Pd? Se, come Lunghini lascia intravedere, anche qualche banca dovrà finire sul conto spese del contribuente, per insegnare il mestiere alle altre, o per fare il lavoro sporco che le altre non vogliono fare (cioè chiudere i bilanci in perdita), allora forse ci vorrà molto più di una patrimoniale.
Nell’intervista poi c’è la diagnosi della situazione attuale. La teoria dei due Mari: un Mario liberista che ha portato l’Italia in recessione, e un Mario keynesiano, che salverà l’Europa. Su questo i miei pareri sono meno distanti, ma trovo la mistificazione, la distorsione e soprattutto il dogmatismo insopportabili. Il Mario che ci porta in recessione non è liberista, ma propugna l’«economia sociale di mercato», sulla quale lo ricordo discettare, prima della crisi, a colpi di articoli di stampa con banchieri cattolici come Bazoli (ricordo che mi chiedevo: ma a Banca Intesa danno il bonus sulla base delle buone azioni?). Il Mario «sociale di mercato» non mi appassiona, ma non posso dargli nessuna croce su quello che sta succedendo, il futuro è fuori dalla sua portata. Per l’altro Mario, nutro la massima ammirazione, e ne nutro ancora di più perché è stato il mio maestro. Ma non mi risulta che sia keynesiano. Ricordo che ai tempi dell’università, quei tempi, quando keynesiani e monetaristi si tiravano dietro i libri (libri veri) nei seminari, per il divertimento di noi studenti, Mario Draghi era considerato il riferimento della scuola delle aspettative razionali, e la tesi mia e di altri colleghi sull’argomento (ricordo Missale, ad esempio) ne sono la testimonianza.
Il Mario delle aspettative razionali interverrà senz’altro, e soprattutto ora che la Germania ha rinviato a settembre la decisione sul fondo Esm avrà buon gioco a sostenere che la Bce non può tollerare le fluttuazioni e le manipolazioni di un mercato illiquido di agosto. Ma di questo dobbiamo ringraziare Lucas e Sargent, piuttosto che Keynes. Il santino di Keynes teniamocelo per la politica economica prossima ventura del Pd, e, se è quella descritta da Lunghini, consiglio ai credenti di fornirsi anche di santino di santo ufficiale. Per chi invece è felicemente ateo come il sottoscritto, non resta che flemma e rassegnazione.