L’elemento che più di altri scoraggia imprese e lavoratori a ricorrere ai finanziamenti alla formazione è rappresentato, come più volte ricordato, dalla complessità delle procedure. I fondi interprofessionali, dei quali nel capitolo precedente abbiamo tracciato un profilo, sono nati proprio con l’intento di rendere più semplice e flessibile l’iter di gestione dei finanziamenti, avvicinandolo alle esigenze del mondo produttivo. I meccanismi di funzionamento dei fondi necessitano, tuttavia, di un ulteriore approfondimento per coglierne appieno i principali elementi di novità e le molteplici opportunità che possono offrire agli operatori del mercato della formazione.
Prima di addentrarci nell’esame delle varie fasi del processo, è bene fare una premessa: la decisione di presentare un piano formativo condiviso a un fondo interprofessionale dovrebbe essere sempre originata da reali esigenze formative e non già (o non solo) dalla volontà di cogliere opportunità di finanziamento. Partendo da questo presupposto, si minimizzano i rischi di mancato finanziamento e, soprattutto, si hanno maggiori garanzie in merito all’efficacia degli interventi che si andranno a realizzare a fronte dei finanziamenti ricevuti.
Il rischio della corsa al finanziamento, spesso acuito dal non sempre positivo intervento di operatori della formazione e della consulenza che «spingono» le aziende a ricorrere ai fondi senza partire dai reali fabbisogni, può infatti portare, da un lato, alla proposta di iniziative che non vengono valutate dai fondi come idonee al finanziamento in quanto prive di una ragion d’essere, dall’altro alla realizzazione di piani che si rivelano insoddisfacenti per i partecipanti e per le imprese, contribuendo in tal modo a diminuire la fiducia della domanda verso la «formazione finanziata».
La descrizione dell’iter del finanziamento si focalizza sui principali step che accomunano le procedure dei fondi interprofessionali. Bisogna comunque tenere presente che molte sono le differenze esistenti, a seconda dei regolamenti interni, del tipo di piano e della modalità di finanziamento, riscontrabili nell’articolato sistema dei fondi. Nel seguito si procede alla descrizione analitica delle fasi di presentazione e gestione di un piano formativo condiviso di tipo aziendale, finanziato mediante conto formazione, riservando una descrizione finale alle peculiarità caratterizzanti le altre modalità, con particolare riferimento agli avvisi.
La tabella 1 descrive il ciclo di vita di un piano formativo e gli attori via via coinvolti. La prima fase è quella nella quale l’azienda verifica l’adesione al fondo e la conseguente attivazione del proprio conto formazione. La verifica può essere fatta contattando il fondo, solitamente mediante l’area riservata nel sito web, alla quale hanno accesso gli aderenti mediante username e password, ovvero attraverso l’Inps. È bene ricordare che possono presentarsi alcuni «sfasamenti temporali» tra l’adesione e il momento in cui presso il fondo risulta effettivamente attivo il conto e ciò a causa dei tempi di trasmissione dei dati (e delle risorse) dall’Inps al fondo. Possono verificarsi, inoltre, problemi nel caso di operazioni societarie di fusione, acquisizione, trasferimento sedi che richiedono tempi tecnici per aggiornare «le anagrafiche» presenti presso l’Istituto di previdenza e i fondi interprofessionali, su questi aspetti si rimanda a quanto previsto dalle circolari Inps (cfr. circolare n. 54 dell’8 aprile 2009 e seguenti).
L’esistenza di un’effettiva adesione rappresenta la condizione necessaria per l’accesso ai servizi del fondo. Pur con tutti i dovuti distinguo relativi alle diverse procedure, nessun fondo consente l’accesso ai finanziamenti senza aver preventivamente acquisito l’adesione. Taluni fondi, con l’intento di attrarre nuovi aderenti, ammettono al finanziamento anche piani formativi presentati da aziende che abbiano aderito in un periodo immediatamente antecedente alla presentazione.
A tal proposito, precisiamo che questi meccanismi «di favore», posti in essere per «avvicinare» aziende potenzialmente aderenti, possono in alcuni casi contribuire a ingenerare comportamenti da free rider da parte degli operatori più intraprendenti. I ben informati, infatti, soprattutto nel caso di partecipazione ad avvisi, possono agire con rapide adesioni e revoche per sfruttare le occasioni che via via si presentano, di fatto facendo venir meno le finalità di tipo solidaristico alla base del funzionamento dei fondi. È, quindi, necessario – anche a fronte delle recenti innovazioni normative che prevedono una progressiva apertura alla concorrenza tra fondi e la possibilità di trasferire i crediti 0,30% residui da un fondo all’altro – potenziare i meccanismi di coordinamento tra i fondi in modo tale da impedire (e sanare) comportamenti poco corretti e contrari allo spirito dell’intero sistema1.
Dopo aver verificato l’adesione, l’azienda dovrà riscontrare l’effettiva attivazione e la capienza del proprio conto formazione. Le procedure in alcuni casi stabiliscono delle soglie minime di accesso, ad esempio per classe dimensionale, al conto formazione. A volte, è possibile presentare piani formativi anche quando la capienza del conto non è sufficiente a coprire «integralmente» l’ammontare massimo del finanziamento ammissibile a fronte dei costi complessivi del piano. Si parla in questo caso del cosiddetto «piano di rientro». Trattasi della possibilità di presentare un piano le cui risorse saranno rimborsate dal fondo all’azienda, sulla base dei successivi trasferimenti Inps sul conto formazione.
In merito all’ammontare del conto formazione, ricordiamo che l’entità delle somme disponibili dipende dal numero dei dipendenti in forza e dal monte salari complessivo. I fondi hanno attivato meccanismi che prevedono un termine per l’utilizzo delle somme accantonate su un singolo conto formazione (di norma due/tre anni) alla scadenza del quale le risorse inutilizzate vengono stornate sul conto di sistema (fondo indistinto) e, quindi, destinate a finanziare gli avvisi o altre iniziative strategiche e solidaristiche rivolte a particolari tipologie di aderenti (in primis Pmi) o tematiche formative.
Verificate le condizioni necessarie per la presentazione, si passa alla predisposizione del piano formativo condiviso. Per molti fondi questa fase, similmente alle precedenti, è svolta attraverso il ricorso a un’interfaccia web che permette la compilazione in tempo reale (se necessario, in più sessioni di lavoro) delle diverse sezioni della proposta formativa, in altri casi sono disponibili sui siti appositi format elettronici, da compilare off line. I formulari differiscono da fondo a fondo, nel seguito si descrivono gli elementi comunemente riscontrabili.
Per prima cosa si attribuisce un titolo al piano, una denominazione (sovente un acronimo) il più possibile rievocativa dei contenuti dell’iniziativa. Si procede, quindi, a indicare la tipologia prescelta (aziendale, territoriale, settoriale o individuale). Alcuni fondi prevedono la possibilità di presentare due tipologie di piani aziendali: i piani aziendali semplici, ovvero volti a soddisfare esigenze formative di lavoratori appartenenti a una sola impresa e i piani «di gruppo», nei quali la holding presenta un piano per i fabbisogni del personale di più aziende controllate. In questo secondo caso la capogruppo dispone, limitatamente al piano in questione, delle somme accantonate sui conti formazione delle singole controllate. Quest’ultima possibilità risulta particolarmente apprezzata dai gruppi poiché permette una semplificazione delle procedure e una opportuna aggregazione dei fabbisogni che, nei fatti, ricalca quella ordinariamente svolta dalla controllante rispetto alle controllate.
L’alternativa sarebbe quella di presentare un numero di piani formativi pari a quello delle imprese facenti parte del gruppo, con conseguente dispendio di risorse ed energie
Nello step successivo si immettono/confermano i dati anagrafici dell’azienda (settore, dimensione, sede legale e operativa, dati fiscali, numero dipendenti, ecc.) solitamente già presenti nel data base del fondo in quanto comunicati dall’Inps in sede di adesione. Queste indicazioni sono necessarie non solo per stabilire il possesso o meno dei requisiti di accesso, ma anche per le esigenze di monitoraggio e controllo imposte ai fondi dalla regolamentazione ministeriale.
Si passa, quindi, alla compilazione delle parti del formulario che riguardano: obiettivi e finalità, analisi della domanda, intervento formativo, monitoraggio e valutazione, dimensioni del piano e del finanziamento. In queste sezioni, oltre a descrivere i contenuti del piano, è necessario effettuare una serie di opzioni per classificare gli interventi formativi previste dalle tassonomie ministeriali (e da quelle del fondo), sempre per esigenze di monitoraggio, specificando con attenzione natura, caratteristiche e riferimenti delle strutture formative coinvolte nell’erogazione della formazione.
Quest’ultima scelta riveste una rilevante importanza in sede di valutazione ed è strettamente legata anche al rispetto della normativa per quanto riguarda l’accreditamento delle sedi formative. È, infatti, necessario indicare le caratteristiche degli organismi prescelti per erogare la formazione, nonché il possesso da parte di questi di certificazione o accreditamento. Su questo aspetto, come già accennato, le procedure possono prevedere il completo rimando alla normativa sull’accreditamento, in altri casi consentono anche un accreditamento interno (con procedure di qualificazione definite dal fondo), ovvero ammettono l’utilizzo di strutture formative non accreditate o certificate, a patto che nel piano se ne motivi la scelta (e si abbia il consenso delle parti) sulla base di comprovate esigenze.
Strettamente legato al tema della qualità è quello del sistema di controllo e monitoraggio del piano, che va descritto in modo dettagliato in sede di presentazione. Si specificheranno, quindi, tutti gli strumenti utilizzati per soddisfare le esigenze minime imposte dalla normativa (monitoraggio ministeriale), nonché quelli «aggiuntivi» eventualmente previsti dal fondo o dall’azienda stessa per garantire il buon andamento quali-quantitativo del piano rispetto agli obiettivi (cfr. infra, cap. 6).
Prima di giungere alla compilazione del preventivo economico, è necessario riepilogare le dimensioni del piano, vale a dire le ore di formazione che si intende complessivamente erogare, le ore previste per le attività «connesse alla formazione» (analisi del fabbisogno, valutazione, monitoraggio ecc.), nonché la data di inizio e fine delle attività formative, fino ad arrivare alla durata complessiva del piano. Si tratta di elementi importanti, sia ai fini del monitoraggio, sia per la valutazione della congruità del piano che sarà effettuata dal fondo.
La redazione del preventivo economico, per la quale ciascun fondo stabilisce peculiari previsioni e vincoli, è da effettuarsi tenendo conto dell’equilibrio tra risultati attesi e costi dell’intervento ed è essenziale per una buona valutazione (e riuscita) del piano formativo (cfr. supra § 3.3). Senza entrare nello specifico dei vari regolamenti, si evidenziano alcune questioni in merito. La prima riguarda l’utilizzo o meno di parametri/massimali di costo per ciascuna tipologia di attività ricompresa nell’ambito del piano formativo. Così, ad esempio, potranno essere previsti tetti di spesa per viaggi, docenze, aule, e così via. In più, alcuni fondi stabiliscono uno stretto legame tra questi parametri e quanto previsto dai regolamenti dei finanziamenti pubblici. Altri fondi, al contrario, lasciano maggiore libertà nella stima dei costi, riservandosi comunque una valutazione della congruità delle singole voci di spesa e del più generale equilibrio del piano finanziario. Altri ancora prevedono percentuali massime per macro voci di spesa, come ad esempio le spese generali, le azioni propedeutiche o la progettazione, rispetto al totale dei costi del piano.
Una seconda questione è quella relativa al contributo dell’azienda ai costi totali del piano formativo. Sebbene nel caso di finanziamento con conto formazione non si applichi la normativa sugli aiuti di stato alla formazione, i regolamenti dei fondi prevedono che l’impresa debba contribuire almeno in parte alla copertura degli oneri complessivi del piano (vengono fissate delle percentuali minime di contribuzione) per avere accesso al finanziamento. La partecipazione aziendale solitamente si sostanzia in un apporto figurativo, «in kind», imputando come cofinanziamento il cosiddetto «mancato reddito» (costo orario personale in formazione x n. ore di formazione); in altri casi la contribuzione può anche essere di tipo finanziario.
Altra fase del processo è la condivisione del piano tra: l’azienda e la rappresentanza interna dei lavoratori (se presente), ovvero le organizzazioni delle parti sociali competenti per territorio/settore. Nel primo caso, si parla di condivisione «interna» del piano, nel secondo di condivisione «esterna». Solitamente nelle imprese di minori dimensioni, non dotate di rappresentanza interna dei lavoratori, si ricorre alla condivisione esterna. A livello pratico, la condivisione può essere effettuata, apponendo le firme delle rappresentanze datoriali e sindacali in una sezione dedicata del formulario di presentazione, ovvero mediante un accordo separato. Con la condivisione le parti esprimono il proprio assenso sulla natura e le finalità del piano, nonché su destinatari, contenuti, modalità di realizzazione e risultati. Si impegnano a garantire il livello qualitativo delle iniziative, a vigilare sul corretto andamento delle attività e a proporre eventuali interventi correttivi per garantire la coerenza con gli obiettivi. La condivisione è un aspetto fondante dell’intera impalcatura del sistema dei fondi interprofessionali, tuttavia, viene non di rado sottovalutata e considerata come un’«appendice» dagli operatori.
Affinché la condivisione con le parti non resti un mero elemento formale, è necessario che le parti svolgano effettivamente l’importante ruolo loro assegnato nell’ambito del sistema dei fondi. Alle parti spetta, infatti, il compito di interpretare e agire per soddisfare il fabbisogno delle imprese e dei lavoratori, nonché di monitorare e valutare gli elementi quali-quantitativi del piano formativo non solo ex post ma anche ex ante e in itinere.
La condivisione non può e non deve rappresentare l’unico momento in cui le parti sono chiamate in causa. È necessario che le organizzazioni che hanno condiviso il piano siano costantemente informate e abbiano un ruolo attivo durante tutto lo svolgimento dell’iniziativa e nella sua valutazione. Per agevolare questo positivo coinvolgimento, a volte si prevede l’istituzione di una apposita figura, quella del responsabile del piano che, su designazione delle parti, svolge funzioni di governo e controllo dell’intero processo fungendo da garante degli esiti qualitativi e quantitativi dell’iniziativa, in altri casi le stesse funzioni del responsabile possono essere affidate a commissioni/comitati a composizione paritetica.
Le esperienze sul campo non evidenziano particolari problematiche nella condivisione di piani aziendali, in quanto in merito alla formazione si rileva una sostanziale convergenza tra interessi dell’impresa e dei lavoratori accomunati dall’esigenza di sviluppo della professionalità ed aumento della competitività. Qualche difficoltà si riscontra nel caso di piani territoriali/settoriali finanziati mediante avvisi, che vedono la partecipazione di un cospicuo numero di imprese. In questo caso si presentano maggiori problemi sul fronte organizzativo nel rilevare il fabbisogno del territorio o del settore, nel selezionare gli enti attuatori (centri di formazione) in grado di erogare al meglio l’intervento formativo, nonché nel valutare e monitorare i risultati complessivi.
La condivisione è l’aspetto che più di ogni altro ci fa comprendere i legami dei fondi interprofessionali con il sistema delle relazioni industriali. Pur con i problemi tipici di una realtà ancora relativamente recente, ci sembra di poter dire che i fondi rappresentano un elemento di positiva e sostanziale innovazione nell’ambito del quale le parti non sono contrapposte, ma agiscono secondo una logica di partnership. Le sfide su questo fronte riguardano le competenze delle rappresentanze che devono progressivamente migliorare l’efficacia della propria azione nella progettazione, gestione, monitoraggio e valutazione dei piani. In tale direzione dovranno concentrarsi gli investimenti delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro affinché queste possano, allo stesso tempo, fornire servizi realmente innovativi (anche sul fronte formativo) e garantire una efficiente ed efficace governance del sistema.
Riprendiamo ora la descrizione dell’iter del finanziamento, giungendo alla presentazione del piano formativo. Come per le altre fasi, anche per questa, si rilevano notevoli differenze tra le procedure previste dai fondi. Le principali riguardano le modalità di trasmissione: cartacea, via web (su piattaforma dedicata), con l’invio di file via e-mail, oppure con un mix di modalità (spesso è prevista a una doppia trasmissione, elettronica e cartacea). Le imprese tendono a preferire la trasmissione elettronica perché permette di ridurre i tempi che intercorrono tra la rilevazione del fabbisogno, la decisione di intraprendere la progettazione e l’effettivo inizio della formazione. È altrettanto importante per i fondi avere i formati elettronici dei piani per avere tempi più rapidi per valutare il piano e dare il via al finanziamento.
I regolamenti dei fondi stabiliscono tempistiche precise in merito alla presentazione. Viene, infatti, richiesta la trasmissione del piano in un periodo antecedente all’inizio delle attività formative (da giorni, fino ad alcune settimane, a seconda della tipologia dei piani) in modo tale da poter completare la valutazione prima dell’avvio della formazione. Questi limiti temporali (molto più stringenti nel caso di avvisi) spesso confliggono con le esigenze di rapidità delle imprese. Per questo motivo, negli ultimi tempi, i fondi stanno provvedendo a una decisa riduzione dei termini. La data di presentazione è, inoltre, importante anche ai fini del riconoscimento delle spese. In taluni casi, possono essere ammessi anche costi che riguardano attività svolte prima della formale presentazione, purché sostenuti al più tardi entro una certa data (si pensi, ad esempio, alle spese per l’analisi del fabbisogno o alla progettazione).
Dopo la presentazione, si procede con la valutazione del piano. Questa fase può essere svolta da personale interno (struttura) del fondo, o da comitati/comparti/commissioni composti da rappresentanti delle parti sociali ed esperti appositamente nominati. In molti casi si ricorre a una soluzione mista, affidando il controllo formale alla struttura e quello di merito alle commissioni. La valutazione è l’elemento che più di ogni altro legittima e qualifica il ruolo dei fondi, ai quali spetta il compito di vagliare la bontà delle proposte formative, il reale coinvolgimento delle parti, gli obiettivi attesi e, più in generale, la coerenza tra costi e benefici del piano. Attraverso la valutazione i fondi svolgono, quindi, le funzioni di indirizzo e promozione della formazione loro affidate dalla normativa e della stessa volontà delle parti.
La valutazione riguarda aspetti formali e sostanziali del piano. Per quanto riguarda i primi, si tratta di valutare la conformità dei progetti alle procedure e alla normativa. Si verificano i tempi, la corretta compilazione dei formulari, la presenza della condivisione, l’esplicitazione dei destinatari e dei risultati attesi, la completezza del piano finanziario e tutta la documentazione trasmessa. Più complessa, invece, è la valutazione di merito, che riguarda la qualità del piano formativo, la coerenza tra obiettivi, modalità formative e contenuti, l’analisi della domanda, i meccanismi di monitoraggio, controllo e valutazione previsti, nonché la congruità dei costi rispetto alle azioni e ai risultati attesi.
L’esito della valutazione (formale e sostanziale) può essere di quattro tipi:
•piena approvazione, in quanto il piano rispetta i criteri di conformità formale ed è, nel complesso, qualitativamente soddisfacente;
• approvazione con rimodulazione del finanziamento richiesto, a fronte di valutazione sulla congruità dei costi espressi nel piano finanziario rispetto alle attività previste;
•richiesta di integrazioni nel caso in cui alcuni punti espressi dal formulario risultino non chiari o in presenza di informazioni incomplete che vanno integrate per poter completare l’istruttoria dal punto di vista formale o sostanziale;
•mancata approvazione, quando il piano risulta privo dei requisiti essenziali di forma o palesemente incoerente dal punto di vista qualitativo. Nel caso dei piani aziendali finanziati con conto formazione, vista la loro stretta connessione con le reali esigenze dell’impresa, gli esiti più frequenti sono l’approvazione o la richiesta di integrazioni, alla quale solitamente segue la piena approvazione. Più rari i casi di non approvazione o approvazione con rimodulazione. Molto diversa, come vedremo più avanti, è la valutazione nell’ambito di avvisi, dove le eventualità di una mancata approvazione o di una rimodulazione sono molto più frequenti, anche in forza del meccanismo di selezione pubblica delle proposte.
Al termine della valutazione, l’esito viene trasmesso all’azienda mediante comunicazione formale (sempre più spesso attraverso posta elettronica certificata) e contestualmente, con modalità varie a seconda dei fondi, alle parti sociali che hanno condiviso il piano, ai soggetti attuatori e alle regioni competenti per territorio, nonché al Ministero del lavoro con cadenza periodica (nell’ambito del monitoraggio).
Ricevuta la comunicazione di approvazione l’azienda deve iniziare la realizzazione delle attività entro un termine stabilito dalle procedure del fondo e comunque in conformità al timing previsto dal piano formativo.
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