Pontida. Gli allestiscono una tavola con tovaglia del Carroccio ricamata. Sentono se la Coca Cola è della temperatura giusta. Gli affiancano una sciura biondo platino, vestita di verde, a cui lui rifila subito un bacio sulla guancia appena sceso dal palco. «Serve qualcosa Umberto? Tutto bene? Cosa vuoi mangiare?», gli chiedono a più riprese, accarezzandolo e abbracciandolo.
Angelo Alessandri, l’ex presidente federale, gli mette in braccio il suo bimbo. Bossi gli fa una carezza. Sorride. Poi, a chi scatta le foto, un militante ordina: «Non quando mangia, mi raccomando!». E Alberto Torrazzi, deputato di Crema, prende in disparte Stefano Cavicchi, il fotografo che immortalò il Capo da solo alla festa di Trescore Cremasco. Glielo ripete tre volte. «Fai le foto bene, mi raccomando, niente scherzi».
Dopo gli scandali del Tanzaniagate, tra paghette ai figli e la finanza creativa del tesoriere Francesco Belsito, dopo la parabola di Re Salomone al congresso federale di Assago, i militanti della Lega Nord riabbracciano Umberto Bossi. Lo fanno a Pontida, a due passi dal sacro suolo, durante la consueta festa che si svolge qui in agosto. Qualcuno, maligno, lo sussurra: «Intanto Maroni se ne sta in Sardegna con la barca!». Ma è una voce che cade nel vuoto.
La festa nella bergamasca non ha niente a che vedere con il raduno storico che quest’anno è saltato. Se ne riparlerà nel 2013, come stabilito dal segretario federale Roberto Maroni. Sul pratone c’è la scritta. «Bossi Pontida 2012». Nulla di speciale. «C’è ogni anno», ricorda chi se ne intende. Ma la sagra sotto i tendoni che si svolge da anni in questa cittadina tanto cara alla Lega, tra balli, salamelle e tombolata, diventa quasi «un giuramento in miniatura», con i leghisti che accorrono per perdonare e coccolare il loro Umberto.
Lui torna finalmente a sorridere. A smorzare le teorie complottiste che è andato ripetendo in questi giorni. «Non credo ai complotti delle banche federali, inglese e americana, l’euro è fallito da solo», spiega, evitando per una volta di parlare dei «complotti» per distruggere la Lega. Bossi arriva a dire persino che «serve la via democratica per arrivare alla macroregione del Nord, niente via militare, che si fanno troppi morti». I quattrocentomila bergamaschi «incazzati» con fucile e baionetta sono rimasti a casa, a Gemonio.
Intorno a lui ci sono l’ex presidente della provincia di Como Leonardo Carioni, l’onorevole Torrazzi e l’ex presidente federale Angelo Alessandri, insieme con qualche dirigente bergamasco. Sono quelli del bar di Laveno, anche se di cerchio magico c’è poco o nulla. Pierguido Vanalli, il sindaco, maroniano di ferro, lo dice al termine del discorso del Senatùr. «Dicevano che dove andava Bossi non c’era nessuno, guardate qui quanta gente che è venuta». Boato. Applausi. Il Vecchio (nuovo appellatito dopo il Capo ndr) aggiunge: «Son stato in Trentino, anche lì c’era tanta gente che mi voleva bene».
Il popolo leghista è tornato a voler bene all’Umberto. Dei diktat del prosindaco di Treviso Giancarlo Gentilini («Bossi non parli alle feste» ndr) non importa poi molto a nessuno. Non è un caso che il presidente federale abbia scelto proprio questa festa per trascorrere il Ferragosto. «È sempre piena di gente», spiega un dirigente di via Bellerio. E tra una grigliata di carne, una tombolata con in palio persino una bicicletta padana (sic!), i leghisti sembrano dimenticare in un colpo solo tutti i misfatti che hanno caratterizzato la primavera in procura, tra l’ex tesoriere Belsito, le spese per la famiglia, la paghetta ai figli, Renzo e Riccardo.
«I miei figli non hanno rubato niente, me lo hanno detto quelli della società a cui abbiamo dato i bilanci», dice proprio Bossi a un certo punto dal palco. La gente forse non gli crede. Ma applaude. Annuisce. Il Trota è lontano. Non importa più a nessuno. «Starà arando i campi», commenta un vecchietto che si beve una grappa.
Un piatto di carne sotto il tendone costa sette euro. Tre costine, uno spiedino e una salamella. C’è la fila per mangiare e per bere. In un’altra sala vanno in scena balli di liscio. C’è la bancarella classica dove si possono acquistare le magliette Prima il Nord. Quando si entra nel tendone i bergamaschi ti accolgono al grido «Viva Bossi, viva Bossi». La signora che spilla la birra intorno alle nove di sera non ce la fa più: «Sono qui dalla undici del mattino, sono proprio stanca, ma quanta gente per l’Umberto però!».
Non sono qui tutti per il presidente federale i leghisti. Mentre lui parla qualcuno gioca alle giostre. Altri fanno la coda per mangiare uno stinco di maiale con polenta. Un vecchietto guarda commosso il palco con gli occhi lucidi. «Lo seguo da vent’anni, gli voglio un bene dell’anima, anche se ha sbagliato», spiega smorzando l’emozione.
Qualche applauso il popolo padano lo dedica al Vecchio. Quando parla dei farabutti romani. Quando il Senatùr, come faceva sempre durante il giuramento sul pratone, chiamava il coro. «Padania? Libera!». E poi Bergamo: «Libera!». E ancora Pontida. «Libera!». Al Senatùr scappa una battuta. «Difficile che diventi libera questa città con un sindaco romanista!», scherza Bossi ricordando la fede calcistica di Vanalli.
I ragazzi della Brianza che lo seguono dappertutto sventolano fino allo sfinimento le bandiere con la scritta Bossi. Qualcuno porta una maglietta. «C’è un solo capo». Il Senatùr parla anche della storia d’Italia. «I Savoia sono dei massoni». Ricorda «il Mazzini», «il Cavour». In pochi capiscono qualcosa, la voce al solito va e viene, ma poi torna a invocare la pace dentro al movimento “Noi non possiamo litigare nella Lega perche’ vorrebbe dire aiutare Roma. Non tollero che per un posto a me o a Maroni ci si metta a litigare». E quindi la massima: «Nella Lega io ci sono. Non ho bisogno di titoli. Sono Bossi».
Certo, nel discorso c’è sempre un riferimento velato al fatto che tutti gli scandali sono stati pompati ad arte per distruggere la Lega. «Tutto quello che è stato fatto è stato fatto per farci litigare, non per altri motivi. Non potevano colpire me e hanno cercato di farlo attraverso i miei figli». Quindi ricorda l’incontro con l’avvocato Gianni Agnelli, quando «ero andato alla Fiat per comprare un’auto usata. Lui sapeva che eravamo lì e ci ha invitato a casa a prendere un caffè».
Alla fine, l’unica preoccupazione che resta, è quella di un deputato: «Maroni deve dirci se il patto con Bossi vale per tutto. Nessuno tra Chiappori o la Goisis vuole andare con il Pdl, non vogliamo vendette». Morale della favola? Alle elezioni del 2013, quando si decideranno le candidature non ci siano scherzi all’ultimo minuto. Con un Bossi più docile e meno battagliero, forse, sarà più facile anche per Maroni.