Non c’è solo Goldman Sachs ad aver tagliato la propria esposizione sull’Italia. Anche J.P. Morgan ha fatto lo stesso, secondo la Securities and exchange commission (Sec), l’authority di vigilanza finanziaria americana. Dai 3,7 miliardi di dollari (3 miliardi di euro) di fine marzo, il peso dei bond italiani è stato portato ai 2,8 miliardi di dollari (2,28 miliardi di euro) del 30 giugno scorso. Ma le due banche americane non sono le sole ad aver ridotto la presenza dell’Italia nei propri portafogli d’investimento. Secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), fra 2010 e 2011 l’esposizione delle banche europee su Roma è calata di quasi 94 miliardi di euro.
La mossa di J.P. Morgan era prevedibile. Complice lo scandalo che ha colpito la banca di Jamie Dimon – la colossale perdita su alcune classi di derivati finanziari – si è deciso di ridurre al minimo le situazioni di rischio. «La crisi della zona euro è destinata a intensificarsi nei prossimi mesi», sottolineava J.P. Morgan alla Sec. In virtù di questo, è arrivata la scelta di proteggersi. Nonostante sarebbe facile pensare che J.P. Morgan abbia tagliato prevalentemente l’esposizione ai bond italiani, non è così. Al 30 giugno 2012 sono i titoli non sovrani, cioè partecipazioni, corporate bond e quote in fondi d’investimento, a essere stati oggetto della riduzione maggiore. Dai 4,3 miliardi di dollari (3,5 miliardi di euro) del 31 marzo 2012 si è passati ai 300 milioni di dollari (244,7 milioni di euro) di fine giugno. E il mistero aumenta, dato che non è pervenuto alcun commento dai vertici della banca su questa scelta.
Tuttavia, non tutte le banche americane hanno ridotto la propria esposizione ai bond governativi italiani. Un esempio? Citigroup. Analizzando i dati della Sec, emerge che nel secondo trimestre dell’anno nel portafoglio di Citigroup ci sono state nuove posizioni per 300 milioni di dollari (244,7 milioni di euro). Si è passati infatti da un’esposizione di 500 milioni di dollari (407,9 milioni di euro) al 31 marzo a una di 800 milioni di dollari (652,6 milioni di euro) al 30 giugno. La crisi dell’eurozona è però destinata a far ridurre questi valori, come spiega la stessa banca nella nota inviata alla Sec. «Le tensioni nei Giips (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna, ndr) saranno mitigate da una mitigazione del rischio più spinta entro la fine dell’anno», ha fatto notare Citigroup.
Come Goldman Sachs e J.P. Morgan anche uno degli altri colossi bancari statunitensi, Morgan Stanley, ha chiuso quanto possibile sull’Italia. Al 30 giugno l’esposizione netta era in negativo per 235 milioni di dollari (191,7 milioni di euro), in aumento rispetto ai 176 milioni di dollari (143,6 milioni di euro) del 31 marzo scorso. «Le preoccupazioni intorno a Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia si sono intensificate dall’inizio dell’anno, pertanto abbiamo optato per una più cautelativa riduzione del rischio tramite hedging», ha spiegato Morgan Stanley.
Gli americani si fidano poco dell’Italia, ma anche i francesi non sono da meno. Analizzando i dati della European banking authority (Eba), l’organo di vigilanza bancaria europea, è emerso che le tre maggiori banche transalpine, Bnp Paribas, Crédit Agricole e Société Générale, hanno ridotto del 44% l’esposizione ai titoli di Stato italiani nell’arco di un anno. Come Goldman Sachs, anche SocGen è uno degli advisor del Tesoro per la valutazione delle partecipazioni statali in Fintecna, Sace e Simest in vista della cessione alla Cassa depositi e prestiti. Eppure, anche lei si è dovuta coprire dal rischio di un deterioramento della situazione italiana.
Nel complesso emerge un quadro di generale sfiducia nel confronti dell’Italia. L’ultimo rapporto trimestrale della Banca dei regolamenti internazionali, pubblicato in giugno, lo ha evidenziato al meglio. Se al 31 dicembre 2010 l’esposizione complessiva delle banche europee nei confronti dell’Italia era di 998,676 miliardi di dollari (814,714 miliardi di euro), un anno dopo si è passati a 883,162 miliardi di dollari (720,478 miliardi di euro). In sostanza, posizioni per 94,236 miliardi di euro sono state o chiuse o coperte da derivati di credito, come i Credit default swap (Cds), le assicurazioni che mitigano il rischio d’insolvenza di un emittente. Di contro, è aumentata l’esposizione delle banche non europee: si è passati dai 324,447 miliardi di dollari (264,682 miliardi di euro) di fine 2010 ai 370,954 miliardi di dollari (302,622 miliardi di euro) di fine 2011. La verità si saprà solo con il prossimo report, quando si avrà il quadro della prima parte del 2012. Il timore è che le raccomandazioni delle banche americane vengano rispettate.