BERLINO – Passeggiando davanti alle edicole tedesche, da alcune settimane si assiste a un fenomeno che, per gli habitué dei media teutonici, appare quantomeno singolare. I titoli della stampa “colta” (Frankfurter Allgemeine; Süddeutsche Zeitung; Die Welt) somigliano sempre più spesso a quelli della stampa “popolare” (Die Bild Zeitung; B.Z. di Berlino). Il tema è quello della crisi dell’eurozona: in una sopraffina unità di vedute, sembra che il dibattito “ultra-borghese” della difesa dell’euro, con il corollario della pace dei popoli in Europa, si sia inchinato a una forma di populismo ben più cara alle masse.
L’unità di vedute riguarda un tema preciso: l’euro, anche se ha stimolato le esportazioni tedesche, imporrebbe adesso alla Germania oneri di sostegno finanziario che non merita. Non sarebbe un problema della Germania se Grecia, Spagna e Italia sono in crisi. Gli attacchi contro la decisione di Angela Merkel di partecipare ai fondi salva-Stati sono giunti sia dall’”alto”, che dal “basso”. Esternano le proprie posizioni rappresentanti di una nuova onda intellettuale, che si fa beffe del “politically correct” post-1945, per sbattere in faccia al lettore opinioni pungenti e populiste.
L’anima nera del “intellipop” tedesco, anche nel caso dell’euro, è rappresentata da un viso conosciuto: Thilo Sarrazin. Il suo libro del 2010 “Deutschland schafft sich ab” (“La Germania si smonta”), con tesi dirette e controverse contro l’immigrazione musulmana, ha venduto oltre un milione e mezzo di copie. La sua nuova opera,“Europa braucht den euro nicht” (“L’Europa non ha bisogno dell’euro”), è entrata rapidamente in classifica.
La tesi di Sarrazin è che l’euro sia un “corsetto” che impone unità non solo fiscale, ma anche politica a popoli la cui cultura è estremamente diversa. Ci sono stati problemi perfino per il ritorno a una valuta comune tra Est e Ovest tedesco: un’idea come quella di costringere Atene e Berlino a usare la stessa moneta è una follia. In fondo, per la Germania gli svantaggi dell’euro supererebbero i vantaggi: costringere i tedeschi a prestare “credibilità finanziaria” al Sud Europa è lo scotto che il Paese deve pagare per le sue colpe storiche – e nell’occasione Sarrazin si permette anche di citare l’Olocausto. Da parte degli intellettuali classici, una posizione era stata presa dal filosofo Jürgen Habermas, in un pamphlet uscito lo scorso novembre: “Zur Verfassung Europas” (“Della Costituzione europea”).
Nello scritto si criticano le reazioni “spesso populiste” della politica, che rischierebbero di far crollare il progetto europeo. Tra Sarrazin e Habermas – e non sorprende – è Sarrazin ad avere la meglio sul sentimento popolare. Sembra, cioè, che la borghesissima “alta cultura” tedesca non riesca ad avere un ruolo in questa crisi economica e politica. Come mai gli “intellettuali” si sono spinti in questa situazione?
Sostiene Michael Stürmer, per trent’anni professore di storia, nonché consulente politico di Helmut Kohl, e oggi capo-corrispondente per il quotidiano Die Welt, che la spiegazione è assai materiale: gente come Habermas propone tesi che la maggior parte dei tedeschi non è in grado di accettare. Sarà forse per la tendenza tipica degli intellettuali, orientata all’isolamento estetico, ma ai fatti l’“alta cultura” tedesca ha scelto di non avere un ruolo nella crisi. Stürmer, personaggio popolarissimo in Germania, arriva a giustificare Sarrazin non solo per il secondo libro, ma anche per il primo (quello critico rispetto al ruolo degli immigrati in Germania): «L’idea del ‘politically correct’ è ciò che impedisce alla gente di dire quello che i tedeschi pensano. Insomma, un milione e mezzo di persone che hanno comprato il libro non possono sbagliarsi».
Ricorda comunque Hans-Olaf Henkel, ex-presidente della Confindustria tedesca (la BDI), che «chi in Germania mette in discussione l’euro, si isola”. Egli stesso, tra i pochi euro-scettici dichiarati del paese, sostiene di ricevere sostegno “solo a quattr’occhi», mentre per uscire dalla “spirale del silenzio” bisognerebbe agire in massa. Si lamenta che la discussione mediatica sul tema sia stata “bloccata”.
Rimane da chiedersi come mai, allora, in Germania manchi un partito radicalista anti-euro. Esistono sentimenti più o meno diffusi anti-euro, schierati in genere nella formazione Merkel (pro-euro) contro tutti (anti-euro). Per Stürmer, il potenziale elettorale di una formazione anti-euro dura e pura sarebbe del 20%, ma finora sono mancati finanziatori e personaggi in grado di organizzare la baracca.
Stürmer sembra avere ragione, a guardare i sondaggi. Non possiamo dimenticare che anche i tedeschi mangiano. Più dei libri di Habermas e Sarrazin, ciò che conta sono i timori economici. Se alla fine del 2010 i tedeschi che volevano tornare al marco erano il 30%, e oggi sono quasi il 60%, un motivo ci sarà. «Sono iniziati i licenziamenti di massa», sostiene Stürmer. L’ “Angst”, inteso come “disagio”, ha iniziato a colpire la piccola borghesia. La gente non sa se sarà in grado di salvaguardare i propri salari o la pensione. Quest’opinione può apparire sorprendente. In fondo, la Germania è l’unico paese europeo a crescere a ritmi sostenuti per un’economia matura, con livelli di disoccupazione ridicoli e fin troppo bassi in alcuni Länder, quali Baviera e Baden-Wurttemberg. Eppure, secondo un sondaggio congiunto di Welt e dell’emittente ARD, il 56% dei tedeschi ritiene che la situazione economica peggiorerà nel prossimo anno – erano il 32% solo tre mesi fa.
Non sono solo i primi dati incerti sull’automobile a condizionare il sentimento popolare. È anche la stanchezza di una lunga crisi che sembra essere giunta alla fase di non-risolvibilità. Secondo lo stesso sondaggio, per l’84% dei tedeschi il peggio deve ancora arrivare. Aggiungiamo il fatto che i risparmiatori tedeschi non sanno dove mettere i soldi (guadagnare zero con i titoli tedeschi? Perderli con i titoli spagnoli? Comprare case a rendita minima a Berlino?), e si comprende come mai gli intellettuali europeisti non abbiano molto da dire.