Ufficialmente nessuno la vuole, in realtà tutti ci pensano. La grande coalizione è un’attrazione irresistibile. Per i leader dei principali partiti politici è diventato quasi un tabù. Vietato parlare di un nuovo accordo che vincoli Pd, Pdl e Udc anche dopo le prossime Politiche. Guai a proporre un’intesa per proseguire l’esperienza del governo Monti nella prossima legislatura, con o senza il Professore a Palazzo Chigi.
Alcuni, pochi, non si nascondono. È il caso dell’Udc di Pier Ferdinando Casini. Il leader centrista è da tempo convinto della necessità di prolungare per altri cinque anni l’armistizio tra centrodestra e centrosinistra. La maggior parte dei dirigenti di Pd e Pdl non può. Eppure la grande coalizione sembra avere estimatori bipartisan. Le motivazioni sono diverse. Per qualcuno l’avvento dei tecnici ha inaugurato una nuova stagione politica, fondata su un inedito rapporto di collaborazione tra i partiti. Per altri la strana maggioranza non ha ancora esaurito il suo compito. E di fronte al probabile fallimento del progetto semipresidenzialista, dovrà approvare una nuova riforma costituzionale. Stavolta con la più ampia condivisione possibile. Molti, infine, giustificano un futuro prolungarsi dell’intesa tra i principali partiti con la necessità di fronteggiare, uniti, la crisi economica.
Però non si può dire. Anche i più convinti sostenitori della grande coalizione lo ripetono spesso. «Prima del voto non se ne può parlare». Il motivo è semplice. In campagna elettorale ognuno si candida per conto proprio. Chi può rischiare di perdere il sostegno dei propri simpatizzanti annunciando l’intenzione di scendere a compromessi con gli avversari? Meglio invitare direttamente a votare per Beppe Grillo. Se grande coalizione sarà, lo sarà dopo il responso delle urne.
Silvio Berlusconi sembra guardare con interesse al progetto. Stando ai sondaggi, il suo partito – Pdl o Grande Italia che sia – non sembra poter puntare alla vittoria elettorale. Una nuova intesa con Pd e Udc non potrà garantire al Cavaliere il ruolo di presidente del Consiglio, certo. Ma gli riserverebbe in ogni caso un ruolo politicamente rilevante. Di forte influenza nei confronti del prossimo esecutivo. Nel Popolo della libertà sono in molti a pensarla così. Nei giorni scorsi si sono già espressi in questo senso diversi dirigenti pidiellini. Tutti decisi a sostenere Berlusconi in campagna elettorale. Ma pronti a ricorrere alla grande coalizione nel caso fosse necessario. Da Gaetano Quagliariello a Sandro Bondi. Fino all’ex ministro Franco Frattini, che in un articolo sul Foglio dall’eloquente titolazione “Perché il Pdl non deve dire di no a larghe intese nel 2013”, questa mattina spiegava: «È giusto presentarci alle elezioni, quando saranno, con un nostro profilo alternativo, ma è altrettanto giusto essere realisti e dire che oggi sarebbe da sciagurati dire che, comunque andrà, la grande coalizione è un’ipotesi da escludere».
Meno possibilista il Partito democratico (difficile altrimenti, dato l’importante vantaggio evidenziato dai sondaggi). Eppure anche nel centrosinistra alcuni dirigenti sembrano pronti a considerare l’ipotesi. Qualcuno, come il vicesegretario Enrico Letta, punta per il 2013 su un governo politico a guida Bersani, ma con uomini e agenda in continuità con l’attuale esecutivo. Qualcun altro, come l’ex ministro Beppe Fioroni, dice no alla grande coalizione, sperando però in un’intesa tra Pd, Udc e la parte più responsabile del Pdl. Il segretario Bersani intervistato oggi su Repubblica ha ripetuto che l’esperienza del governo tecnico deve essere considerata «una parentesi». Ha assicurato che il Pd si candiderà alle elezioni con l’obiettivo di guidare il Paese. «E questo significa – le sue parole – che non si può andare al voto proponendo una Grande Coalizione». Poi certo, se dopo le urne nessun partito avesse i numeri per governare da solo…
E poi ci sono i critici, che ai margini dei due schieramenti continuano a criticare il progetto. Da una parte gli esponenti ex An del Pdl (soprattutto Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri), dall’altra i dirigenti Pd più vicini al segretario. Tutti decisi a troncare sul nascere ogni ipotesi di accordo. Basteranno per allontanare lo spettro del grande inciucio?
Al di là delle posizioni politiche, sono due gli elementi oggettivi che suggeriscono la strada delle larghe intese. Il calo di consensi per i principali partiti e la legge elettorale che si va definendo negli accordi di fine agosto. Nessuno, tra Pd, Pdl e Udc, sembra poter raggiungere percentuali rilevanti alle prossime elezioni. In questo momento, stando ai sondaggi, il Pd conquisterebbe il 25 per cento delle preferenze. Il Pdl sarebbe fermo al 20. Una differenza minima, che una lunga campagna elettorale del Cavaliere – e questo nel centrosinistra ormai dovrebbero saperlo – rischia di assottigliare ancora di più.
A questo bisogna aggiungere la presenza, finora inedita, di rilevanti forze “antisistema”. Su tutte il Movimento Cinque Stelle. Pronte a indebolire ulteriormente il peso dei partiti tradizionali in Parlamento. Ecco perché nessuno dei due principali partiti italiani oggi può realisticamente pensare di eleggere un numero di deputati e senatori così alto da governare da solo (né probabilmente con il sostegno dei partiti di Centro). La legge elettorale che sostituirà il Porcellum non aiuterà. Stando alle indiscrezioni che emergono dalla trattativa in corso, sembra ormai chiaro che il premio di governabilità sarà dato solo al primo partito, non alla coalizione. E prevederà un numero di seggi aggiuntivi minimo (attorno al 10-15 per cento).