Cardin rinuncia: non costruirà il suo palazzo a Venezia

Addio al mega-progetto

«Sarà il nuovo faro per Venezia, un faro concettuale che non disturberà Venezia e che rappresenterà il primo grande passo per la nuova Marghera». Sono le parole dello stilista veneto Pierre Cardin, deciso a costruire il suo grattacielo nella laguna di Venezia. Una torre di luci, alta 245 metri, distribuiti su 65 piani abitabili, più alta del campanile di San Marco. Il tutto, senza risolvere neanche uno dei problemi del polo industriale di Marghera. Problemi che non sembrano toccare Pierre Cardin, impegnato com’è a fare il doge e costruire la sua basilica faraonica. 

«Sarà il nuovo faro per Venezia, un faro concettuale che non disturberà Venezia e che rappresenterà il primo grande passo per la nuova Marghera, oggi inguardabile da chi la vede dal centro storico lagunare. Servirà a rischiarare i 50 anni di ombra di Marghera». Sono le parole dello stilista Pierre Cardin, presentando il grattacielo che ha deciso di costruire nella terra dalla quale partì in cerca di fortuna. L’ambiziosissimo «inizio di un nuovo Rinascimento del Veneto e dell’Italia». 

A risolvere il problema degli spazi del centro storico di Marghera, il polo industriale che raggiunse la massima espansione negli anni Sessanta del Novecento, provvide, all’inizio degli anni Venti dello stesso secolo, la realizzazione del quartiere residenziale, progettata dall’ingegner Emmer. Un quartiere ispirato al modello della città-giardino, elaborato da Howard, che cercava di sintetizzare lavoro e ambiente naturale. Una lettura urbanistica che, rispondendo alle attese del sito, non trascurasse il contesto. Rispettando con le sue nuove cubature la vicina Venezia. Allora non ancora annoverata, insieme alla laguna, tra i patrimoni dell’umanità tutelati dall’Unesco.

Mentre il termine dei lavori del Mose, il sistema di dighe mobili contro l’acqua alta da realizzare in laguna, slitta al 2016, Venezia festeggia il via libera a un’altra opera. Il Palais Lumière di Pierre Cardin. Un’opera faraonica che, a differenza degli sbarramenti avviati nel 2003 dopo un lungo e difficile dibattito sulla loro efficacia, non sembra fornire chiari benefici alla città. 

Una torre di luci, alta 245 metri, distribuiti su 65 piani abitabili, per la zona del porto industriale, affacciata su una delle città più belle del mondo. In tre anni, quind,i giusto in tempo per l’Expo milanese del 2015, e con un costo stimato di un paio di miliardi, Pierre Cardin (pseudonimo di Pietro Cardin da Sant’Andrea di Barbarana, frazione di San Biagio di Callalta, nella provincia di Treviso) vuole realizzare il suo sogno. 

Lo stilista, che nel 1947 cominciò la sua carriera come primo sarto della maison Christian Dior per poi fondare una sua casa di moda, è deciso a lasciare il “segno”. Dopo aver disegnato forme e motivi geometrici ispirati all’era spaziale, il cui risultato è un inconfondibile stile d’avanguardia, raggiunti i novant’anni Cardin vuole costruire la sua basilica. Come un doge. Innalzare la sua basilica di San Marco,  come fece Giustiniano Participazio nell’828. 

Dopo gli annunci dei passati mesi, alla fine di agosto è stata inaugurata la mostra “Una scultura abitabile”, promossa nell’ambito della 13esima rassegna internazionale di Architettura della Biennale di Venezia all’interno del recupero post industriale voluto proprio da Cardin all’interno di vecchi magazzini. Presenti anche il ministro Clini, il nipote dello stilista italo-francese e l’ingegnere Rodrigo Basilicati, responsabile del progetto che, tra filmati e gigantografie progettuali, ha illustrato la magnificenza della costruzione. Soffermandosi più in dettaglio sui costi dell’operazione: circa 1,5 miliardi per la costruzione e per le opere complementari e un altro miliardo per i decori. «Perché contiamo di realizzare in Veneto mobili, sedie, tovaglie, tutto quello che servirà per arredare gli interni della torre», ha spiegato Basilicati.

Nelle intenzioni un’architettura gigante e hi-tech come nuovo simbolo della ricostruzione del sito industriale dismesso, da anni in attesa di bonifica e di rigenerazione. Un’opera ecologica con pale eoliche e pannelli solari nascosti. Uno spazio-scultura costituito da tre torri collegate tra loro da sei strutture a forma di disco, circondato da un parco che, tra laghi e piscine, dovrebbe ospitare spazi atelier, un’università dedicata alla moda e 34mila metri quadri riservati a una struttura alberghiera. Con uffici, negozi, un centro congressi, un cinema multisala e ristoranti, tra cui uno panoramico sulla città storica, oltre a centri benessere e fitness, pronto soccorso ospedaliero, bar, ambienti direzionali, 2.000 posti auto privati e 4.000 posti auto pubblici.

Tra i capisaldi, l’assicurazione che la torre dovrebbe essere di grande impatto sulla produttività in Veneto, con l’utilizzo esclusivo di imprese e mano d’opere venete. E di forte sostegno sociale con l’impiego di oltre 10mila posti di lavoro tra operatori diretti e indiretti. Il fronte dei critici appare ben rappresentato. Ma forse insufficiente a contrastare l’operazione. Le istituzioni stanno sostenendo l’operazione, non potendo trascurare il consistente investimento privato. Per il ministro Clini, «Cardin offre la grande opportunità di spiegare come in un momento difficile si possa guardare avanti e si possa creare». Per il governatore Zaia, «Cardin è il nostro Lorenzo il Magnifico».

Il sindaco di Venezia Orsoni ha ringraziato «Cardin per l’amore verso questa terra». Per la presidente della Provincia di Venezia Zaccariotto, «innovazione, lungimiranza e strategia sono i segreti del successo del progetto dello stilista trevigiano». Così, a parte Enac, Comune di Venezia, Regione Veneto, Porto, Veneto Strade e Ferrovie hanno dato sostanzialmente il via libera al Palais Lumière. Nonostante i problemi di vario tipo che la sua realizzazione comporterebbe. Inclusi l’impatto ambientale, le questioni di sicurezza connesse al vicino aeroporto Marco Polo e l’“incompatibilità” con le architetture veneziane. Quel che è certo è che la torre di Cardin sarebbe alta più del doppio del campanile di San Marco e sforerebbe di 110 metri il limite fissato dall’Enac per la sicurezza degli aerei. E il suo skyline per certi versi “schiaccerebbe” le Basiliche di S. Marco e di Santa Maria della Salute, la chiesa del Redentore e quanto caratterizza Venezia. Quasi riducendo la città dei palazzi signorili, affacciati su campi, calli, rii e canali e delle antiche residenze delle più ricche famiglie veneziane dell’epoca d’oro a una reduplicazione di quella in miniatura ricostruita nel parco tematico di Viserba di Rimini. 

Più che «tre fiori adagiati in un vaso di Murano, con gli steli piegati sotto il peso di sei corolle», come romanticamente Cardin descrive la torre, «un grattacielo di accademica bizzarria, senza alcun fondamento insediativo, una modesta adesione alle frivolezze estetiche del postmoderno», secondo Vittorio Gregotti. 

Il problema vero è che, molto probabilmente, il grattacielo sul quale ha deciso di puntare il vecchio stilista non fornirebbe le risposte che quelle aree richiedono. Da tempo. L’area di Marghera continua a essere tutta da reinterpretare. Anzitutto va analizzata con attenzione la futura convivenza di attività industriali, laboratori tecnologici e area residenziale. Quindi queste realtà andrebbe messa in realzione con il resto del territorio. 

Alla Venezia che Cardin afferma di amare sarebbe molto più utile trovare un finanziatore degli studi sulla trasformazione del tessuto urbano e poi un mecenate che realizzi la soluzione individuata. Vittorio Cini, dopo la tremenda alluvione del 1966, disse che salvare Venezia «… tocca ai veneziani farlo con il concorso di tutti gli italiani». Parole che Cardin non sembra aver fatto proprie. Impegnato com’è a costruire la sua “basilica”, il palazzo faraonico che spera possa assicurargli memoria eterna. Il Palais Lumière come il palazzo della Pace e della Riconciliazione di Astana, nel Kazakhistan, il Louvre di Abu Dhabi, parte del complesso di Saadiyat Island e il Palazzo della tv di stato cinese a Pechino. Tutte opere edificate a maggior gloria del committente. 

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