A giudicare dalle cronache delle ultime settimane, Milano non è mai stata più cosmopolita di così. Un po’ il Far West, un po’ il Sudamerica, con qualche accenno da sobborgo di Scampia: i paragoni si sono sprecati, ma il quadro che ne emerge è sempre lo stesso. La capitale della finanza e della moda è diventata una sorta di terra di nessuno, dove tra un aperitivo e l’altro magari ci scappa anche una sparatoria in centro.
A scatenare la polemica è stato il delitto di via Muratori. Massimiliano Spelta e Carolina Payano, 43 anni lui e 21 lei, sono stati uccisi la sera del 10 settembre scorso, mentre si trovavano nel quartiere di Porta Romana. La coppia passeggiava con la figlioletta di un anno e mezzo, quando uno scooter si è avvicinato e il killer ha aperto il fuoco. Il giorno successivo è stata la volta di via Padova, con una sparatoria in pieno giorno tra due auto. Almeno in questo caso, nessuna vittima. L’ultimo episodio risale al 18 settembre, quando un imprenditore, Giovanni Biffi, è stato gambizzato nell’hinterland milanese.
La risposta del mondo politico non si è fatta attendere. «È necessario far tornare i militari in città per garantire la sicurezza», ha dichiarato pochi giorni fa Alfano, segretario Pdl, durante una visita ai commercianti di via Padova. Con lui c’era anche De Corato, vicepresidente del consiglio comunale nonché ex vice sindaco, per il quale: «Tolto l’esercito dalle strade, sono tornati gli omicidi». L’operazione Strade Sicure è stata uno dei cavalli di battaglia della giunta Moratti: dall’agosto 2008, circa 460 militari sono stati impiegati per presidiare le vie della città. Con l’insediamento della giunta Pisapia, il loro numero è sceso circa a 200, ma oggi sono dislocati soltanto in alcune zone periferiche. Di fronte agli scenari da film noir di questi giorni, allora, sarebbe bene fare chiarezza su due questioni. La prima riguarda l’efficacia di questo tipo di misure per la sicurezza e l’ordine pubblico; la seconda va all’origine della questione: esiste o no uno stato di emergenza in città?
Ma andiamo con ordine. Nel 2006, anno in cui Letizia Moratti viene eletta sindaco, i dati della Prefettura registrano un totale di 163.817 reati commessi, saliti a 174.040 l’anno successivo. Con l’introduzione delle pattuglie miste (che prevedono la presenza dell’esercito), si assiste a un calo del totale dei reati a 156.497 nel 2008 e a 149.296 nel 2009. Già dal 2010, però, si verifica un’inversione di tendenza: i reati salgono a 150.858 nel 2010 e a 162.097 nel 2011, quando poi subentra l’amministrazione Pisapia. «Il fatto è che la sicurezza e la percezione della sicurezza sono due cose ben diverse – commenta Mauro Guaetta, segretario generale Siulp Milano -. Di fatto i militari non hanno nessun margine d’azione, perché in Italia l’ordine pubblico è di natura civile. Il risultato è che si finisce con l’aggravare il problema: devono sempre essere accompagnati da poliziotti o carabinieri, che così vengono distolti da altre attività».
Posto quindi che i militari non hanno risolto il problema, veniamo al secondo punto: a più di un anno dall’insediamento della giunta Pisapia, qual è lo stato della sicurezza in città?. «I primi quattro mesi del 2012 – spiega Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e Coesione sociale – sono stati in controtendenza. Secondo i dati che ci ha fornito la Prefettura, infatti, il totale dei reati è sceso circa del 4% rispetto allo stesso periodo nel 2011». Il motivo, secondo Granelli, è legato a un maggior impegno delle forze dell’ordine sia nel presidiare il territorio che nell’attività di indagine. «A livello di Polizia locale – continua – abbiamo agito su due fronti. Da una parte abbiamo aumentato i vigili di quartiere, che da aprile sono saliti a 360 unità. Dall’altra abbiamo potenziato le pattuglie, coordinandole tutte alla centrale operativa: in particolare, ne abbiamo trenta in azione nella fascia serale, e venti in quella notturna. Proprio per poter spostare meglio gli uomini nei punti più critici, abbiamo aumentato del 10% il numero delle auto e delle moto». Attualmente, sono circa tremila gli agenti di Polizia locale nella città di Milano, di cui duemila presenti ogni giorno sul territorio. Il Comune ne ha nominati altri cinquanta, coprendo tutti quelli che sono andati in pensione.
Se l’amministrazione cittadina dà un quadro che in parte smorza il clima da terrorismo, dagli uffici della Questura e della Prefettura milanese, invece, arrivano risposte fumose e certezze nessuna. Il punto è che la Polizia locale, che dipende dal Comune, copre solo in parte le funzioni di sicurezza: il primo responsabile dell’ordine pubblico, di fatto, è il Ministero dell’Interno. In questo caso, per avere qualsiasi dato sui crimini in città bisogna inviare richieste scritte, inoltrate di volta in volta a misteriose gerarchie. Il risultato è una telefonata cordiale, in cui ci viene detto che nessun dato sul 2012 è disponibile, in quanto «non ancora convalidato». Cercare di capire, poi, quale sia l’attuale dispiegamento di forze dell’ordine a Milano è un atto di folle presunzione. Si finisce in un altro ginepraio di richieste formali, dati sensibili che non possono essere diffusi e dinamiche del tipo: «Ve lo diciamo solo se ve lo hanno detto anche i colleghi dell’Arma». Se un’emergenza davvero ci fosse, insomma, resta un segreto riservato a chi la deve affrontare.
@ChiaraPanzeri