Essere insegnanti americani (precari) a Firenze

Essere insegnanti americani (precari) a Firenze

Nati negli Stati Uniti d’America, ma all’opera da tempo dietro le cattedre italiane. Con un lavoro diventato di anno in anno sempre più difficile, e che ora subisce un altro duro colpo: il drastico abbassamento dei salari, a fronte dell’assunzione a lungo termine. É stato l’International Herald Tribune a trattare per primo il tema degli insegnanti americani impegnati negli “study abroad programs” a Firenze, culla del Rinascimento, città sempre molto amata al di là dell’Oceano. I quali, dopo anni di lavoro come freelance, in seguito alle recenti novità introdotte in materia dal governo Monti, hanno visto regolarizzarsi la propria posizione lavorativa.

Scoprendo però che i loro nuovi – e tanto agognati – contratti, avevano portato in dote un pericoloso effetto collaterale: il crollo della retribuzione. Già, perché i nuovi accordi erano prevedevano un taglio degli stipendi tra il 20 ed il 50 per cento, con conseguenze immaginabili sulla loro qualità della vita. Contratti che – spiega l’International Herald Tribune – spesso includono clausole ingannevoli, nel tentativo di scoraggiare qualsiasi protesta e richiesta da parte del dipendente. Il quotidiano statunitense ha incontrato alcuni di questi professori espatriati in Italia, per sentire le loro reazioni.

«Chiedevo continuamente di diventare di ruolo, ma mi hanno sempre detto che era impossibile. A luglio, però, ci hanno improvvisamente cambiato il contratto», spiega una docente, che preferisce rimanere anonima, ai giornalisti americani. Una grande notizia per lei, dopo sette anni e mezzo di insegnamento come freelance, se non fosse che «il mio incasso lordo, ora, è meno del netto che guadagnavo prima. E il mio nuovo netto è all’incirca la metà del precedente». Una situazione comune a tutti i teachers di Firenze. I nuovi contratti presenterebbero anche alcune clausole vincolanti, che vietano al firmatario di reclamare precedenti versamenti pensionistici e vacanze accumulate, poiché appartenenti al vecchio accordo.

Non è sulla stessa lunghezza d’onda il vicepresidente per gli affari pubblici della New York University, che da anni tiene a Firenze un programma di studio all’estero. Secondo lui «le reazioni dei docenti ai nuovi contratti sono state positive. La maggioranza degli insegnanti ha già firmato», come ha spiegato all’International Herald Tribune. Nessuna clausola inoltre – come invece rivelato da alcuni degli intervistati – vieterebbe agli insegnanti di lavorare anche altrove: «Non è il nostro intento, stiamo lavorando sul perfezionamento del linguaggio per chiarire la questione». Beckman ha invece incolpato la legge italiana, giudicata «poco chiara».

Il rappresentante ha spiegato come le riduzioni degli stipendi non siano state applicate volontariamente, ma per necessità: «I nuovi contratti prevedono dei benefit diversi, e questi benefit costano». Il riferimento è, ovviamente, ai costi di sostentamento del sistema pensionistico e a quelli legati alle vacanze ed alla malattia, pressoché inesistenti nei precedenti accordi. Per molti, però, si tratta di un taglio davvero troppo drastico: «L’anno scorso guadagnavo 6,600 euro per tenere il mio corso», ha spiegato un insegnante della californiana Pepperdine University, residente da tempo a Firenze. «Ora, per lo stesso lavoro, guadagno 3,900 euro. Ma è pur sempre un lavoro».  

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