Intesa Sanpaolo riapre il capitolo dei tagli del personale. Risolta alla fine dello scorso luglio la questione degli esodati che porterà 5.024 persone a uscire entro giugno 2013, sul tavolo arriva ora quella dei nuovi esuberi originati dalla chiusura di circa 1.000 filiali. Sono stati stimati in almeno 2mila ma si dovrebbero dimezzare a mille, tenuto conto del ricollocamento degli addetti all’interno delle altre agenzie del gruppo, per le quali si prevede un orario di apertura prolungato fino alle 20 ed esteso al sabato.
Il tagliatore di teste torna in azione. Le cifre sono state comunicate questa mattina dal direttore operativo e capo del personale Francesco Micheli, durante un incontro con le rappresentaze sindacali del gruppo. Forte dei pieni poteri ricevuti, il tagliatore di teste è dunque entrato in azione. A Micheli, infatti, l’amministratore delegato Enrico Cucchiani ha affidato la macchina del gruppo, incluso acquisti, organizzazione e sicurezza, oltre alla direzione del personale. Il manager non ha svelato interamente le sue carte, limitandosi a delineare la cornice di un negoziato che si annuncia complesso, e che probabilmente terrà impegnate le parti almeno fino alla fine dell’anno. Un nuovo incontro è stato fissato per il 26 settembre. In Italia Intesa Sanpaolo ha 5.579 filiali e 68.853 dipendenti.
Pensionamenti obbligatori? Micheli è stato abbastanza vago sugli strumenti a cui ricorrerà per gestire i nuovi esuberi. Ma appare abbastanza scontato che verrà rispolverato il «Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito del personale del credito», meglio noto come fondo esuberi bancari, nella versione aggiornata a cui lo stesso Micheli ha lavorato come presidente del comitato affari sindacali dell’Abi. Uno strumento complementare potrebbe essere quello del pensionamento obbligatorio per chi ha già maturato i requisiti. Ma il perno della vertenza, più ancora che i numeri, saranno le modalità di adesione: facoltativa o obbligatoria?
La tradizione del gruppo depone a favore della volontarietà, e quasi tutti i sindacati sono attestati su questa linea. Fonti finanziarie vicine ai vertici di Intesa riferiscono che questa volta Micheli potrebbe forzare la mano per incassare l’obbligatorietà dell’adesione al fondo esuberi o del pensionamento per tutti i dipendenti che hanno i requisiti minimi. In questo caso, le uscite potrebbero lievitare fino a 3.500. Nel 2013, infatti, circa 1.500 dipendenti matureranno i requisiti o per la pensione o per il fondo esuberi. Altri mille all’anno, invece, dovrebbero maturare nel 2014 e nel 2015. Per ogni mille di questi lavoratori che aderiranno al fondo esuberi, la banca sosterrà una spesa media di 200 milioni di euro (una tantum).
Recupero di costi. L’intenzione di Micheli è di compensare l’aggravio di costi (127 milioni) che la riforma Fornero ha determinato sull’accordo quadro per gli esodati firmato il 29 luglio del 2011. Questo accordo prevedeva l’uscita di 5.024 persone tramite domanda di pensionamento o richiesta di accesso al fondo esuberi per un costo aziendale totale preventivato in 700 milioni, anche in questo caso una tantum. A regime lo stesso accordo comporterà un risparmio annuale di 300 milioni sul costo del lavoro. Stavolta, invece, quella dei licenziamenti via pensionamento o fondo esuberi potrebbe non essere l’unica via per tagliare costi. Sul tavolo c’è un menù di possibili risparmi che vanno dall’incremento dell’orario di lavoro a parità di retribuzione (100 milioni di costi in meno) al blocco degli straordinari (20 milioni), dalla decurtazione delle ferie al pensionamento di 88 dipendenti già pensionabili (9 milioni). Ognuna di queste ipotesi comporta una riduzione di costi per la banca e un sacrificio per i dipendenti che rimangono in servizio: i contraccolpi della riforma Fornero vengono traslati sui lavoratori.
Twitter: @lorenzodilena