Nella sua personale elegìa etno-elettorale fissata in forma scritta col rizzoliano Stil Novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter, Renzi potrebbe darsi comecolonna sonora quest’aria pucciniana dove Firenze è come un albero fiorito (fiorito sì, ma nulla a che vedere col Francone di Anagni), un albero che in piazza dei Signori ha tronco e fronde, le cui “radici forze nuove apportano”, con l’Arno che bacia Santa Croce, e più in là ha la Val d’Elsa da cui viene Arnolfo a far la torre bella, nonché il Mugel selvoso di Giotto. Città di “dotti in arti e scienze” tutti lì raccolti “a far più ricca e splendida Firenze”. Puro orgoglio viola. Renzismo a palla.
Ma c’è una ragione più profonda per la quale il sindaco in camper dovrebbe intestarsi il pezzo. Dovrebbe per un colmo di ironia. E la ragione è il protagonista, che poi dà pure il titolo: Gianni Schicchi. Chi è costui? E’ un personaggio della Firenze del Duecento, ricordato da Dante che lo colloca nella decima bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (Canto XXX). Il luogo dei falsari. Gianni Schicchi de’ Cavalcanti è là perché decise di “falsificare in sé Buoso Donati, testando e dando al testamento norma”. Alla dimensione tragica della Divina Commedia si contrappone quella giocosa dell’atto unico di Puccini, che racconta di come Schicchi, presi i panni di Buoso, ricco mercante di Firenze che morendo aveva lasciato tutti i beni alla Chiesa, ne cambiò il testamento e attribuì a Schicchi, cioè a se stesso, tutte le ricchezze.
Schicchi viene dal contado (chissà, forse proprio da Rignano sull’Arno, il paese di Renzi) e fa parte di quella che Dante – suo oppositore feroce – chiamò “gente nova”, gente che insegue “i sùbiti guadagni”, stracciando le vecchie care gerarchie sociali e tradizionali della “fida cittadinanza” (a proposito, Renzi nel suo libro sostiene che il “ganzo” Alighieri in fondo “era di sinistra, anche se non lo sapeva”: sicuro sicuro?).
Tutto questo per dire: ma non sarà che nel Pd esiste una specie di “sindrome di Gianni Schicchi” che serpeggia nell’attuale vertice del partito, compattamente convinto che la “gente nova” capeggiata da Renzi stia per appropriarsi del partito e lo stia facendo sostanzialmente con la frode, perché altro che sinistra, Renzi è Berlusconi, con i suoi voti e con quarant’anni di meno?
Stando a Puccini (o meglio al suo librettista Giovacchino Forzano, un avvocato liberale di Firenze che sarebbe poi stato fervente mussoliniano, che si buttò nel cinema con gli stabilimenti della Tirrenia Film e nel teatro d’opera prestando la penna oltre che al genio di Lucca, anche a Mascagni, Leoncavallo e Giordano, e infine figurando oggi per li rami genealogici come nonno di Luca Giurato, il che dà al tutto un irresistibile gusto pop), quel diavolo di Schicchi l’è proprio “fine, astuto…”, “motteggiatore, beffeggiatore”, con “occhi furbi” che “gli illuminan di riso lo strano viso”. Ricorda qualcuno?
Col suo spirito arguto incalza e beffa quel tal Simone che con prosopopea ricorda d’esser stato “podestà a Fucecchio” e che malissimo giudica “il villano”, o il dottor Maestro Spinelloccio, più bonario del suo accento emiliano, titolare di un’inutile scienza (eppur non esiti a rimarcare “a che potensa l’è arrivata la sciensa”, benché “non ho pretese, il merito l’è tutto della scuola bolognese”).
Va aggiunto che Schicchi aveva 50 anni, età forse renzianamente rottamanda. Ma pure va detto che in ultimo (seppur l’eterna condanna dantesca) Schicchi centra il suo obiettivo terreno: le ricchezze di Buoso saranno sue, e sua figlia Lauretta andrà in sposa a Rinuccio, nipote del ricco mercante (matrimonio fissato in Calendimaggio, una data simbolo della fiorentinità, dal vecchio Dante che vi incontrò Beatrice allo splendido novecentesco Odoardo Spadaro col suo “cappello di paglia” del ’35) Schicchi sì, raggiunge lo scopo. E dunque: “Basta con gli odi gretti e coi ripicchi! Viva la gente nuova e Gianni Schicchi!”
E Renzi?
*critico cinematografico