Sono giorni difficili per tutto il movimento di Comunione e Liberazione. Sembrano di un secolo fa gli anni dei trionfi, in cui le accuse di affarismo si potevano schivare stando nascosti dietro al sorriso largo, vagamente arrogante, di Roberto Formigoni. E suscitano reazioni imbarazzate, stizzite e risposte davvero confuse in Formigoni stesso, e un silenzio plumbeo in chi del movimento fa parte sapendo che le cellule appartengono al corpo. Formigoni, la Compagnia delle Opere, il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione. È tutto la stessa cosa? O sono cose molto diverse tra loro?
Comunione e Liberazione è nata prima della lobby di potere e affari che ha generato e dalla quale, poi, si è fatta sostenere. Questo è un dato di fatto. È nata in un liceo milanese, negli anni dell’egemonia marxista che insidiava anche il pensiero e l’azione cattolica, per iniziativa di un intelligente esponente del cattolicesimo borghese conservatore. Quell’uomo si chiamava don Luigi Giussani. È nata nella convinzione – nella fede – che un’altra idea di uomo, di società, di rapporti economici, di libertà, fosse possibile e anzi doverosa. Il fondamento, naturalmente, era il Gesù Cristo della Chiesa Cattolica. Il contesto quello degli anni Sessanta-Settanta in cui la Dc governava un po’ ovunque, il Pci si trovava al solito bivio, mentre fuori dal parlamento il vento del ‘68 soffiava ogni giorno più forte.
Tutto questo, nella pancia profonda del movimento (come ai suoi vertici), si sente e con grande veemenza, e ancora come se quella fosse storia di ieri, viene rivendicato ad ogni evenienza. Già, perché i ciellini son persone di impeto e passioni, e non si sottraggono – se punti sul fiume di scandali che sta segnando il crepuscolo formigoniano – alla virulenta incazzatura, come la definirebbero i ciellini che – altra rivendicazione di umanità – parlano come mangiano.
Proprio perché riconosciamo a quel movimento di non essere solo il sistema di potere creato, non è possibile né giusto fare finta che i due sistemi non siano intersecati. Non è possibile, perché da quella fede e da quella identità fatta di idee e passioni discende quel sistema di potere, sempre di più al centro delle indagini e degli scandali. Negare che quel potere e questi scandali abbiamo un rapporto con quella radice, dopotutto, significherebbe fare un torto a quella storia e a chi l’ha costruita, anche nei suoi aspetti più virtuosi.
Partiamo dai fatti che tutti, in Lombardia soprattutto, conoscono: la macchina elettorale di Cl è una macchina forte, solida, efficiente. Hanno piccoli numeri, rispetto al totale degli elettori, ma godono di una militanza solida, obbediente, combattiva. Che fin dagli anni Ottanta batte quartieri, paesi e città e raccomanda di votare per i candidati del movimento. Gli Antonio Simone finiti nuovamente in manette come in questi giorni, come gli onestissimi lavoratori di una causa ideale che mai si sporcherebbero le mani commettendo reati. E così, mani cielline lungo i decenni hanno distribuito santini di gente per bene e santini di faccendieri sempre sul filo del fuorigioco. Con diversi gradi di consapevolezza e diversi gradi di complicità. Soprattutto – è un dato che a chi scrive è sempre sembrato significativo – facendosi poche domande o, quantomeno, accettandone pochissime da chi quei santini li riceveva e magari guardava la politica da un po’ più vicino rispetto al proverbiale “medio cittadino”.
Eppure, ancora oggi, ci si sentono dare spiegazioni che suonano puerili e quasi offensive dell’intelligenza: «l’indicazione del movimento e l’impostazione è sempre molto chiara: Cl non ha a che fare la politica, si valutano le persone». E non le si valuta abbastanza bene, verrebbe da chiosare.
Tra i ciellini la critica era e resta merce rara, almeno a quanto è dato di vedere e di capire a chi tra i ciellini ha amici e conoscenti. Difficilissimo trovare una crepa sensibile, impensabile vedere esplicitati distinguo chiari e netti rispetti ai vertici. Sì, alle cene a mezza bocca qualcosa dicono anche. Ma nessuno mette il capo fuori. Quasi che, al di là degli esiti giudiziari di queste vicende, non ci sia un evidente problema di gestione arrogante, monopolistica e poco scrupolosa (almeno nei controlli) del potere che distribuiva. Con, a valle, un movimento che ora ha obbedito fideisticamente, ora ha beneficiato dei cascami di quella militanza, ora – ed è questa parte che ci interessa di più – ha saputo e visto tutto quel che non andava, ma ha preferito tacere, tenendosi dentro il dilemma morale e il dubbio politico. E ha ascoltato la parola “sussidiarietà” (una parola bellissima e una risorsa vera, per le società moderne) diventare il paravento dietro al quale nascondere gli interessi di pochi, diventati sempre più forti fino a far trasparire una voglia di monopolio dall’alto della quale, poi, si poteva distribuire ad amici, parenti e a qualche avversario non troppo battagliero.
È a quest’ultimo pezzo di movimento, quello che aveva strumenti intellettuali e morali elevati quanto lo è l’arte del dubbio, che sembra giusto porre una domanda finale. Credete davvero che, nella memoria della storia e in quella meno accorta della cronaca, sarà possibile distinguere tra il degno movimento di Don Giussani e il crepuscolo bizantino, popolato di Minetti, di Daccò e di tuffi da yacht frequentati a propria insaputa, del Ventennio formigoniano? Sarà, in tutta onestà, molto difficile e non basterà questa volta la citazione evangelica che elogia la persecuzione subita come un premio alla fede. Una cosa sola, forse, può cambiare davvero il percorso di questo tramonto, e separare davvero i destini del “movimento” da quelli della sua classe politica.
Non la solita “obbedienza”, ma un atto ancora più alto ed estremo proprio di chi crede in un ideale o di chi ha una fede che non vive senza le opere, e cioè l’autocritica. È giunto il tempo che Comunione e Liberazione e i suoi vertici ammettano che troppi occhi hanno chiuso all’evidenza, e troppe mani hanno prestato a un potere che ha spinto il limite del compromesso accettabile davvero troppo in là. Perché chi nasce per affermare le idee del personalismo cristiano contro la spersonalizzazione leninista, non può trovarsi a balbettare spiegazioni strane sul perché stava sullo yacht di un faccendiere arrestato e poi, a fine giornata, andare pure a letto sereno e dormirci sopra.
(articolo originariamente pubblicato il 16 aprile 2012, dopo l’espolosione del caso-Daccò)