C’era una volta il leader politico Antonio Di Pietro

C’era una volta il leader politico Antonio Di Pietro

Antonio Razzi sale le scale di Montecitorio con un pacco di fogli sotto il braccio. Eletto per due volte nelle liste dell’Italia dei Valori, il deputato abruzzese è diventato famoso un paio di anni fa, dopo essere clamorosamente passato nella maggioranza di Silvio Berlusconi. Razzi mostra orgoglioso il plico. Sta andando al terzo piano, all’ufficio presentazione progetti di legge della Camera, per depositare la sua ultima proposta: “Introduzione di corsi scolastici di lingua e cultura italiane attraverso la rete internet per tutti gli italiani ovunque residenti”. «Lasciata l’Italia dei Valori – racconta – Finalmente sono libero di fare il mio lavoro». La crisi dei dipietristi? Il deputato non sembra stupito. «Mi scusi – spiega – ma non mi sembra di aver lasciato il partito da solo. Qui in Parlamento siamo in tanti a esserne usciti. Un motivo ci sarà pure».

Il giorno dopo la sconfitta elettorale in Sicilia, l’Italia dei Valori affronta un’altra giornata terribile. Mentre tanti componenti del gruppo parlamentare iniziano a mettere in discussione la gestione leaderistica del partito, in Transatlantico tengono ancora banco le polemiche legate all’ultima puntata di Report sulla gestione patrimoniale del movimento. In tarda mattinata, l’ultima grana. Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris arriva a Roma e scarica Di Pietro.

Antonio Razzi non prova rancore, «anche se Di Pietro non mi dà nemmeno la mano quando ci incontriamo. Per quanto mi riguarda, lo devo ringraziare per avermi messo in lista. Certo, gli errori sono stati fatti. Altrimenti a quest’ora c’era lui al posto di Grillo». A Montecitorio non è l’unico a pensarla così. Se Di Pietro avesse studiato meglio l’alleanza con il Movimento Cinque Stelle – sempre inseguito, mai raggiunto – oggi i sondaggi sarebbero diversi. Non è d’accordo Renato Cambursano. Altro transfuga dell’Italia dei Valori. Attualmente nel gruppo misto, il deputato piemontese ha abbandonato il partito poco meno di un anno fa, quando l’Idv decise di votare contro la fiducia al governo Monti. «Onestamente non ho mai creduto che un posizionamento anti-sistema avrebbe premiato l’Italia dei Valori. Tra l’originale e la copia il cittadino sceglie sempre l’originale». Beppe Grillo.

Cambursano aspetta su un divanetto della Camera che inizino le dichiarazioni di voto sul disegno di legge anticorruzione. Anche lui ha visto la puntata di Report sulle finanze del partito. «In trasmissione mi hanno citato tra i componenti dell’ufficio di presidenza Idv – racconta – il soggetto titolato ad approvare i bilanci del partito. Ma io di quell’organismo non ho mai avuto il piacere di farne parte. Chiederò una rettifica alla Gabanelli». Nella grande sala qualche deputato dell’Italia dei Valori discute in attesa dei lavori dell’Aula. «Li vede? – racconta Cambursano – Molti sono preoccupati. C’è anche chi in queste ore inizia a immaginare percorsi alternativi». Un estremo tentativo per salvare la poltrona? «Dico solo che di tempo per decidere ne hanno avuto parecchio. È vergognoso saltare giù dalla nave solo adesso che si rischia di affondare». Le certezze sull’avvenire delI’Italia dei Valori restano poche. «Se dovessi rispondere in base alla reazione di tanti ex colleghi, non mi sembra che il partito abbia un grande futuro davanti».

Qualcuno prova a modificare la rotta. Ieri il senatore Felice Belisario, capogruppo a Palazzo Madama, ha auspicato un cambiamento radicale: «Urge un nuovo cambio di passo. È necessario andare oltre l’Italia dei Valori. Non basta un semplice restyling». Oggi, per il secondo giorno, il capogruppo a Montecitorio Massimo Donadi twitta la sua voglia di novità. «Congresso straordinario per rinnovare e non morire». Tra i parlamentari sono in molti a pensarla così. Ma solo in pochi ci mettono la faccia. «Se quel congresso si celebrasse – sorride Cambursano – in tanti mi hanno già assicurato che vorrebbero votare per De Magistris».

È proprio il sindaco di Napoli a rovinare la giornata a Di Pietro. Non bastava il disastro elettorale alle Regionali siciliane. Il crollo dell’alleanza di sinistra – la candidata Giovanna Marano sostenuta di Sel, Idv, Verdi e Federazione della Sinistra non ha superato il 6 per cento – e i pochi voti raccolti dal partito, fermo al 3,5 per cento. A creare scompiglio oggi è Luigi De Magistris, arrivato a Roma per sensibilizzare il governo in vista del decreto sui comuni pre-dissesto. «Non faccio più parte dell’Italia dei Valori da quando faccio il sindaco di Napoli – spiega il primo cittadino a Montecitorio, dove ha incontrato Gianfranco Fini – Lavoro 20 ore al giorno e anche volendo non potrei occuparmi delle questioni interne al partito. Mi auguro però che ci sia un segnale di cambiamento forte in generale». Poi non risparmia qualche frecciata al leader Idv. «La figura carismatica nei partiti è superata. Di Pietro dice da tempo che toglierà il suo nome dal simbolo? Forse è arrivato il momento di farlo». Non evita di commentare la vicenda del consigliere regionale del Lazio Vincenzo Maruccio, indagato dalla procura di Roma per peculato. «Oggi non regge più la favoletta delle mele marce, perché se le mele marce sono tante diventa un frutteto».

Al centro delle accuse finisce sempre la gestione leaderistica del partito. «Di Pietro fa il padre padrone – ammette Razzi – Nessuna novità, l’ho scritto anche nel mio libro (“Le mie mani pulite”, l’autobiografia presentata lo scorso febbraio a Montecitorio alla presenza di Vittorio Sgarbi e Silvio Berlusconi, ndr)». È un leader attorniato «solo da yesman» ammette Cambursano. Il deputato fuoriuscito racconta un episodio che risale allo scorso novembre, quando si insediò il governo Monti. «Un paio di giorni prima del voto di fiducia, venne organizzata una riunione dei due gruppi parlamentari. Per la prima volta si decise a maggioranza: 23 votarono a favore della fiducia, una decina, tra cui il presidente e la sua cerchia più ristretta, votarono contro. Bene, qualche settimana più tardi, al momento di decidere la linea politica sul decreto Salva Italia, tutti i presenti cambiarono idea. E si stabilì all’unanimità di votare contro la fiducia». Tutti tranne Cambursano, ovviamente. Che per correttezza decise in quell’occasione di lasciare il gruppo e il partito.

Oggi sono in molti a rimpiangere quelle scelte. Dalla bocciatura tout court del governo Monti al progressivo allentamento dal Partito democratico. Basterà un congresso straordinario per cambiare linea politica? Forse è troppo tardi. «Ma come si può massacrare il Pd un giorno sì e l’altro pure e pensare all’ultimo di poter tornare insieme?». 

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