«Spero che non si perda mai di vista una cosa: che tutto, qui, è cominciato da un topo», diceva Walt Disney nel 1954, dopo aver fondato e costruito il suo primo parco a tema “Disneyland”, dalle parti Una battuta, senz’altro, ma falsa. Il successo di Walt Disney e di tutto il suo mondo, che adesso è diventato un impero, nasce prima, molto prima, che arrivasse nel 1928 Mickey Mouse. La Walt Disney Company è il più grande conglomerato economico, almeno in termini di ricavi, di tutto il mondo. Copre un vastissimo raggio di attività e, soprattutto, è un brand, anzi, il brand. Topolino, con tutti i suoi nomi per ogni paese, lo conoscono tutti. E, a dispetto di quanto volesse dire il suo fondatore, la grandezza della Walt Disney Company non è nata da un topo.
All’origine c’è l’ambizione, la vena artistica, alcuni momenti fortunati e la tenacia di non mollare neppure di fronte a fallimenti piuttosto gravi, come accadde nel 1923, con la sua Laugh-O-Gram, il suo primo vero tentativo imprenditoriale, a Kansas City. In quel caso i ricavi furono insufficienti, troppo pochi per pagare i disegnatori (Walt Disney ha dovuto chiudere, e riprovare più tardi a Hollywood, insieme al fratello e a un capitale iniziale regalato dai genitori, che hanno dovuto accendere un mutuo). Ma l’idea c’era già.
Walt Disney, in ogni caso, è una figura controversa. Da disegnatore, figlio di un cercatore d’oro, ha saputo inventare uno dei simboli degli States del ’900, e poi di tutto il mondo. Non si trattava solo di “far sognare i bambini”: il mondo dell’animazione, da quando c’è stato Disney, non è stato più lo stesso. Ha avuto coraggio per tentare vere e proprie imprese (all’epoca era impensabile un lungometraggio di cartoni animati, come Biancaneve, ed era – e fu – anche costosissimo) e l’abilità di averne tratto i frutti, in termini monetari. Rappresentava, però, anche una cultura aziendale rigidissima che, in molti casi, toccava il dispotismo. Uno degli esempi più citati riguardava la fissa per i baffi, che nei suoi studi poteva avere solo lui. O il divieto, pena licenziamento, di dire imprecazioni e parolacce. Su di lui pende anche, non dimostrata fino in fondo, l’accusa diffusa di filo-nazismo e anti-semitismo, da cui si sarebbe difeso mai in modo abbastanza efficace da eliminare ogni dubbio.
Più di tutto, era americano. Nato a Chicago (e non, come vuole una leggenda che fatica a spegnersi, in Spagna ad Almeria) il 5 dicembre del 1901, si trasferì a quattro anni con la famiglia nel Missouri, a Marceline, dove avevano del terreno. Lì impara a disegnare, per poi trasferirsi, ancora, a Kansas City. È lo scoppio della Prima Guerra mondiale che lo vede in prima fila. Prima con vignette e fumetti patiottici nel 1917, poi nel tentativo – vano – di arruolarsi. Anche lui, come Ray Kroc, finirà a guidare le ambulanze della Croce Rossa in Francia, ma solo dopo l’armistizio. Al ritorno cercherà di dedicarsi solo ai disegni: fumetti, vignette, manifesti. Un momento fondamentale: alla Kansas City Film Ad Company, scoprirà l’animazione, e vorrà dedicarsi solo a quella, tanto da fondare una sua azienda, che però, come già detto, fallirà.
I primi tentativi a Hollwood sono una serie di episodi che vedono insieme umani e cartoni animati. Una serie di passaggi tratti da Alice nel Mondo delle Meraviglie, che durerà fino al 1927 e dà i suoi primi guadagni. Ma l’interesse che cresce è solo per i personaggi animati, fino al vero, primo successo: il coniglio Osvaldo. Appartiene a quella categoria di personaggi ispirati ad animali le cui avventure sono, perlopiù, tutte uguali e che all’epoca erano molto numerosi. Osvaldo, proprio a causa del suo successo, sarà un altro grande falimento per Disney: gli verrà sottratto dalla Universal, che deteneva i diritti (che gli portò via anche molti disegnatori). Per rivalersi, Disney lancia la sua nuova creatura. Stavolta, si trattava di un topo. Voleva chiamarlo Mortimer, ma la moglie, Lilian, lo convince per un nome più musicale: Mickey, diceva, andrà benissimo. Mai fu più profetica.
L’arrivo di Mickey Mouse segna la svolta, tanto che la sua nascita viene raccontata attraverso un alone leggendario. Un topo che gli appare per strada, proprio dopo aver perso Oswald the Rabbit. O un vecchio roditore che girava negli studi della Laugh–O–Gram, e che gli sarebbe tornato in mente nei momenti bui. In realtà, se si confrontano le figure di Osvaldo e Topolino, sono più le somiglianze che le differenze. Anzi, l’unica differenza sono le orecchie, che denotano la specie animale cui si vuol far riferimento.
Il coniglio Osvaldo
Le sue prime animazioni erano mute: solo immagini in movimento, ma sul mercato non funzionavano. E allora Disney decide di cambiare tutto, e puntare su una novità: i cartoni con musica e suoni sincronizzati. Era una tecnica nuova e rara. Il primo esempio fu Steamboat Willie, in cui compare Topolino, insieme a Minnie e a quello che diventerà Gambadilegno. Una parodia di un film con Buster Keaton che mette in luce tutte le nuove potenzialità: c’è anche un filo di doppiaggio. Tutte le frasi (poche) dei personaggi, sono pronunciate dallo stesso Walt Disney. Fun un grandissimo successo. Tanto che Topolino, pur essendo un personaggio immaginario, ricevette un Oscar.
Continuare in quella direzione era d’obbligo: lo sviluppo delle tecniche, l’introduzione del colore, la nascita di nuove forme di creazione artistica erano tutti risultati da raggiungere, in un clima di grande fervore che lo stesso Disney alimentava, spesso anche con atteggiamenti durissimi nei confronti dei suoi dipendenti. Ma che portò alla sua “follia”, secondo quanto diceva la sua concorrenza: il primo lungometraggio d’animazione, Biancaneve e i Sette Nani. Un periodo lungo e duro, di addestramento e sperimentazione. Disney, in questa idea, stava rischiando tutto: nel 1934 aveva già finito i soldi per la sua produzione, e per ottenerne di nuovi doveva mostrare alcuni saggi del cartone. Era una sfida. Quando, il 21 dicembre 1937, venne proiettata per la prima volta, alla fine il pubblico gli regalò lunghi minuti di applausi. Ce l’aveva fatta, qualcosa nel mondo sarebbe cambiato per sempre.
Le sfide della Disney portarono a nuovi film e idee, progetti e ambizioni. Walt Disney collaborò con il governo durante la seconda guerra mondiale, privilegiando animazioni patriottiche. Nel 1947, appena iniziata la Guerra Fredda, risalgono altri momenti bui della sua figura. Testimonianze false, secondo alcuni, per inchiodare alcuni suoi dipendenti come filocomunisti (forse per punire alcune agitazioni sindacali?) Ma era un impero in crescita: nuovi film e nuovi studio di produzione, fino all’ultima grande “follia”: il parco a tema, che riproduceva in forma reale e del tutto nuova, le ambientazioni dei film e dei personaggi della sua azienda, i “personaggi-Disney”. Ad Anaheim, vicino a Los Angeles, sorge Disneyland, dove il castello di Cenerentola è diventato l’emblema, e il simbolo, di tutta la Disney. Un non-luogo parallelo, di un mondo immaginario, appunto, che diventa reale. Come tutte le grandi creazioni degli imprenditori.