Portineria MilanoFormigoni è finito, ma il centrosinistra è allo sbando

Formigoni è finito, ma il centrosinistra è allo sbando

«Transitate lo cavalcone in fila longobarda!». Sembra di guardare lo Monaco Zenone dell’Armata Brancaleone di Mario Monicelli, invece sono le gesta delle opposizioni nella regione Lombardia di Roberto Formigoni. Il governatore in caduta libera, mollato dalla Lega Nord e dagli amici del Popolo della Libertà, prossimo alle dimissioni e allo schianto politico, riesce comunque ancora una volta a mostrare tutti i difetti di una coalizione di centrosinistra che sul territorio lombardo non vince da decenni.

Era già successo il 7 giugno scorso, quando dopo aver presentato una mozione di sfiducia contro il Celeste, il Pd pensò bene di lasciar partire il capogruppo Luca Gaffuri per la Grecia, isola di Kos, proprio nel giorno della votazione: il risultato era scontato come il fallimento dell’operazione.

La lista di insuccessi è lunghissima. Parte dalla candidatura di Filippo Penati alle regionali, il ras di Sesto San Giovanni che il giorno della sconfitta in consiglio, guardando un Formigoni euforico per le quarta vittoria, sospirava così. «Ho fatto la mia parte, ora non scassatemi più i c…..».

E infatti a rovinargli l’esistenza è arrivata la magistratura, che lo ha indagato per la vicenda Serravalle e lo ha fatto rimuovere dai padri nobili della sinistra milanese. I democratici ora sembrano esserselo dimenticato, lui che è stato l’unico vincitore in provincia di Milano nel 2004, dopo anni di insuccessi Ds nello stile dell’Inter di Massimo Moratti pre-calciopoli. 

La gioia della sconfitta non manca mai in casa Pd. Mesi e mesi a sostenere che per Formigoni il tempo è scaduto, ore passate ad annunciare le proprie di dimissioni in consiglio regionale da consiglieri, ma ancora nessuno è riuscito a capire se queste dimissioni ci siano state oppure no.

Ha iniziato Maurizio Martina, segretario regionale democratico, la scorsa settimana, non appena Domenico Zambetti, assessore alla Casa in odore di Ndrangheta, varcava le porte del carcere. Camaleontico Martina, uno che prima stava con Walter Veltroni e poi è diventato filo Pierluigi Bersani, capace di titolare i suoi comunicati stampa del 26 settembre con «siamo pronti alle dimissioni», per poi scrivere all’interno di aspettare prima il passo indietro di Pdl e Lega: in pratica come urlare ai sassi. 

A minacciare di dimettersi hanno continuato poi altri consiglieri pubblicando su twitter minacciose foto di lettere con timbri regionali e stemmi «araldici». Non finisce qui. Ieri a dimettersi (è la terza volta ndr) è stato Gabriele Sola, consigliere dell’Italia dei Valori, che ha annunciato nelle motivazioni della sua scelta di »non voler percepire il vitalizio che scatterebbe il 20 ottobre».

In realtà, a quanto si è capito, la mossa non varrebbe a molto, perché Sola rimarrà comunque consigliere regionale fino al termine della legislatura. Ma il punto intorno a cui ruota la vicenda è questo benedetto «vitalizio», che i quotidiani forcaioli imputano solo a Nicole Minetti, l’igienista dentale del Bunga Bunga cara all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Anche qui il centrosinistra dimostra di brancolare nel buio. 

C’è chi dice che il decreto legge del governo Monti abbia già messo le cose in ordine, con una nuova normativa che impone almeno 10 anni di mandato per vantare la «pensioncina» dopo i 66 anni. Ma c’è chi invece dice di no, che è tutto ancora in alto mare. Che insomma se si passa il 20 ottobre la pensione di 1300 euro al mese a sessant’anni non te la toglie nessuno. Giuseppe Civati, detto Pippo, consigliere del Pd, sostiene che non c’è «nessuna data da aspettare». Dalla Lega Nord e dal Pdl, invece, dicono sia molto vero, tanto che i secondi hanno minacciato pure loro di andarsene.

E poi, se non fosse vero, perché Sola si è dimesso? Misteri. Franco Mirabelli, ex Ds, consigliere regionale del Pd, glielo ha scritto su twitter: «Gabriele Sola imbroglia i cittadini il vitalizio non lo prenderà nessuno comunque nè oggi nè tra un anno e lo sa». Insomma alla vigilia delle elezioni, dopo quasi vent’anni di dominio Formigoniano, di Cl, di Lega, di Carroccio, Padania, Crocifissi, divieti di mangiare il kebab, Trota e Minetti, camicie a fiori, sembra scorrere buon sangue tra i democratici.

Tra i misteri del consiglio regionale ce n’è un altro: una settimana fa le «dimissioni» avevano senso nel centrosinistra ora non le hanno più. «Non siamo mica pesci nel barile», fanno sapere dal gruppo. Perchè valgono ancora per il solo Sola? Accantonata quindi l’operazione «dimettiamoci in blocco», già dimostratasi fallimentare, nell’attesa dell’addio del Celeste, il centrosinistra è tornato al suo vecchio slogan #liberalasedia, una manifestazione che, in modalità diverse, dura ormai da 17 anni.

Cortei sotto la regione, due bicchieri di buon vino, attesa per le prossime mosse di Formigoni e soprattutto della magistratura. Il governatore lo ha pure scritto su twitter. «Non è per le opposizioni che termino il mandato». Semmai, come ha fatto notare qualcuno, grazie alla procura di Milano. E, soprattutto, a una Lega Nord che ha deciso finalmente di staccare la spina. 

Così, all’insegna del «facciamoci del male», è iniziata una corsa sfrenata alla candidatura in Lombardia, simile a un Fantozzi alle prese la mattina con l’autobus che lo porta al lavoro. Vogliono candidarsi tutti alla presidenza. C’è naturalmente Martina, che preme su Bersani per una candidatura di «spessore»; c’è il segretario provinciale Roberto Cornelli; c’è la ginecoloca dei Vip Alessandra Kusterman, che la casalinga di Voghera forse non sa chi è, ma che il Corriere della Sera è sempre prodigo nel sponsorizzare.

C’è poi Bruno Tabacci, che però non è piddino e quindi, oltre a essere candidato alle primarie, non è chiaro come possa rientrare nella partita. Si dice ci sia pure Stefano Boeri, l’assessore alla Cultura del comune di Milano. «Ce ne sarà uno per ogni corrente, Bersani, Renzi e Puppato», taglia corto un democratico che assiste inerte alla corsa ai saldi di fine corsa formigoniana.

E le primarie? Chissà. Un documento – ci spiegano – indicherebbe il metodo in questione. Ma pare che qualcuno nel Pd stia già trattando con il sindaco di Varese Attilio Fontana, quota Lega Nord, che vorrebbe allargare la coalizione in vista delle elezioni: sarebbe un modo per evitare la gara fantozziana. Del resto lo Monaco Zenone è sempre in agguato. «Abbiate fede nello cavalcone! Isso è forte!». Proprio come il centrosinistra lombardo. 

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