Obama e Romney, finita l’epoca delle idee ambiziose la politica è ostaggio della classe media

Obama e Romney, finita l’epoca delle idee ambiziose la politica è ostaggio della classe media

BERLINO – La paura della classe media: questo è il tema di fondo che monopolizza l’attenzione del dibattito americano. Dopo i brevi discorsi introduttivi, il presidente Barack Obama ha parlato immediatamente di “creazione di posti di lavoro”, con dichiarazioni che si sono giocate sul filo della logica statistica. Secondo lo sfidante repubblicano Mitt Romney, Obama non ne avrebbe creato alcuno, mentre per Obama la sua amministrazione ne avrebbe aggiunti cinque milioni negli ultimi cinque mesi. Per la felicità di qualche scuola filosofica della Grecia classica, entrambi avevano ragione: se contiamo da gennaio 2009 (insediamento di Obama) il saldo dei posti di lavoro è negativo, ma da febbraio 2010 sono stati effettivamente aggiunti cinque milioni di occupati.

Ulteriori giochi statistici sono arrivati quando si è parlato a raffica di altri temi cari alla borghesia americana: tasse sulla classe media, reddito dei nuclei famigliari, petrolio e prezzo della benzina, tagli fiscali e impatto sulle famiglie, disoccupazione, aumento dell’uso dei “food stamp” per far mangiare gli indigenti. Traspare l’immagine di un’America in difesa: dalle visioni del futuro democratico, si è passati alle speranze di salvezza.

È chiaro che si trattava solo del primo dibattito, concentrato sulla politica domestica. Eppure, nel primo incontro di quattro anni fa tra Obama e l’allora sfidante repubblicano John McCain, si era parlato di temi meno urgenti, o di altro livello di etica, come il cambiamento climatico o la morte dei soldati americani in Iraq e Afghanistan. Dall’Obama-Romney dell’altra sera emerge la necessità forte di un elettorato in cerca di sicurezze, e non di ambizioni. Le parole di crisi venivano interrotte costantemente da stacchi pubblicitari, a creare un effetto distonico e, a suo modo, affascinante. I temi cari al post-kennedianismo di Obama sono crollati dalle priorità del dibattito. Il tema “produzione petrolifera” è stato affrontato dopo appena undici minuti dall’inizio, mentre le “aziende verdi” sono state relegate all’ultima posizione, dopo un’ora e venti di dibattito.

Romney non ha trascurato di ricordare come molte delle aziende verdi finanziate da denaro pubblico siano fallite – la metà di quelle che hanno ricevuto denaro, in un progetto federale da 90 miliardi di dollari.

Ci si domanda come mai Obama non abbia tirato fuori la storia del video in cui Romney sostiene di voler rappresentare solo la metà degli americani, quella che “paga le tasse”. Sarà stato forse per strategie elettorali particolari: lo staff di Obama ha negoziato che Romney non citasse particolari scomodi della presidenza attuale, e in cambio Obama non ha aperto bocca sulla strepitosa gaffe di Romney. Oppure, il proiettile viene custodito fino all’ultimo dibattito, in cui potrà essere sparato al fine di causare il maggior danno possibile al candidato repubblicano.

Il dibattito repubblicano-democratico diventerà sicuramente più interessante con l’approssimarsi delle elezioni di novembre. E, per quanto culture e abitudini elettorali siano diverse, servirà anche per comprendere come saranno gli orientamenti delle elezioni nei paesi europei nel 2013.

In quanto a temi e priorità, sembra che anche il duello in Germania tra Angela Merkel e lo sfidante socialdemocratico (appena nominato) Peer Steinbrück verterà su temi simili. I timori della classe media stabiliscono il tono del confronto: la sicurezza dei posti di lavoro, le tasse, la polarizzazione dei redditi, l’educazione. Si tratta di temi che hanno già invaso le prime pagine dei quotidiani tedeschi, a un anno dalle elezioni federali.

Il secondo dibattito americano, l’11 ottobre, avrà la forma della “discussione pubblica” con domande degli spettatori, e sarà aperto alla politica estera. In realtà, un tema di esteri si è affacciato anche nel primo incontro, quando si è parlato del disimpegno dalle guerre mediorientali e del minor costo per il bilancio pubblico – anche se la chiave era economica. Ha detto Obama: «Prendiamo parte dei soldi che risparmiamo chiudendo due guerre per ricostruire l’America». Parole sante, ma tinte di isolazionismo, con spunti di etica di altro spessore rispetto alle considerazioni sull’etica del sacrificio dei soldati americani, nei dibattiti con McCain quattro anni fa.

Con il secondo incontro pubblico si capirà ancor meglio quali saranno le priorità nella testa degli elettori americani. Obama avrà scoperto il fianco della situazione iraniana, della crisi europea, delle nuove rivolte arabe contro le ambasciate occidentali, dell’aggressività cinese.

Non possiamo illuderci che grandi potenze come Germania e Stati Uniti discuteranno mai di politiche estere colme di ideali e visioni, come nei bei tempi quando c’era da contrastare l’Unione Sovietica. L’agenda politica è, mai come da decenni a questa parte, paranoicamente concentrata sulle priorità domestiche. È pur vero che qualsiasi politica estera serve le necessità nazionali, altrimenti non ha senso; ma può spaventare la prevalenza delle politiche di “breve termine” su quelle di ampio respiro, che potranno dare una nuova forma al contesto economico internazionale.

La Germania deciderà di salvare Grecia e Spagna non se esso servirà al futuro economico europeo da qui a dieci anni, ma se la classe media elettorale tedesca non sarà troppo spaventata. Gli Stati Uniti decideranno di avere un ruolo nella rinascita economica mondiale solo se la classe media lo accetterà. Tedeschi e americani non vogliono eleggere nessuno che abbia il vizio di regalare soldi ai paesi in difficoltà, che sia giusto o meno. A noi, ai confini degli imperi, non resta che aspettare, e sperare.