Ieri a Milano è andata in scena una delle cose più finte e costruite del mondo: l’incoronazione di Matteo Renzi da parte della città che conta (o che conterebbe), che ha i danè (o li avrebbe), che rappresenta la buona borghesia produttiva (o la rappresenterebbe). Insomma, un bel pomeriggio-sera tra presente e condizionale.
Nella storia di questi incontri, è inevitabile che il meccanismo si rovesci cinicamente, che il grande si faccia piccolo e il piccolo grande. I grandi sono (o sarebbero) quelli che nella vita si sono fatti un mazzo così nei loro mestieri molto produttivi e che per una manciata limitatissima di ore sono disposti a sentire le chiacchiere vuote di un piccolo che non ha fatto neppure un centesimo delle loro imprese.
È il gioco della politica, bellezza, che la borghesia di questi ultimi trent’anni ormai non governa più e neppure affianca (se mai lo ha fatto), essendone totalmente subalterna. Che adesso, noi milanesi di livello si debba anche prendere lezioni da un pivello toscano, questa è proprio grossa. E neppure tanto lusinghiera. Ma così sembra andare.
Per sostenere questa messinscena semi-istituzionale, si crea un’utile finzione drammaturgica che possa difendere il buon nome di ognuno. Si dà per accettato, quindi, che sia il candidato premier (se mai lo sarà) a prendere lezioni di economia da questi signori, che naturalmente sull’argomento la sanno lunghissima, così proteggendo l’onorabilità e la dignità professionale di tutti i partecipanti. Ma in realtà l’obiettivo è un altro.
In realtà, l’obiettivo di chi si è messo in fila per l’incontro con Renzi e che avrebbe bypassato volentieri questa inutile pre-sceneggiatura, è arrivare direttamente alla sostanza, alla ciccia, al cuore della cosa, che ha spinto anche alcune signore dei medesimi a cercare almeno uno strapuntino: ascoltare lui, il Matteo, sentire il suo flauto dolce, immaginare insieme il sogno di un’Italia diversa, esserci, partecipare alla sua avventura, in un concetto poter dire l’indomani (al bar, nei salotti, sul tram per chi lo prende, nella sala vip di Fiumicino o Linate): io c’ero. Tu no.
E scorrendo i nomi di chi ha partecipato, c’è effettivamente di che inorgoglirsi, essendo Renzi Matteo venuto dal (quasi) nulla. Economisti, finanzieri, banchieri, imprenditori, insomma roba piuttosto grossa si è mossa per lui, gli ha aperto la Milano che conta (e quella che vota?), gli ha fatto capire che sul suolo meneghino il candidato può contare su un solido parterre.
Percentualmente, sarebbe curioso dividere le quote sentimentali che hanno animato l’incontro: quanti i veri curiosi, quanti gli approfittatori del momento, quanti gli abili saltatori sul carro di un possibile vincitore, quanti gli inguaribili snob e quanti, infine, gli appassionati studiosi di un Paese che dovrà cambiare e magari lo potrebbe davvero fare con Matteo Renzi.
Milano un po’ troppo subalterna al politico di turno fa una certa impressione e in questo assalto alla diligenza Renzi ci dev’essere senz’altro una parte di rancore anche piuttosto pronunciato nei confronti del Partito Democratico, almeno per come lo abbiamo conosciuto sino a oggi. Questi signori borghesi lo considerano ancora comunista, questo è evidente, e hanno timore che con un Bersani segretario e un Vendola stretto alleato le cose potrebbero precipitare. Ma certo, fa impressione notare uno spiegamento di forze di questo genere che neppure la Moratti, appartenente a una delle famiglie storiche di Milano, ebbe così smaccatamente. Ricordate questo afflato per la signora Letizia? Noi no.
Al fondo di tutta la storia, una domandina legittima si potrebbe anche porre: vi ha forse ordinato il medico di essere di sinistra, lo siete mai stati, e perché lo volete diventare proprio adesso?
Come dite, il Matteo non è di sinistra…?