Portineria MilanoRenzi attacca D’Alema su Telecom e dice: «Ad Arcore tornerei domani»

Renzi attacca D’Alema su Telecom e dice: «Ad Arcore tornerei domani»

Milano. Conquistare i delusi «che hanno votato Berlusconi e Lega Nord» a Milano e in Lombardia, «senza punirli per le loro scelte passate, come spesso fa la sinistra». E, soprattutto, in vista delle prossime elezioni, politiche e regionali, «basta farci del male tra di noi». Matteo Renzi riempie il Teatro Dal Verme (più di duemila persone fuori e dentro) per una delle sue ultime tappe del tour «Adesso» in vista delle primarie nel Partito Democratico. C’è la fila fuori per ascoltarlo, con la gente che rimane in coda ordinata, all’esterno di quella sala che l’anno scorso ospitò le ormai storiche «mutande» del direttore del Foglio Giuliano Ferrara.

Renzi cita la Milano «capitale del volontariato e non della finanza», parla del cardinale Carlo Maria Martini («Per molti di noi un punto di riferimento»), poi ricorda la lettera che l’avvocato Giorgio Ambrosoli lasciò alla moglie Anna prima di morire ammazzato («Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto»). Quindi abbraccia il sindaco Giuliano Pisapia («Che non vuol dire che mi appoggia alle primarie» ironizza) ricordando la forza gentile e arancione che ha permesso al centrosinistra di vincere contro il centrodestra nel 2011 contro Letizia Moratti.

Sarà il solito «road show», quello dello sfidante di Pierluigi Bersani alle primarie del Pd, fatto di slogan, battute e immagini già viste e riviste, come ricorda giustamente qualcuno. Ma Renzi convince il popolo meneghino, con molti giovani – anche ciellini o ex pidiellini – che lo applaudono fino all’ultimo minuto del suo discorso. Sono tanti i ragazzi del movimento di don Giussani che si galvanizzano su Twitter quando si vira sul tema della scuola e dei docenti «non fannulloni, ma missionari».

«Vogliamo vincere, Matteo», gli urla qualcuno dalla platea a un certo punto, scatenando un boato da stadio. Proprio qui sta la chiave della serata del sindaco di Firenze: la vittoria. «Non voglio trovarmi a perdere come nel 2008», spiega Renzi, tirando bordate al centrosinistra e alla vecchia nomenklatura Ds, ricordando un ministro di Grazia e Giustizia come Clemente Mastella o a uno alle Infrastrutture come Antonio Di Pietro. 

Se pensate alle primarie dell’Unione di qualche anno fa, si comprendono gli errori che Renzi vorrebbe scongiurare. «Mastella, mister 4%, ministro di Grazia e Giustizia. Saremo una coalizione seria quando consentiremo di fare il Guardasigilli a Giuliano Pisapia e non al sindaco di Ceppaloni». Fragore. Ma tutte le rassicurazioni sono per i militanti piddini che, in piccionaia, hanno appiccicato una bandiera del partito dalle balaustre del teatro. «C’è nobiltà, dignità e bellezza nell’accettare la sconfitta. Se perdo, resto in casa mia, vale a dire: nel Pd». 

Nella città che fu di Bettino Craxi prima e Silvio Berlusconi poi, («Milano è stata una città importante per la politica anche se un po’ di dispiaceri ce li avete dati», chiosa Renzi), «il rottamatore» prova a cogliere un aspetto non marginale: il motivo per cui la sinistra perde a Milano da quasi vent’anni. Ovvero la demonizzazione dell’avversario che per molto tempo ha caratterizzato la politica del capoluogo lombardo, dove Berlusconi ha sempre fatto incetta di voti, tra professionisti e imprenditori. 

«Ad Arcore ci sono andato e ci tornerei anche domani mattina», ripete il primo cittadino di Firenze. Poi ribadisce che «a chi ha votato Berlusconi bisogna spiegare il nostro programma, bisogna coinvolgerlo, non dire che ci fa schifo il suo voto». E allo stesso tempo spara contro la Lega Nord. «Quelli che votavano Lega e hanno visto che i leghisti si trovavano bene a Roma sono delusi, ma non dobbiamo andare a parlar loro del Dio Arno, dobbiamo dire cosa vogliamo fare», aggiunge, passando, al solito, da un argomento all’altro. 

Dalle imprese che soffrono l’eccessiva burocrazia e i problemi della giustizia civile, fino alla legge Bossi-Fini che impedisce «ai cervelli di venire da noi in Italia: già abbiamo i nostri che se ne vanno e non facciamo niente per attrarne». Scorre l’immagine di Balotelli che abbraccia la madre in lacrime. «Ius soli prevalga; un bambino che nasce in Italia è un cittadino italiano». Tra le righe ricorda l’Expo 2015, un evento importante, «una ghiotta occasione che non dobbiamo lasciarci sfuggire per il sistema paese».

Ricorda la capitale «del volontariato», del settimanale no profit Vita. Poi spiega il suo punto di vista sulla finanza, dopo le polemiche su Davide Serra e gli hedge fund. «Quindici giorni fa sono venuto qui e mi hanno detto che ero un pirata delle Cayman, quando in realtà ho ancora un mutuo trentennale da pagare», sostiene. E qui attacca a testa bassa la politica, in particolare quella del centrosinistra. «Perché non è la finanza a essere buona o cattiva, è la politica che non deve essere subalterna a un certa finanza, che può essere con la spina dorsale o strisciare di fronte ai poteri finanziari». 

La bordata più forte è proprio per Massimo D’Alema, quello dei capitani coraggiosi e dell’opa su Telecom. «La politica che di fronte alle scalate di presunti “capitani coraggiosi” si mette prona, che consente di vendere o svendere Telecom, di distruggere in 15 anni quello che i senesi hanno costruito in sei secoli di storia». Chiaro riferimento, quest’ultimo, al Monte dei Paschi di Siena e ai problemi che la banca sta affrontando in questi ultimi mesi.  

Poi torna tranquillo. «Quanto sarebbe bello imparare da Milano la cultura del dialogo», spiega. «Far politica significa accettare il dialogo. Laicità significa ascoltare tutti. Credo in un’Italia che non spreca il tempo in un derby tra tifoserie. Oggi, milanesi, avete una responsabilità doppia. Abbiamo responsabilità di guida della città e, se non facciano errori, anche la guida della regione».

Quanto alla accusa che Renzi sia un infiltrato delle destra, lo ribadisce: «questa è la logica dell’insulto, dell’odio verso chi è accanto a te e non la pensa come te». Ho incontrato Berlusconi in luoghi non istituzionali, «E allora? Se Bersani domani diventa Presidente del Consiglio, corro ad incontrarlo anche alla pompa di benzina».