TBILISI – E il primo ottobre sfiorì la rivoluzione delle rose. Nel 2003 fu brandendo i fiori (e senza spargimenti di sangue) che la coalizione di Mikheil Saak’ashvili prese il potere, strappandolo al vecchio Eduard Shevardnadze, residuo sovietico da troppi anni a capo della nuova Georgia indipendente. Oggi Saak’ashvili – che resterà presidente fino al 2013 – ha dovuto ammettere la sconfitta del suo partito alle elezioni parlamentari, sopraffatto da una nuova formazione politica, Sogno Georgiano, messa in piedi in appena cinque mesi dal miliardario Bidzina Ivanishvili, uomo più ricco di Georgia e 167° più ricco del mondo, secondo Forbes.
«Cari compatrioti!», ha esordito Saak’ashvili in un discorso in tv alle 14 locali di oggi (le 12 in Italia). «I risultati delle elezioni parlamentari ci consegnano il vantaggio della coalizione Sogno Georgiano. Questo significa che la nuova maggioranza potrà formare un nuovo governo. Sapete bene che le idee di questo movimento erano e restano fondamentalmente inaccettabili per me. Ci sono profondissime differenze tra noi e loro, e noi crediamo che molte delle loro idee siano profondamente sbagliate. Ma così funziona la democrazia, e così ha scelto la maggioranza del popolo georgiano. E noi lo rispettiamo. Come presidente, secondo quanto previsto dalla costituzione, parteciperò all’avvio dei lavori del nuovo Parlamento. Allo stesso tempo, come leader del Movimento Nazionale Unito mi preme dire che andremo all’opposizione. Negli ultimi otto anni le conquiste della Rivoluzione delle Rose sono state fondamentali per la storia nazionale – tanto che questo è uno dei momenti più importanti nella plurisecolare storia del nostro Paese – e hanno fatto diventare la Georgia un luogo chiave per il resto del mondo. In conseguenza di ciò, sono intimamente fiducioso che, al di là dei pericoli che queste conquiste potranno incontrare nei prossimi mesi o anni, sarà impossibile tornare indietro. Come forza di opposizione, combatteremo per il futuro del nostro Paese, difendendo tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni in termini di lotta contro la corruzione, il crimine, per la modernizzazione della Georgia, per il consolidamento delle nuove istituzioni. Cercheremo di difenderle il più possibile e di garantire la loro esistenza alle future generazioni. Certo, esprimo il mio rispetto per la decisione della maggioranza di chi ha partecipato al voto, ma allo stesso tempo ringrazio i tanti che hanno espresso la loro fiducia al governo in carica e al presidente, votando il nostro partito, e sono sicuro che, in futuro, non ci saranno alternative al progresso, per la Georgia».
Il discorso in tv in cui Mikheil Saak’ashvili ha ammesso la sconfitta del suo partito
La campagna elettorale è stata una storia di clacson e di numeri. I numeri sono quelli che in Georgia sono assegnati ai partiti. Quello del presidente aveva il 5, quello del miliardario il 41. Così su migliaia di muri si poteva leggere «Vota 41!» o «Vota 5!». L’algebra applicata alla politica prevedeva anche altri schieramenti (e i rispettivi – meno numerosi – «Vota 10!» e «Vota 27!» sui muri), ma nessuno ha superato lo sbarramento del 5%. Quanto ai clacson, da queste parti si usa fare propaganda così, sfilando in macchina con bandiere e sciarpe fuori dal finestrino, come quando in Italia si vince il campionato. E così, per settimane, è stato un infinito, rumoroso carosello. Poi, l’ultimo sabato prima del voto di lunedì 1° ottobre, il partito 41 ha tenuto il comizio di chiusura davanti al palazzo del Comune di Tbilisi, nella piazza dove c’era Lenin e ora San Giorgio sulla colonna uccide il drago. La folla è stata oceanica e i suonatori di clacson del miliardario hanno capito che potevano davvero farcela, e i decibel sono saliti alle stelle.
Una folla enorme ha partecipato al comizio di chiusura del partito del miliardario Ivanishvili
Un sostenitore del partito 41 (Sogno Georgiano) con la t-shirt ufficiale sulla Fortezza di Tbilisi
Un cartellone elettorale del partito 5 (quello di Saak’ashvili), sconfitto alle urne
Ma è stata anche una campagna dalle forti tensioni. A scaldarla è stato soprattutto un video (qui sotto riprodotto) mandato in onda dalla tv dell’opposizione. Mostra gravissime violenze perpetrate dalla polizia di Saak’ashvili sui detenuti nelle carceri. Accuse pesantissime, a cui il partito del presidente ha controbattuto con altro veleno, ventilando l’ipotesi che il miliardario Ivanishvili (con cui è sceso in campo anche l’ex calciatore di Milan e Genoa K’akhaber K’aladze) avesse corrotto le guardie carcerarie per mettere in scena le violenze allo scopo di screditare il governo in carica.
Queste elezioni erano particolarmente sentite (e hanno visto un’affluenza alta alle urne; il 60,8% degli aventi diritto) anche per le modifiche costituzionali approvate nell’ultimo biennio. Saak’ashvili (che aveva vinto nel 2004 con il 96% e nel 2008 con il 53,47%) non potrà essere rieletto presidente per un terzo mandato. Ma, seguendo la scuola russa, i poteri del primo ministro erano stati aumentati, a scapito di quelli del presidente. Vincendo le elezioni politiche di ieri, il leader della rivoluzione delle rose sarebbe potuto rimanere – sia pure con una carica diversa – l’uomo più forte di Georgia.
Su tutti i palazzi pubblici del Paese sventola oltre alla bandiera nazionale (cambiata da Saak’ashvili dopo la rivoluzione) quella dell’Unione europea, come se la Georgia fosse un Paese membro dell’Ue. Uno dei tanti modi simbolici per rivendicare l’appartenenza all’Occidente e provare a segnare la distanza dalla Russia. Una delle principali arterie della capitale, inoltre, è intitolata a George W. Bush, grande amico di Saak’ashvili (assieme scamparono anche, il 10 maggio 2005, a un attentato a Tbilisi: una granata lanciata da un certo Vladimir Arutinian, che non esplose e mancò l’obiettivo di una ventina di metri). Ma né Usa né Ue hanno mosso un dito, quando, nel 2008, Saak’ashvili dette il via a una guerra lampo nella regione ribelle dell’Ossezia del Sud, e la Russia iniziò a bombardare e costrinse l’esercito georgiano a una pietosa ritirata. Come conseguenza, Ossezia del Sud e Abkhazia sono perdute forse per sempre, con l’esercito di Mosca lì stanziato in forze, e due dichiarazioni d’indipendenza, seppur riconosciute da un manipolo di Stati. Da allora la stella di Saak’ashvili si è oscurata, e molti hanno iniziato a criticare l’avventatezza di quell’intervento militare e le tendenze autocratiche dell’uomo forte educato in America. Per i giovani del 2012 (che parlano benissimo l’inglese anche grazie ai diecimila professori madrelingua fatti arrivare da Saak’ashvili) l’apparato della rivoluzione delle Rose del 2003 era “il vecchio”, e in migliaia hanno indossato le magliette blu di Sogno Georgiano e dato man forte alla campagna elettorale a favore del 41.
Saak’ashvili lascia il suo segno – anche architettonico – nella storia. La capitale è profondamente cambiata in questi anni ed è ancora un infinito cantiere. Padre del nuovo volto di Tbilisi è l’architetto italiano Michele De Lucchi, da noi noto per il suo rapporto privilegiato con Intesa Sanpaolo, per cui ha progettato di tutto, dalle sedi alla grafica delle carte di credito. Suoi sono vari palazzi ministeriali georgiani, il luminosissimo ponte della Pace sul fiume Mtkvari, il palazzo presidenziale con la sua cupola di vetro e molto altro. Tbilisi cambia, e non solo lei. Saak’ashvili, infatti, aveva iniziato il decentramento dalla capitale di molte istituzioni. Nel 2007 la Corte Costituzionale è stata spostata a Batumi, sul Mar Nero. E anche il Parlamento sta per fare le valigie. Lascerà il vecchio palazzo dei Soviet di Tbilisi e avrà la sua nuova sede nella citta di Kutaisi, 200mila abitanti, 220 chilometri di distanza. Stanno poi per sorgere un nuovo resort balneare, Anaklia, e una città da 500mila abitanti tirata su da zero, che si chiamerà Lazica.
Ma questa enorme crescita edilizia (che non ha risolto molti dei problemi economici; primo fra tutti la disoccupazione, vicina al 20%) non è bastata a salvare Saak’ashvili e il suo partito numero 5. A pesare è stata l’accusa di aver puntato tutto sull’Occidente (Ue e Usa) ottenendo in cambio poco o niente. In compenso, la rottura delle relazioni con la Russia ha portato alla infamante sconfitta militare del 2008 e a un boicottaggio dei prodotti georgiani, che vedevano in Mosca il loro mercato di riferimento. Anche i prodotti d’eccellenza, come l’acqua minerale Borjomi e i vini della regione dei Kakheti, hanno sofferto per l’embargo. Pur promettendo di mantenere gli attuali rapporti con Ue e Nato, il miliardario Ivanishvili (che da quando è sceso in politica è stato investito da numerose inchieste della magistratura) vuole riallacciare i rapporti con Mosca. «Abbiamo un enorme bisogno e un enorme desiderio di sistemare le relazioni con il nostro vicino più grande», ha confermato oggi, nella conferenza in cui festeggiava il risultato (all’85% dei seggi scrutinati il suo partito aveva il 54.89% contro il 42.42% di quello di Saak’ashvili, al proporzionale, e teneva alla grande nel maggioritario). «Forse non sarà semplice, ma non risparmieremo nessuno sforzo per riaprire nel più breve tempo possibile gli scambi culturali ed economici». E da Mosca il premier Dmitrij Medvedev ha fatto subito capire di aver gradito il cambiamento di rotta: «Il panorama politico della Georgia sta diventando molto diverso», ha dettato alle agenzie. «Non possiamo che rallegrarcene, perché probabilmente ciò significa che forze politiche più costruttive e responsabili stanno entrando in Parlamento».