TORINO – Ma il Piemonte è fallito o no? Ieri l’assessore regionale alla Sanità Paolo Monferino, parlando alla Commissione Bilancio, aveva usato parole choc: «La Regione Piemonte è tecnicamente fallita. Bisogna trarne le conseguenze del caso». Oggi, fianco a fianco, lui, l’assessore al Bilancio Giovanna Quaglia e il governatore Roberto Cota hanno rielaborato la frase: «La Regione Piemonte è tecnicamente fallita, se non si fa come diciamo noi». «Siamo sul baratro», ha detto il presidente leghista, «Ma cosa facciamo? Chiudiamo baracca e burattini? No. Dobbiamo proseguire in una dura e inflessibile riforma sanitaria. Alla maggioranza chiediamo coesione, all’opposizione e alla stampa responsabilità». E ha concluso con l’ormai abituale «lasciateci lavorare».
Il buco della Regione Piemonte ammonta a 9 miliardi e 960 milioni. Visto che l’82% del bilancio riguarda la Sanità, è presto detto dove bisogna mettere mano. «Quando si legge», ha proseguito Cota, «che il governo ha dato un taglio di una miliardata alla Sanità, bisogna sapere che circa l’8% di quell’ammontare riguarda il Piemonte. Mica noccioline. Così non possiamo andare avanti. Peferisco governare bene e non essere rieletto, che non governare male ed essere rieletto. Poi, magari, se si governa bene, si viene premiati perché un po’ di giustizia c’è. Ma non lo so, non ci giurerei… Stiamo dismettendo tutto quello che non è strategico e proseguiremo sulla nostra strada».
Il piano di Cota e Monferino prevede il taglio di molti piccoli ospedali e, nei maggiori, il riaccorpamento dei reparti. Naturalmente la reazione del territorio e degli addetti ai lavori è di chiusura assoluta rispetto a questa prospettiva. E se finora i malumori sono solo filtrati all’esterno e i comitati hanno iniziato a organizzarsi, non appena – nelle prossime settimane – usciranno le liste definitive dei tagli, probabilmente i primari inizieranno a fare le barricate.
Monferino – che non ama essere chiamato assessore, preferendo l’appellativo ingegnere – si è formato alla Fiat, e quando è stato scelto da Cota nell’agosto 2011 era amministratore delegato della Iveco (qui il suo cv). Ha importato nella politica i modi e il linguaggio da manager e tra i primi provvedimenti ha voluto una circolare che invitava tutti i dipendenti della Sanità regionale a tenere il becco chiuso con la stampa, perché le critiche potrebbero portare nocumento all’azienda in cui lavorano. Finora la cosa ha spento la tradizionale vis polemica, ma non è detto che le cose proseguiranno così, ora che il gioco si fa duro.
Mercedes Bresso non è mai stata citata esplicitamente, ma più volte Cota e i suoi assessori hanno fatto riferimento al colpo di spugna con cui, nel 2006 e 2007, la Regione ha cancellato suoi impegni di spesa nei confronti delle Asl per 900 milioni. Le Asl, vista la difficoltà a ricorrere al prestito bancario, si sono sempre più rifatte sui fornitori. «Le banche», spiega Monferino, «dopo un po’ dicono basta. Il plafond di credito è stabile. Allora si scarica tutto sul sistema dei fornitori, pagandoli sempre più tardi. Ma non possiamo ritardare oltre i pagamenti. Stiamo uccidendo il nostro parco fornitori».
Nel grafico qui sotto si vede come i debiti nei confronti degli istituti di credito sia rimasto pressoché stabile, mentre quello nei confronti dei fornitori sia cresciuto in maniera esponenziale:
«Coprire il disavanzo di bilancio con i mutui – cosa che nel pubblico si può fare – è in ogni caso una prassi folle», ha aggiunto Monferino. Il piano di spending review sarà presentato nel dettaglio nei prossimi giorni. Di sicuro, per ridurre l’indebitamento saranno creati dei fondi immobiliari (con dentro anche gli immobili inalienabili; gli stessi ospedali) e le Asl pagheranno poi un affitto. Oltre alla chiusura di molti istituti sanitari si andrà verso una maggiore mobilità dei dipendenti. «Pochi si sono soffermati sul comma tre dell’articolo uno del decreto Balduzzi», ha spiegato l’assessore alla Sanità. «Tutti impegnati solo a parlare delle bibite gasate… Ma quel comma prevede la mobilità del personale sanitario da azienda ad azienda e addirittura da provincia a provincia. Per noi è importantissimo. Poi agiremo con responsabilità e umanità. Non manderemo un infermiere del biellese in qualche vallata di Cuneo…».
Cota, che ha anche assicurato che nel breve periodo non ci saranno problemi per il pagamento degli stipendi del personale, ha polemizzato con il ministro e con la stampa. «Ci sono due pesi e due misure. Quando i tecnici romani – e poi bisogna vedere quanto sono “tecnici”, perché mi sa che alle prossime elezioni si candideranno tutti – tolgono soldi, sui giornali si parla di “definanziamento”. Quando siamo noi costretti a fare i conti con i guai di bilancio, si legge solo di “tagli drastici”. Balduzzi copia molte delle cose che abbiamo inventato noi in Piemonte, ma evidentemente fa un marketing migliore».
Che si voglia chiamarli “definanziamenti” o “tagli”, il sistema sanitario piemontese è di fronte a una dura svolta. «Basta ospedalicentrismo! Basta ospedali come privilegi locali e centri di potere di politica e primari – sono le parole d’ordine di Cota – gli ospedali diventino centri di erogazione di servizio!». E il governatore piemontese cita il caso dell’Elisoccorso della sua Novara, recentemente soppresso e sostituito con un elicottero di nuova generazione a Borgosesia, in provincia di Vercelli, «perché», dice, «c’è meno nebbia». I novaresi si sono sollevati, il sindaco (a cui Monferino ha risposto piccato) ha definito la perdita «inaccettabile» e i cittadini hanno raccolto 40mila firme. «Questa non la lascio passare liscia», conclude Cota, «40mila sono troppi, ma i primi firmatari vado a prenderli a casa uno per uno e gli chiedo “perché avete firmato la petizione?”. Perché credevate davvero che il servizio peggiorasse o perché avete creduto a quegli operatori che non volevano muovere il loro sederino da Novara e andare a lavorare a 50 chilometri di distanza?».