Senza una sede, con il patrimonio blindato dalla magistratura, per gli ex An rimasti nel Popolo della Libertà sono ore concitate e di apprensione. La decisione di Silvio Berlusconi di sciogliere il partito continua a far discutere Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Massimo Corsaro, come pure Altero Matteoli, Gianni Alemanno e Giorgia Meloni. Ognuno va per la sua strada in questa difficile fase politica, che in un modo o nell’altro potrebbe sancire la fine degli eredi del Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante.
L’unica alternativa a una sepoltura elettorale sarebbe – secondo alcuni – la possibilità di arrivare a percentuali elettorali minime con un nuovo partito, paragonabili alla Destra di Francesco Storace, tra il 2 e 3%. «Oltre a non esserci un’idea politica, siamo pure senza soldi», spiega un pidiellino di area che osserva ogni giorno La Russa strattonare Gasparri, Matteoli chiamare il Cavaliere per avere chiarimenti sulle prossime mosse, Alemanno minacciare le dimissioni a Roma e flirtare con Roberto Formigoni. Mentre Gianfranco Fini, presidente della Camera, leader di Futuro e Libertà, se la ride sotto i baffi.
Il punto però, oltre ai consensi al lumicino e alle poche idee, sono i soldi. A fine luglio una sentenza del Tar ha dato ragione ai ricorrenti di Fli Italo Bocchino, Enzo Raisi e Antonio Buonfiglio, che contestavano la nascita della Fondazione di Alleanza Nazionale, un ente nato dopo la fusione Forza Italia e An, per incassare gli ultimi rimborsi elettorali (55 milioni di euro) e gestire l’ingente patrimonio immobiliare pari a circa 30 milioni. Tra gli immobili, oltre agli appartamenti, anche le sedi storiche del partito, tra cui quella di via Mancini a Milano dove compare ancora una foto di Almirante in comizio in piazza Duomo.
La vicenda è intricata. Lo è diventata ancora di più dopo l’addio (o cacciata ndr) di Fini dal Pdl. Uno scontro senza precedenti, tra misteri su fondi scomparsi, appartamenti fantasma e soldi che non tornano. Di mezzo ci sono una causa civile, una penalee appunto una amministrativa. Già oggi, ad esempio, ci sarà un nuovo pronunciamento rispetto ai rimborsi elettorali che devono ancora entrare nelle casse degli ex aennini. Fino a questo momento a spuntarla sono stati sempre i finiani. Ma la speranza tra i larussiani di ferro è che a un certo punto i magistrati possano concedere qualcosa anche a loro.
È un bel cambio di passo rispetto a quando gli aennini confluiti del Pdl attaccavano a testa bassa pm e gip, spesso impegnati in procedimenti contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma questa è la situazione. Del resto, non ci sono altre strade da percorrere all’orizzonte. E i gruppi di potere che un tempo sostenevano La Russa stanno crollando.
Dell’ormai storico clan di Paternò, fondato da Michelangelo Virgillito – un finanziere arrivato a Milano negli anni ’40 insieme con Antonio La Russa, padre di Ignazio – è rimasto davvero poco. Salvatore Ligresti – l’immobiliarista che un tempo spadroneggiava nel capoluogo lombardo – si ritrova adesso nei guai per il fallimento di Fondiaria Sai, pure lui alle prese con le indagini della procura per le trattative dei mesi scorsi con Mediobanca.
A questo si aggiunga la situazione più che mai traballante di Roberto Formigoni, il governatore della Lombardia nel mirino dei pm per gli scandali San Raffaele e Fondazione Maugeri. In questi anni La Russa ha fatto valere la sua lobby milano-catanese alla corte del Celeste. È riuscito a inserire il fratello Romano (indagato sullo scandalo Aler) come assessore alla Sicurezza. Ha un paternese doc come Salvatore Randazzo in Ferrovie Nord.
Francesco Randazzo – il fratello di Salvatore – ha perso quello nel consiglio di gestione di A2a. Bei tempi quando nel cda di Finmeccanica, azienda statale dove è arrivata la magistratura, sedeva invece Filippo Milone: l’ennesimo membro del clan di Paternò è riuscito a ritagliarsi un incarico da sottosegretario al ministero della Difesa.
Giuseppe Milone invece (sì è anche lui fratello ndr) con un rocambolesca mossa è ora senatore, subentrato al posto di Ombretta Colli il 27 maggio del 2012, quando la moglie di Giorgio Gaber è diventata assessore della giunta di Formigoni in Lombardia. Il potere di La Russa è ormai in disarmo. Anche Geronimo, che vanta un appartamento nella Torre Velasca dei Ligresti, ha perso il posto nel cda di Aci Milano. E’ rimasto davvero poco, con il il genero di Romano, Marco Osnato che si è sposato con Maria Cristina, in attesa della fine delle indagini su Aler.
E nel futuro? Le correnti sono divise. La Russa vorrebbe provare a lanciare un nuovo partito, un Msi in versione smart, moderata e proiettata nel futuro. Gasparri è invece quello che più di altri vorrebbe rimanere legato a Berlusconi. «Fanno la voce grossa, ma non sanno dove andare», commenta un ex del gruppo che guarda con interesse invece al progetto Itaca di Marcello Veneziani.
Proprio sabato Roma ci sono stati due appuntamenti molto importanti per il futuro della destra italiana: la riunione del Comitato Centrale della Fiamma Tricolore che ha sancito la riedizione della alleanza elettorale con La Destra alle prossime elezioni politiche del 2013. Poi il convegno “Ci vorrebbe una Destra per svegliare l’Italia” del Progetto Itaca (Laboratorio Politico per la Rinascita Italiana) promosso da Veneziani, Renato Besana, Pietrangelo Buttafuoco, Giuseppe Manzoni di Chiosca ed altri intellettuali d’area. Non ci saranno i soldi, ma qualche idea è rimasta.