Il sindaco di Verona Flavio Tosi si indigna e annuncia di volersi costituire parte civile contro gli ultrà che hanno intonato cori contro il giocatore del Livorno Morosini. Così incassa la sua bella razione di applausi (La Stampa, per fare un esempio, lo incensava in prima pagina: «Verona porta in tribunale i suoi ultrà») e insomma, evviva il magico Tosi. Eppure c’è qualcosa che non torna. Siamo sicuri che il sindaco scaligero non abbia nulla di cui rimproverarsi? È giusto dire che «una cosa sono i cinquemila tifosi della curva, un’altra i venti deficienti che hanno offeso una famiglia»?
In realtà non ci vuole un genio per capire che i “bravi ragazzi” presenti nella curva veronese a Livorno non sono diversi da quelli che, ogni domenica, il primo cittadino frequenta allo stadio. Tosi va tra gli ultrà da tanti anni, non ha mai smesso neppure con la fascia tricolore e nelle grandi occasioni accompagna l’Hellas (così chiamano il Verona i veri aficionados) pure in trasferta. Mai sentito un coro becero, violento? Evidentemente sì, ma non risultano reazioni e prese di distanza.
Anzi. «Uno stadio non è il Teatro dell’Opera», dice lui. «Una cosa sono le offese a Morosini – spiega – altro sono i cori che ci sono in tutti gli stadi». Gli ho chiesto l’altro giorno: «Ma lei in curva non ha mai sentito il coro “devi morire, devi morire”?» «Sì certo – ha risposto – ma quello esiste dalla notte dei tempi, anche nelle partite di strapaese. Se uno non lo vuole ascoltare, vada a teatro». Dunque, se auguri a qualcuno di crepare (arbitro, avversario) va bene perché così si usa. Se invece te la prendi con uno già morto, allora no. Bella logica.
PS. Tosi è così premuroso con gli ultrà che si scagliò contro il provvedimento che vietò l’accesso allo stadio per 94 signori che si presentarono a Varese senza biglietto, entrando lo stesso. «Una decimazione», la definì.