Vendola non viola il Patto di stabilità, il suo è un bluff

Vendola non viola il Patto di stabilità, il suo è un bluff

Lo sforamento del Patto di stabilità interno (Psi) non è un rivoluzione di Vendola contro l’austerity del governo Monti, come da lui dipinta, ma è un atto previsto dalla manovra finanziaria 2011 valido da quest’anno. Con una sola eccezione: a poterlo sfondare, con le dovute sanzioni, sono gli enti locali e le Regioni che abbiano una maggiore spesa per interventi finanziati dall’Unione europea e realizzati con la quota di finanziamento statale. E la manovra è sostenibile perché, secondo quanto certificato dal monitoraggio del ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, la Puglia è tra le migliori, anche nel Mezzogiorno, a sfruttare la dotazione annua di fondi europei.

A confermarlo a Linkiesta è l’assessore al Bilancio della Regione Puglia, Michele Pelillo, tra gli autori dello strappo alle misure di contenimento del deficit messe in campo a Roma: «Non è una decisone contro legge. Fino al 2010 le opzioni erano due: sfondare o rispettare il patto di stabilità a seconda dell’equilibrio positivo o negativo dei conti. Ora abbiamo una terza opzione, sfondare il patto ma limitatamente alla spesa comunitaria già disponibile». Così due giorni fa la giunta regionale pugliese ha deliberato la “terza via” prevista nella nuova disciplina di bilancio per il triennio 2012-2014, accettando tutte le sanzioni all’orizzonte. «Il Patto di Stabilità? Noi abbiamo deciso di violarlo» ha detto Vendola. Che ha ribattezzato il tutto come «un atto di amore» per le imprese pugliesi e di «ribellione politica contro le ricette monetariste e liberiste» di Roma e Bruxelles. 

Quali sono? Secondo il decreto legislativo 149 del 2011 in tema di «Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni», si tratta essenzialmente di quattro paletti: spesa corrente livellata all’anno dell’ultimi triennio in cui si è speso meno per far funzionare gli esercizi pubblici; divieto di accendere mutui per gli investimenti; stop ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e tipo di contratto (processi di stabilizzazione in atto compresi); riduzione del 30% dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza del presidente (Vendola) e degli assessori (14 in Puglia) rispetto alle quote percepite al 30 giugno 2010. Nodi poi tutti confermati dalla stessa legge di stabilità dello scorso anno (legge 12 novembre 2011, n. 183) che quindi consente di bucare patto di stabilità a certe condizioni. 

Il punto centrale delle sanzioni sulle assunzioni non intacca la sanità: si potrà assumere e in più, come deciso in fase di discussione delle legge di stabilità 2013 in in Parlamento, vi sarà anche una deroga al blocco del turn over per il personale nella misura del 15 per cento. Per la Puglia, ancora sotto piano di rientro dal deficit sanitario, la vittoria è doppia. 

«Si tratta – sottolinea Pelillo – di mini sanzioni che ormai abbiamo imparato a conoscere. Non ci intaccano perché da otto anni non ricorriamo a mutui con una sola eccezione dei 50 milioni di euro per la nuova sede del Consiglio regionale, abbiamo 3 miliardi di liquidità e tra le altre cose abbiamo quasi dimezzato il debito ereditato dalla gestione Fitto da circa 2,5 a 1,2 miliardi di euro. Sul personale, non abbiamo indetto concorsi per il 2012 e come ente serve solo uno sforzo per il prossimo anno, abbiamo circa 2.900 dipendenti e non siamo la Sicilia. La spesa corrente? Non soffrirà perché sarà livellata all’ultimo triennio e proprio perché abbiamo una possibilità di spendere entro il 31 dicembre di quest’anno una somma importante mettendo in campo circa 500 milioni di euro di lavori».

Nulla di così grave, sembrerebbe. Anche perché la Puglia, in tema di quattrini europei, ha una percentuale del 25,6% di spesa superiore alla media di quelle dell’Obiettivo convergenza (22,6%) e sfondando il patto di stabilità arriverebbe all’obiettivo (34,8%), diverso per ogni Regione e a seconda dell’utilizzo del Fesr, il Fondo europeo di sviluppo regionale, e del Fse, il Fondo sociale europeo. 

Ma il numero uno della finanza pubblica pugliese non fa alcun riferimento alla futura riduzione degli stipendi che potrebbe scattare a sforamento accertato. “Omissione” voluta? Di certo, stando così le cose, dimostra ancora una volta quanto la mossa del presidente pugliese, pur legittima e consentita dalla legge di stabilità, sia doppiamente politica e si intrecci piuttosto con un’altra analoga. Il riferimento è al 26 settembre scorso quando il leader di Sel, preoccupato dagli sviluppi dell’inchiesta sui fondi ai partiti nel Consiglio della Regione Lazio (Renata Polverini si dimette il 27), annuncia di essersi tagliato lo stipendio di 50 mila euro come un «atto di responsabilità» in un momento di crisi (in Puglia nel 2011 gli stipendi dei consiglieri sono stati ridotti del 10 per cento). Il dubbio ora è lecito: era solo un segnale “anti-casta” o piuttosto un’iniziativa “preparata” – avendo già deciso lo sforo del patto di stabilità e conoscendo la relativa sanzione sugli stipendi – e poi “scongelata” per rilanciarsi nella corsa alla guida del centrosinistra contro Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi? Anche se va notato che gli emolumenti attuali del presidente della Regione Puglia ammontano a 12.640 euro netti al mese. 

Intanto esultano i costruttori edili. Per Salvatore Matarrese, presidente di Ance Puglia, «la delibera della giunta regionale è assolutamente condivisibile e l’auspicio è che l’esempio venga ora seguito anche dalle amministrazioni provinciali e comunali che, violando il Patto di stabilità, potrebbero finalmente erogare pagamenti per spese in conto capitale e, in particolare, per lavori già eseguiti da tantissime imprese edili del territorio che attendono da tempo una boccata di ossigeno in termini finanziari».

In Puglia la quota di circa 500 milioni di euro messa a disposizione entro fine 2012 servirà a finanziare o coprire le spese per assegni di cura e prima dote, manutenzione musei, biblioteche, teatri, scuole e case popolari, borse di studio e mense scolastiche, approvvigionamento idrico delle Tremiti, oltre a elettrificazione ferrovie Sud Est Bari-Martina Franca, recupero delle periferie e reti fognarie comunali, servizi digitali e sociosanitari, asili nido, tecnologie sanitarie, valorizzazione beni culturali e finanziamenti alle aziende.

In ogni caso, allo “strappo” di Vendola potrebbe seguire a ruota anche quello di altri governatori alle prese soprattutto col deficit della sanità e i relativi piani di rientro sottoscritti d’intesa con i ministeri dell’Economia e Salute. Non è un caso infatti che l’abbia già fatto Gaetano Armao, assessore all’Economia della Sicilia e coordinatore della commissione Affari comunitari e internazionali della Conferenza delle Regioni, che nei giorni scorsi ha scritto allo stesso Barca chiedendo più spazio sul cofinanziamento dei fondi comunitari e l’esclusione delle spese per i fondi europei dal patto di stabilità. Non è escluso poi che a farlo sia il governatore del Piemonte, Roberto Cota, alla guida di una Regione con un buco di settore pari a poco più di 900 milioni di euro e un rosso complessivo intorno ai 10 miliardi, ma è tra le prime in tema di capacità di impegno dei fondi Ue. 

Di certo però la mossa sul patto di stabilità non arriverà dalla Campania che invece, sempre secondo i monitoraggi del dipartimento per lo Sviluppo e la coesione economica, risulta come la maglia nera in Italia per spesa comunitaria e ha già dichiarato di scegliere «la via del rigore». Anche se, come ha spiegato il presidente Stefano Caldoro al Corriere del Mezzogiorno, la mossa del collega di Bari è soltanto «una leva di pressione sul Governo». Ma, nelle casse campane, a differenza di quelle pugliesi, non ci sono più soldi.