Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, non rinuncia a candidarsi in regione Lombardia, ma detta le regole ai partiti che vogliono sostenerlo. Tra le righe del messaggio lanciato su Youtube, l’europarlamentare pidiellino fissa come primo punto proprio quello della scelta dei candidati. «La nostra lista», afferma Albertini «sarà composta per l’80% da esponenti della società civile e per il 20% da amministratori locali che hanno ben operato, ma lasciati ai margini dai partiti tradizionali. A tutti chiederemo di sottoscrivere un severo codice etico». È questa la risposta che una parte dei sostenitori dell’ex primo cittadino milanese aspettavano, dalla «borghesia centrista» milanese fino a Oscar Giannino di Fermare il Declino o all’Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo.
Tutto ruota intorno ai nomi che saranno inseriti nelle liste e in particolare a quelli legati alla vecchia nomenklatura di Roberto Formigoni, l’ex presidente che ostenta ogni giorno il suo appoggio ad Albertini su twitter e in pubblico. L’attivismo del Celeste non piace alla società civile che vuole sostenere Albertini nella battaglia per le elezioni regionali. Da qui la richiesta «all’amministratore di condominio» di fissare i paletti per scrollarsi di dosso quella parte del Pdl vicina a Comunione e Liberazione e alla Compagnia delle Opere. Proprio qui sta il punto. L’agitazione del governatore lombardo – secondo diverse fonti – altro non sarebbe che un modo per salvaguardare il sistema di potere costruito in quasi 17 anni di amministrazione regionale.
È bene ricordare che la maggior parte delle partecipate lombarde – dalle infrastrutture alla sanità – è in mano a uomini del Celeste, spartita con il manuale cencelli insieme con la Lega Nord di Roberto Maroni. I numeri sono da capogiro. Solo nel settore sanitario il giro d’affari annuale è pari a 17, 3 miliardi di euro, cioè il 75 per cento delle spese regionali, con 128 strutture pubbliche e private. Di questi il 43 per cento va alle proprio alle ultime strutture, spesso vicine alla Cdo. Stesso ragionamento vale per il settore viabilistico e infrastrutturale, con i cantieri aperti di Pedemontana e Tem, ma il discorso vale pure per aziende come Trenord o Sea, quest’ultima gestisce gli aereoporti di Linate e Malpensa.
«Il sistema di potere» attuale, insomma, è la chiave per comprendere tutte le difficoltà del centrodestra (e anche del centrosinistra) nel trovare un candidato adatto a sostituire Formigoni. Maroni – che non ha ancora ufficializzato la sua candidatura e aspetta il federale di lunedì – ha già annunciato di voler adottare alle elezioni il modello «Verona», quello che ha permesso a Flavio Tosi con una lista civica di conquistare il capoluogo scaligero.
È evidente, come spiegano esponenti del Pdl a microfoni spenti, che un leghista al Pirellone potrebbe scardinare l’attuale «sistema», facendo asse con il Veneto e il Piemonte, in mano a Luca Zaia e Roberto Cota. Il puzzle è molto intricato. Non è un caso che nelle ultime ore sia trapelata l’ipotesi di un ritiro della candidatura di Albertini. Da un lato il cappello di Formigoni troppo insistente, dall’altro la discesa in campo per il centrosinistra dell’avvocato Umberto Ambrosoli, («persona per bene» dice Albertini) hanno fatto vacillare l’ex sindaco di Milano. Nella stessa Cl le anime sono divise. Tanto che Maurizio Lupi, deputato ciellino, continua a mantenersi distante dalle polemiche: la sensazione è che una parte della vecchia nomenklatura stia cercando una via d’uscita «morbida» provando ad assicurarsi «un piede» nella prossima legislatura.
Albertini ha rilanciato così oggi la sua candidatura. Lo ha fatto con un messaggio in rete dove ha indirettamente toccato anche gli ultimi scandali del San Raffaele e della Fondazione Maugeri. «La sanità lombarda è eccellente» ha spiegato «Ma è un modello da migliorare dal punto di vista dell’efficienza e della trasparenza con gli stessi criteri delle società quotate in borsa. Costruiremo un sistema che sia limpido e offra a tutti le migliori prestazioni». Si tratta dell’ennesima bordata a Formigoni e a quell’eccellenza della sanità lombarda di cui il governatore si è vantato in tutti questi anni.
E adesso? A quanto pare il Celeste non demorde e sarebbe pronto a presentare una sua lista alle prossime elezioni regionali. Ma il gioco è intricato e rischioso, rischia di spaccare di nuovo un Popolo della Libertà in disarmo, con Ignazio La Russa alle prese pure lui con il suo storico «clan di Paternò» in caduta libera: non a caso proprio l’ex ministro della Difesa è stato il primo a mettere il cappello su Albertini. Con un 20 % di posti in lista, però, lo spazio si fa veramente stretto.