Duke Montana, il rap di strada viaggia di padre in figlio

Duke Montana, il rap di strada viaggia di padre in figlio

Non ha mai camminato in punta di piedi, Duccio Barker. È entrato nella scena italiana dal basso, dalla Roma dei bassifondi, crescendo passo dopo passo, ma seguendo sempre la sua passione: il rap. Figlio di madre italiana e di padre americano, ha trascorso parte della sua infanzia all’estero, tra Inghilterra e – soprattutto – Stati Uniti, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel suo percorso musicale. Il suo è un rap di strada, dal suono duro, dai testi scostanti. A 25 anni, nel 2000, iniziò a farsi conoscere con lo pseudonimo Duke Montana, quello che si porta dietro ancora oggi.

Un decennio dopo, dopo aver abbandonato la collaborazione storica con il collettivo hip hop romano Truceklan (per motivi oggi ancora da chiarire), Montana ritorna alla musica con il suo terzo disco da solista, Stay Gold. Dentro, collaborazioni importanti: Club Dogo, Fabri Fibra, Emis Killa, Entics. E gli americani Onyx, band hardcore rap attiva fin dalla fine degli anni ’80. Lo stile è quello canonico dello street rap, di cui il romano, in Italia, è stato tra i maggiori artefici.

Storie di notti e di lotte, di gang e violenza, di fierezza e di onore. Supportate dai beat del figlio, Sick Luke, dj e produttore hip hop che, quando ha iniziato a lavorare al disco, non aveva ancora compiuto 18 anni. A lui è dedicato anche un pezzo, Loyal (“Il mio preferito, insieme a ‘Sogni Infranti’, spiega Montana). Una vera canzone da genitore a figlio, fatta di consigli e raccomandazioni, dichiarazioni d’affetto e di stima (“Rimani umile come ti ho sempre insegnato / é una gioia vedere che sei così apprezzato”). Perché anche i rapper hanno un cuore, sotto sotto. 

Com’è nata l’idea di fare un disco con tuo figlio?
Luke ha molto talento. Da quando ha iniziato sempre voluto fare un disco tutto prodotto da lui. Si tratta di una cosa originale, non penso che nessun altro l’abbia mai fatto prima. Il figlio che a 17 anni scrive le musiche per il padre…

Un record.
Ho scritto pure al Guinness World Record, a Londra. Magari vinciamo qualche premio.

Il rap si può tramandare di padre in figlio, quindi?
Sicuro. Io son stato una grossa influenza per lui, l’ho fatto crescere con il migliore hip hop nelle orecchie, da NWA a Biggie, ma insegnandogli, allo stesso tempo, a mantenere una mentalità aperta a nuovi artisti come Rick Ross.

Qualcuno potrebbe dire che sia un raccomandato.
Ovviamente c’è gente che ne scrive sui blog, ma è solo invidia. Se poi vai a vedere chi ha scritto quella cosa, nella maggior parte dei casi è un produttore frustrato che fa fatica ad emergere. Ma obiettivamente che gli puoi dire a mio figlio? Ascolta le basi prima di parlare. Pure Ice One, guru dell’hip hop in Italia, dice che Luke è il più grande talento italiano che ha visto. E allora…

…e allora ecco Stay Gold, il tuo nuovo album.
Mi sono ispirato al film The Outsiders, che mi piace un botto. Mi piace il concetto della fratellanza tra i due ragazzi protagonisti del film, amici leali fino in fondo. La lealtà per me è fondamentale. E poi volevo rendere omaggio alla Golden Age, la migliore era dell’hip hop, che ho vissuto in pieno durante i Novanta.

Rolling Stone ti ha definito “un veterano della scena che ha deciso di puntare al grande pubblico”.
Io guardo sempre alle mie leggende di quel periodo, Biggie Smalls e Tupac: tutti loro facevano rap di strada, rap duro, ma ci infilavano sempre dentro il pezzo radio-friendly. Stay Gold ha qualche momento più leggero, forse, ma resta al cento per cento un disco di Duke Montana. Che poi questo è un momento florido, e anche i pezzi più crudi passano in radio. 

“Carta Viola” vede la partecipazione dei Club Dogo. Come è nata l’idea del pezzo?
Niente di particolare: volevamo semplicemente tornare a collaborare. Ci conosciamo già da un bel po’, avevamo già fatto un paio di pezzi insieme. Per me è sempre un onore cantare con loro. Sono amici, li rispetto molto, hanno fatto conoscere l’hip hop a tante persone. Tanta stima, e basta.

Che segno ha lasciato l’America nel tuo percorso musicale?
Beh, è là che ho conosciuto l’hip hop. Avevo solo nove anni, mi ricordo le canzoni alla radio. Poi comprai la cassetta di Eazy-Duz-It, il primo lp di Eazy-E, che oggi è considerato uno dei migliori rapper della storia. É lui che ha lanciato il gangsta rap, insieme a Schoolly D e Ice T. Ma loro stavano a New York, Eazy viveva nella West Coast.

Ci torneresti volentieri?
Ormai è da un po’ che manco. Però sì, in futuro ci vorrei andare a vivere. Con Luke, che già da Roma, via internet, fa le basi per molti Mc’s americani. Pensa se stesse là, a New York magari. Fosse per me, invece, mi trasferirei a Las Vegas o Los Angeles. Ci ho già vissuto e sono in assoluto i miei posti preferiti.

Mecna, Ghemon: nel rap italiano si sta sviluppando una corrente musicale dai testi intimisti e dalle melodie più vicine al soul. Un genere abbastanza distante dal tuo. A te piace la loro musica? 
E chi sono io per giudicare? Quello che piace a me può far schifo a un’altro. Penso che ci sia spazio per tutti in questa nazione. Io auguro il bene a tutti i ragazzi che fanno il rap, perché avvicinano sempre più persone a questo meraviglioso genere musicale.

(abbiamo avuto l’opportunità di fare qualche domanda anche a Sick Luke)

Sei giovane, ma hai già iniziato collaborazioni importanti. Quando hai iniziato a comporre?
A tredici anni. Le primi basi le facevo con Fruity Loops. In breve ho capito che volevo fare questo nella vita, e ho iniziato a comprare mezzi più professionali.

Com’è stare con tuo padre sul palco?
É una bella sensazione. Poi lo conosco bene, quindi il live risulta sempre abbastanza fluido. Ci intendiamo a meraviglia.

Non pensi che la tua carriera sia stata agevolata dalla sua presenza?
Beh, penso se non ci fosse stato lui, sarebbe stato più difficile fare alcune delle collaborazioni. In Italia è difficile diventare conosciuto senza agganci. Alcuni mi avranno detto che sono raccomandato, lo immaginavo. Però, alla fine, se vai a sentire i beat riesci a capire che, se faccio quello che faccio, non è perchè sono figlio di Duke Montana, ma perché spaccano.