Firenze 1966: una lezione che non abbiamo imparato

Firenze 1966: una lezione che non abbiamo imparato

Novembre è un brutto mese per le alluvioni. Genova è finita sott’acqua il 4 novembre 2011, ma è un altro 4 novembre, quello del 1966, a rimanere per sempre scolpito nella memoria degli italiani. Quel giorno Firenze viene messa in ginocchio, Venezia umiliata, Arezzo, Pisa e Grosseto, finiscono sott’acqua. I morti sono decine (sei a Genova nel 2011), ma sarà difficile tracciare un bilancio definitivo: La Stampa del 6 novembre 1966 parla di 70 vittime (23 in Trentino), ma soltanto alla fine degli anni Novanta sarà possibile stabilire con certezza che a Firenze e dintorni c’erano stati 34 morti.

Quel 4 novembre di quarantasei anni fa resterà per sempre legato al dramma di Firenze: le immagini della città toscana che, dopo diciotto ore di pioggia ininterrotta, viene travolta dall’Arno (alcune girate dal regista Franco Zeffirelli) si legano indelebilmente al ricordo dell’alluvione. E poi il dramma dei beni culturali: il Crocifisso di Cimabue della basilica di Santa Croce scrostato dall’acqua e le migliaia e migliaia di libri manoscritti e a stampa danneggiati nella Biblioteca nazionale centrale (il lavoro di restauro è ancor oggi ben lungi dall’essere finito). Ma Firenze è soltanto la città più nota e la più danneggiata, in realtà mezza Italia rimane vittima dell’acqua.

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«L’Italia spezzata in due dai fiumi in piena», titola La Stampa di sabato 5 novembre. E forse il modo migliore per capire come stiano le cose è leggere il bollettino di guerra delle comunicazioni interrotte. Chiusa l’autostrada del Sole, chiusa la Firenze-Mare, tutte impraticabili le strade della Toscana, bloccate le vie Emilia, Aurelia e Porrettana. Interrotte anche le linee ferroviarie, insomma, l’unico mezzo per andare da nord a sud è l’aereo. Scrive Michele Tito in prima pagina: «Per un’area di centinaia di chilometri quadrati mancano la luce e l’acqua in Toscana. La luce e l’acqua mancano in un terzo del Polesine, in una gran parte dei comuni degli Appennini e in alcune zone del Trentino, dell’Alto Adige, dell’Alta Lombardia». L’Italia è sott’acqua, ma ci sono problemi nei rifornimenti di acqua potabile.

A pagine due della Stampa ci si rende conto che tutta la dorsale tirrenica è sotto schiaffo: «Nel centro di Grosseto ha raggiunto i tre metri e mezzo», è il titolo d’apertura, e quello accanto: «Una notte da incubo per gli assediati di Pisa». Più in basso: «Un ciclone ha investito Napoli e i centri costieri della Campania».

E dall’altra parte? Sull’Adriatico? Venezia è sott’acqua: un impetuoso vento di scirocco impedisce all’alta marea di rifluire, così a una marea se ne somma un’altra (esattamente quel che è successo qualche giorno fa, per fortuna a livelli meno drammatici). Viene registrata la marea record da quando si effettuano le registrazioni: + 1,94 sul medio mare (piazza San Marco, il punto più basso della città, è a 90 centimetri sul medio mare; ciò significa che quel giorno era invasa da almeno un metro d’acqua). La sottile isola di Pellestrina viene in alcuni punti spazzata via, non c’è più separazione con il mare, le onde dell’Adriatico entrano direttamente nella laguna. Come già a Firenze, saltano numerose caldaie e all’acqua si mescola la nafta degli impianti di riscaldamento: quando il mare defluirà, una nera striscia indicherà il punto raggiunto dalla marea.

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L’Adriatico rigonfio non riesce ad assorbire il deflusso dei fiumi, che straripano. Il Po esce dagli argini e allaga il Polesine (era ancora ben vivo il ricordo dell’alluvione del 1951, pure quella in novembre). Ma il più cattivo di tutti appare il Tagliamento, gli ottomila abitanti della cittadina di Latisana (oggi conosciuta più che altro per essere il luogo d’origine della famiglia del portiere della Juventus e della nazionale, Gianluigi Buffon) vengono sgomberati. Straripano anche l’Adige (da ciò le vittime in Trentino) e il Piave. Quest’ultimo fiume trascina via il medico condotto di Longarone che stava tentando di portare una partoriente e suo marito all’ospedale di Belluno (solo tre anni prima Longarone era stata cancellata dalla faccia della terra dalla tragedia del Vajont).

Nicola Adelfi nella Stampa del 6 novembre, descrive una situazione da flagello biblico: «È un’ora grave. Si pensi che forse l’Italia non fu mai colpita contemporaneamente da un flagello simile, tutta quanta, dalla corona delle Alpi giù giù fino alla Calabria, fino alle sue due isole maggiori e ai suoi arcipelaghi. Quasi tutte le forse ostili della natura si sono scatenate nel giro di poche ore dentro e contro i nostri confini: le piogge torrenziali, gli straripamenti dei fiumi e dei torrenti, frane rovinose e smottamenti, l’infuriare dei mari contro tutte le coste, i venti di libeccio e di scirocco che hanno strappato via alberi secolari e case con la furia di cicloni, persino il terremoto nella Sicilia».
L’acqua è ormai defluita da Firenze, ma solo adesso si coglie nella sua interezza la dimensione del dramma: la città è prostrata, colpiti i suoi beni culturali più importanti, a migliaia sono rimasti senza casa, hanno atteso sui tetti che l’Arno tornasse negli argini.

Un maledetto novembre di quarantasei anni fa, ma a ogni novembre, ogni anno, sembra che l’acqua possa tornare a ghermire questo o quell’angolo d’Italia. Ogni tanto lo fa davvero e un nuovo novembre seppellisce per sempre nel fango un nuovo angolo del fu Belpaese.

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