Proseguono le indagini sul caso del sequestro del tesoriere di Silvio Berlusconi, Giuseppe Spinelli, e le ombre non sembrano ancora dipanarsi anche se l’avvocato del Cavaliere Niccolò Ghedini va ripetendo da giorni che «non vi è nessun punto oscuro in questa vicenda». L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è al momento quella di «una truffa finita male», perché – come ha insistito lo stesso «Spinaus» – non «è stato pagato alcun riscatto».
Tutto ruota intorno alla figura e ai movimenti di Francesco Leone, detto Ciccio U’guastatu (il matto ndr), il presunto capo della banda, protagonista delle due telefonate che hanno fatto da anticamera al rapimento dei coniugi Spinelli, riconosciuto per le scarpe Superga rosse con le stringhe nere e per la sua passione per il Milan.
È grazie ai suoi errori, dalle tracce di Dna sui tappi di bottiglia fino alla sigaretta sulle scale di casa Spinelli e alla telefonata «filmata» dalle cabine della stazione di Malnate, che gli inquirenti sono riusciti a risalire a tutta l’organizzazione. Leone viene «paparazzato» poi ovunque dalle macchine fotografiche degli investigatori. Prima di una partita allo stadio di San Siro, poi persino insieme con il gruppo di albanesi che avrebbe partecipato al sequestro.
Un comportamento di certo abbastanza «particolare», per uno che è stato ex collaboratore di giustizia di Bari, già finito in manette in passato per rapine e sequestri. In Puglia il suo nome se lo ricordano bene. Fu un testimone «chiave» al maxiprocesso chiamato «Conte Ugolino» e celebrato a Bari contro ben 140 affiliati alla cosiddetta «Sacra Corona Autonoma». Leone, nel maggio del 1996, raccontò di essere stato affiliato a 13 anni e di aver poi ricevuto i gradi di «picciotteria, camorrista, sgarrista e santista». Ma c’è qualcosa che non quadra in questo personaggio a cui piace farsi riconoscere dalle scarpe rosse.
Fu pentito, ma nel 2000 fu arrestato di nuovo dalla squadra mobile di Roma mentre, in uniforme da commissario di polizia, tentò di sequestrare un ufficiale dell’Aeronautica militare che aveva la responsabilità dei pagamenti di stipendi e tredicesime: obiettivo era una rapina da 4 miliardi di vecchie lire. Ma proprio per questo suo entrare e uscire dal carcere, qualcuno a Bari insinua – lo ha scritto pure la Gazzetta del Mezzogiorno – che sia stato talvolta «coperto dagli investigatori e sia vicino ai servizi segreti». Insomma, Leone in fatto di travestimenti e operazioni delicate, in qualche modo, sembra uno che ci sa fare. Allora perché così tanti errori in un’operazione che richiedeva il massimo dell’attenzione e precauzione? Di mezzo c’era l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il cassiere della Fininvest e in ogni caso «un sequestro di persona», cosa di non poco conto, tanto da costargli fino a 30 anni di carcere.
Gli inquirenti lo hanno sentito per l’interrogatorio di garanzia, ma non hanno ricevuto da lui risposte. Eppure vogliono capire quale sia il tasso di «protagonismo» di Leone, oppure se c’erano «menti raffinatissime» (copyright Giovanni Falcone) dietro l’operazione, oppure, ancora, se ci sono collegamenti con la Sacra Corona Unita che condannò dieci anni fa o qualche punto di contatto con le inchieste baresi sugli scandali di Patrizia D’Addario e lo stesso Berlusconi. Caso vuole che intanto sia emerso un altro collegamento con il Milan, perchè Alessio Maier fu coinvolto in uno processo di quadri rubati a Varese insieme con l’ex capitano dei rossoneri Franco Baresi.
Di Leone parlò pure il sindaco di Bari Michele Emiliano quando era magistrato, in una relazione al Csm sulla Mafia nel barese (leggi qui) negli anni passati. Tra le carte si evince che Leone non era una persona di poco conto, anche perché aveva raccontato, oltre agli schemi interni della Sacra Corona Unita, tutti gli accordi della mafia pugliese con la Camorra e con la ‘Ndrangheta di Giuseppe Onorato, dette Pepè, boss conosciuto molto bene dalle parti di Milano, soprattutto dal pm Ilda Boccassini.
Nel frattempo, oltre a altri tre indagati, i magistrati hanno aperto le tre cassette di sicurezza della banda, nella disponibilità proprio di Maier. A quanto si apprende, all’interno delle cassette domiciliate presso il Credito Valtellinese di Varese e alla banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate, sarebbero state trovate solamente fac-simile di banconote. Persino una Gazzetta dello Sport.
È un altro punto oscuro dell’intera vicenda, che ora vede tra gli indagati pure Domenico Papagni e altri che avrebbero lavorato per il sequestro. Basti pensare infatti che i tre italiani arrestati, lo stesso Leone insieme con Alessio Maier e Pierluigi Tranquilli, si sono dannati nelle settimane precedenti all’arresto per trasferire i soldi dalle cassette di sicurezza dall’ Italia alla Svizzera, precisamente a Lugano, ipotizzando di far passare da una parte all’altra del confine una cifra sugli otto milioni di euro. Ma a dannarsi per quelle cassette di sicurezza sono stati pure i magistrati che il 15 novembre scorso inscenarono una finta rapina alla Bcc per fermare l’attivismo della banda nel cercare di spostare del denaro in Svizzera.
Non è un caso, come nota anche il pm Ilda Boccassini nell’ordinanza di arresto poi accolta dal gip Paola di Lorenzo, che «l’accensione di tali cassette pare proprio collegata con il sequestro dei coniugi Spinelli», una intuizione che trova riscontro nelle date di apertura delle cassette di sicurezza e al loro accesso. Infatti la cassetta di sicurezza accesa presso il credito Valtellinese risulta aperta da Maier il 22 ottobre scorso, sette giorni dopo il sequestro; mentre a quelle di Buguggiate, aperte il primo settembre, risultano accessi lo stesso 22 ottobre e anche tre giorni dopo, vale a dire a dieci giorni dal sequestro Spinelli.
Gli investigatori sono sulle tracce di Maier, ritenuto essere il “cassiere” del gruppo, e la persona che dalla stazione ferroviaria di Malnate insieme con Leone chiamerà Spinelli sul telefono di casa nel corso del sequestro lampo. É lui, ripreso dalle telecamere, che acquista le schede telefoniche per mantenere i contatti con il resto della banda.Sono proprio le intercettazioni predisposte dai pm Boccassini e Storari, che metteranno gli investigatori sulle tracce dello spostamento di denaro verso la Svizzera dalle cassette di sicurezza di Maier.
Il 15 novembre è la giornata decisiva: Maier e un altro complice, Papagni, devono recarsi alla Bcc di Buguggiate e al Credito Valtellinese di Varese per ritirare le somme contenute nelle cassette di sicurezza, ma troveranno la sorpresa: la prima banca è “chiusa per rapina”, la seconda è regolarmente aperta ma ha inibito l’accesso alle cassette di sicurezza.
Uno stratagemma degli investigatori per evitare che Maier e soci possano ritirare il denaro e trasferirli a Lugano dove erano stati presi accordi, stando alle intercettazioni, per l’apertura di un conto con cassetta di sicurezza presso la banca Raiffeisen.
Sarebbero dovuti tornare nella giornata di lunedì a riprendere i soldi, invece Leone, Maier e Tranquilli, la persona che, stando alle carte «potrebbe aver suggerito l’obiettivo da aggredire (Giuseppe Spinelli, ndr) ovvero procurato o collaborato a procurare i documenti che lo stesso Spinelli afferma di aver visionato durante il sequestro», hanno trovato le manette.
Denaro, quegli otto milioni di cui parlano i sequestratori, che, ipotizzano i pm, potrebbe essere «parte del riscatto che potrebbe essere stato pagato in momento successivo al rilascio degli ostaggi ma non monitorato», ovvero quel buco di 36 ore passate dal termine del sequestro alla presentazione della denuncia presso la procura di Milano.