Portineria MilanoTutti i misteri del sequestro Spinelli, nelle carte dei pm

Ci sono troppi misteri attorno al sequestro lampo del cassiere di Berlusconi Giuseppe Spinelli. Dal tentativo dei sequestratori di cercare qualcosa «in casa», fino ai soldi che la banda voleva portare in Svizzera

Per capire il sequestro «lampo» del ragioniere Giuseppe Spinelli bisogna partire da un presupposto che fino adesso pochi quotidiani hanno evidenziato. Non sono tanto le «Olgettine» – che Spinelli non seguiva più da un anno essendo passato il file a Giancarlo Serafini – il problema vero di questa strana storia su cui indaga la procura di Milano. Spinelli, infatti, è il vero e proprio nodo (o meglio la chiave) per capire tutti «gli affari» del Cavaliere.

Oltre alla Dolcedrago e al quotidiano Il Foglio, il ragioniere residente a Bresso siede in tutte le holding della famiglia Berlusconi, dalla nota «14esima» – dove ci sono i figli Barbara, Eleonora e Luigi – fino alla quinta, dove invece ci sono Marina e Piersilvio. Ma ci sono anche la «prima», la «quarta» e la «terza» e via dicendo, altre scatole del potere economico del Cavaliere, proprietario di Fininvest, Mediaset e il Milan.

IL MALORE DELLA MOGLIE DOPO LO SCANDALO BUNGA BUNGA

Per questo motivo, «sequestrare» Spinelli – già indebolito dopo lo scandalo Bunga Bunga tanto che la moglie era stata ricoverata in ospedale due anni fa – voleva dire colpire al cuore il centro del potere economico di Berlusconi, come scardinare la cassaforte del suo impero costruito in quasi cinquant’anni di vita imprenditoriale.

Ci sono diverse domande che non trovano risposta leggendo l’ordinanza che ha portato in carcere i sei sequestratori. E su cui la stessa pm Ilda Boccassini si è già confrontata con il giudice per le indagini preliminari Paola Di Lorenzo. Oltre al presunto pagamento del riscatto, che non sarebbe di 8 milioni ma forse più consistente – come si evince dalla intercettazioni – ce ne sarebbe un’altra in particolare: cosa cercavano i sequestratori in casa di Spinelli? E soprattutto per portare i dossier sul Lodo Mondadori a Berlusconi, l’unico modo che avevano i sequestratori, era, come dice Spinelli, quello di sequestrarlo?

IL SEQUESTRO

Sono le 21.45 circa del 15 ottobre scorso. Giuseppe Spinelli, il ragioniere che gestisce il patrimonio di Silvio Berlusconi, balzato agli onori della cronaca nel periodo delle ‘olgettine’ (era quello che staccava gli assegni ndr), torna a casa a Bresso di ritorno dalla residenza di Arcore dell’ex presidente del consiglio. Giusto il tempo di farsi aprire la porta dalla moglie ed essere spinto con violenza in casa da due sequestratori. Quella sera, diversamente dal solito, il ragioniere si era recato a villa San Martino alle 4 del pomeriggio e non alle “canoniche” 7.

È l’inizio della lunga notte dove tre sequestratori hanno tenuto sotto scacco i coniugi Spinelli. L’accoglienza al ragioniere la riservano due uomini di nazionalità albanese, che tengono la coppia in casa fino all’arrivo di un terzo uomo, che viene identificato come il capo del trio dei sequestratori. L’uomo in questione è Francesco Leone, 52enne barese con precedenti per tentato omicidio e sequestro di persona a scopo di sequestro. È lui l’uomo dalla «scarpe rosse con le stringhe nere», dettaglio che poi risulterà determinante nel corso delle indagini. Sarà sempre lui, con nel curriculum pure un pentimento per «mafia» a Bari, nel corso del sequestro, durato fino alle 9 del mattino successivo, a spingere Spinelli per mettersi in contatto con Silvio Berlusconi.

IL LODO MONDADORI E IL PM FORNO

É Leone, poco dopo il suo arrivo, a tenere con sé in una stanza a parte il ragionere Giuseppe Spinelli mostrandogli un foglio A4 «un po’ ingiallito e sgualcito – spiega lo stesso Spinelli agli inquirenti». Sul foglio, fa sapere ancora Spinelli, è riportato «in alto ‘Lodo Mondadori’, De Benedetti, l’indicazione di due avvocati di cui una donna, i nominativi dei Magistrati di primo grado il dottor Forno, questo nome me lo ricordo bene, secondo grado c’era il nome di un presidente e di un giudice a latere, ma non ricordo i nomi dei magistrati indicati».

Di tutti i nomi riportati su quel foglio dunque Spinelli ricorda solo quelli di De Benedetti e del Pubblico Ministero di Milano Pietro Forno (che ha seguito per primo il caso di Ruby ndr), ma anche quello di Gianfranco Fini: sull’A4, dice ancora Spinelli si parlava di «una cena di Fini con magistrati […]». Sarebbe stato proprio il terzo sequestratore a specificare poi che nel corso di quella cena Fini avrebbe parlato ai magistrati pregandoli di aiutarlo a mettere in difficoltà Berlusconi.Un fatto quest’ultimo che ha fatto però sorridere al racconto sia lo stesso ex presidente del Consiglio, sia l’avvocato Niccolò Ghedini, «tant’è – racconta ancora Spinelli – entrambi propendevano per un falso».

IL COMPUTER DI SPINELLI CHE NON FUNZIONA

Nella testimonianza di Spinelli, Leone avrebbe portato nella sua casa anche una chiavetta USB e un DVD, che però non sarebbero stati visionati in quanto non compatibili con il computer del ragioniere e nemmeno con il lettore apposito. Spinelli parla di un vecchio computer che apparteneva alla moglie che però non era mai stato utilizzato.

Tuttavia la mattina successiva, quando Spinelli su pressione di Leone contatta Berlusconi direttamente ad Arcore, garantisce che quel filmato è autentico, e che «le persone che avevano quel filmato erano disposte a cederlo soltanto con una grossa somma di denaro», cioè 35 milioni, il 6% dei 560 milioni che Fininvest avrebbe dovuto versare al gruppo De Benedetti per la causa Mondadori.

A quel punto Berlusconi risponde a Spinelli che lo avrebbe fatto richiamare dall’avvocato Ghedini, il quale si farà vivo qualche minuto più tardi, sollecitando prima Spinelli a rivolgersi ai Carabinieri, mettendo poi in discussione la veridicità del materiale dei sequestratori. I sequestratori però dissero a Spinelli che quel filmato era autentico «fatto da una persona “ancora nella crema”», dice il ragioniere citando i sequestratori.

LA FINE DEL SEQUESTRO E I DUBBI SULLA DENUNCIA

Immediatamente dopo la telefonata con Ghedini l’incubo del sequestro per i coniugi Spinelli finisce, «ero quasi riuscito a convincere Ghedini a dare un piccolo anticipo in denaro – spiega Giuseppe Spinelli agli inquirenti – e poi successivamente fare un contratto», ma Leone, torna nella stanza in cui si trova il ragioniere e riferisce che dovranno andarsene.

Così i tre spariscono sia con il foglio A4, sia con la chiavetta USB e il DVD all’interno del quale avrebbe dovuto trovarsi il materiale per cui Silvio Berlusconi avrebbe dovuto sborsare 35 milioni di euro così da ottenere tutta la documentazione. Documenti che secondo i sequestratori avrebbero fatto “molto piacere” all’ex presidente del Consiglio danneggiato dalla sentenza Mondadori.

I SEQUESTRATORI E LE TAPPARELLE. COSA CERCANO?

Altro particolare che infittisce la trama del sequestro sta nel racconto della moglie di Giuseppe Spinelli, la quale nota che uno dei sequestratori procede a una vera e propria perquisizione della casa, andando addirittura a smontare le casse delle tapparelle e facendo visita a tutte le stanze dell’abitazione.

Cosa cercano i sequestratori a casa Spinelli? Che fine hanno fatto quel foglio A4 che i tre hanno poi portato via insieme al DVD e alla chiavetta USB? A questa domanda dovranno rispondere gli investigatori che proseguiranno le indagini, così come occorrerà capire la vera ragione del sequestro. Un sequestro meditato già nelle settimane precedenti al suo avvenimento, come hanno testimoniato anche le immagini registrate dall’apparato di videosorveglianza del palazzo di Bresso dove risiedono i coniugi Spinelli, dove i sequestratori avevano già fatto visita almeno in due occasioni.

La denuncia dell’accaduto arriva alla procura via Fax dallo studio Ghedini e Longo il 17 ottobre, due giorni dopo il sequestro. Oggi però lo stesso avvocato Ghedini ha dato un’altra versione, cioè che la denuncia sarebbe stata fatta il mattino stesso del 16 ottobre, assicurando che «i sequestratori non avevano nulla in mano».

Per la vicenda sono finiti in manette tre italiani e tre albanesi: Francesco Leone, Alessio Maier, Tanko Ilrijan e Laurenc, Pierluigi Tranquilli e Marjus Anuta.

UNA CAMEL DI TROPPO, IL MC DONALD’S E QUELLA CENA

Il 18 ottobre, a due giorni di distanza dal sequestro, gli investigatori iniziano le indagini e trovano un mozzicone di sigaretta Camel sulla rampa di scala «antistante» l’appartamento di Spinelli. Grazie a questo dettaglio, confrontando con alcuni tappi di bottiglie trovate all’interno dell’abitazione, gli inquirenti risalgono al profilo genetico di Francesco Leone, la mente di tutta l’operazione.

Non solo. Per avere ulteriori conferme, grazie alle intercettazioni, beccano lo stesso Leone dopo un pranzo da McDonald’s con i tre albanesi che lo avevano aiutato. Anche in quella occasione la polizia preleva le stoviglie utilizzate. La stessa cosa succede la sera stessa, quando Leone insieme con Maier mangiano al ristorante il Mozzo, in via Marghera a Milano.

I CONTI I SVIZZERA, LA FINTA RAPINA E LA FERRARI IN ARRIVO

Le tempestive indagini da parte dei magistrati hanno permesso di individuare i sei e arrestarli. Fondamentali sono le state le telefonate a vuoto che erano state fatte a casa Spinelli il giorno del sequestro. Ma all’inizio di novembre, secondo alcune intercettazioni, la banda aveva già in mente di spostare del denaro all’estero. In Svizzera in particolare, dove, appuntano gli investigatori, gli indagati avevano in animo di aprire un conto con una cassetta di sicurezza. Cosa avrebbe dovuto arrivare su quei conti? Una parte del denaro che avevano incassato dopo il sequestro di Spinelli? Forse quella parte minima che proprio il ragioniere consigliava a Ghedini di pagare?

I tre italiani, infatti, avevano già aperto alla fine di ottobre tre cassette di sicurezza, una presso il Credito Valtellinese e altre tre presso la banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo. Non è chiaro quanto siano i soldi in ballo. Ma nell’ordinanza di custodia cautelare i pm annotano 8 milioni di euro. Lo si evince da un’intercettazione tra lo stesso Maier e Leone, dove.

Leone: «quindi…va l’altro con la busta vuota e tu con tutte e due le buste, quella del Credito Valtellinese e quello di Buguggiate, giusto?»
Maier: «eh si’, perche’ se la tesi tua è esatta, che loro stanno aspettando, sanno che sono nelle cassette là, bene, e quando vanno là»
Leone: «stanno aspettando pure il mio carico grosso»
Maier: «ecco»
Leone: «qua stanno otto milioni ancora, oh!»

Di mezzo al piano della banda però si mettono gli investigatori, che il 15 novembre scorso fingono una rapina al Credito Valtellinese di Buguggiate e chiudono così la banca. Leone e Tranquilli se ne rendono conto, tanto che il primo dirà al telefono all’altro di essere ormai «bruciato». Ma proprio oggi sarebbero dovuti tornare in banca per ritirare la cassetta. Proprio per questo motivo sono scattate le manette. Ma quanti soldi ci sono in ballo? Tranquilli aveva già prenotato una Ferrari 458 Spider del costo di quasi 250 mila euro, insomma «roba grossa».

(Ulitmo aggiornamento 29 gennaio 2012)

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