La società ha un patrimonio netto di 300 milioni, debiti per tre volte tanto, ricavi non sufficienti a coprire i costi operativi (“mol negativo per 21 milioni”, direbbe un analista). Più della metà delle attività che possiede è rappresentato da una posta contabile virtuale (766 milioni di avviamento e altre poste immateriali). Ma anche se è grave, la situazione della Rcs non è ancora seria. Perciò la società continua a prendere tempo, rinvia il piano industriale e il reperimento di mezzi freschi, senza che la Consob fiati. Stavolta la scusa è la fine anticipata della legislatura: sotto elezioni nessuno fra i grandi soci (Fiat, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Unipol…) vuole rischiare uno sciopero dei giornalisti del Corriere contro i tagli che sono nell’aria (circa 600 persone); e nessuno ha fretta di metterci i soldi né di fare spazio a nuovi soci (non meno di 400 milioni per l’aumento di capitale). Tutto è rinviato alla primavera 2013, ha appena deciso il cda della Rcs. Per allora, mancheranno giusto trent’anni alla scomparsa della carta stampata, prevista nel 2043. Come in ogni operazione di sistema, il salotto buono ragiona sui tempi lunghi. L’unico inconveniente è che se si va avanti così, gli Agnelli, Bazoli e Mediobanca rischiano di lasciare via Solferino nelle stesse condizioni in cui l’avevano trovata. Trent’anni fa.