Il disastro treni: raccontaci la tua esperienza

Il disastro treni: raccontaci la tua esperienza

C’è una sorta di schizofrenia latente nella giornata tipo del pendolare Trenord, da settantadue ore a questa parte. O per lo meno, c’è tra coloro che tutte le mattine e tutte le sere percorrono la tratta che da Como porta a Milano Cadorna, e viceversa. Chi scrive, suo malgrado, appartiene a questo esercito di viaggiatori, che da lunedì si alternano tra mattinate di ordinaria amministrazione, e sere all’insegna dell’apocalisse.

Il tabellone della mattina annuncia l’8.06 per Cadorna, e si mantiene sul consueto basso profilo: quattro, massimo cinque minuti di ritardo, giusto per darti la certezza che certe cose saranno sempre lì, rassicuranti, a farti compagnia. C’è solo una riga, una riga sottile che scorre sul fondo, e che dovrebbe farti insospettire: è quella che di solito segnala gli scioperi, ma stamattina c’è una novità. Si annunciano possibili disagi, per un malfunzionamento al sistema informatico di assegnazione dei turni al personale. L’avviso resta lì, sibillino, e il branco di viaggiatori si dirige senza troppe domande alla banchina. Errore. Dieci ore dopo, all’altro capo della linea ferroviaria si scatena uno scenario da tragicommedia, di quelli che formano il corpo e lo spirito, e sono ottimi da sfoggiare alle cene troppo silenziose.

Le prime avvisaglie del disastro risalgono a lunedì sera. Sono circa le sette, a Cadorna è l’ora di punta, e qualche ritardatario fa lo slalom fra la massa compatta che va verso i tornelli. Che strano, il 7.10 è in ritardo, ma tutto sommato è quasi una buona notizia, almeno si riesce a prenderlo e si arriva a casa prima. Ecco, questo si chiama peccare di ingenuità: il 7 e 10 rimane fermo al binario e si trasforma lentamente in un 7 e 40, mentre all’interno la gente si ammassa, si accumula, si fonde e si sovrappone. Una volta partito, però, il più è fatto, e a parte il ritardo si arriva a casa senza aver rischiato un crisi di nervi (ma solo per chi è già temprato, gli altri, si abitueranno).

La mattina del martedì, come per magia, tutto torna alla normalità. Eppure qualcuno vocifera tra i passeggeri, si scopre che il 7 e 40 della sera prima è stato cancellato, e allora uno dovrebbe farselo venire qualche dubbio ma no, il viaggiatore Trenord è un uomo di fede, e sale sul treno. 

Dieci ore dopo, si presenta in Cadorna pieno di programmi e di belle speranze per la serata, e trova il caos. La stazione è una distesa di facce allibite, mentre il tabellone centrale lampeggia forsennatamente, segnalando che tutti i convogli sono in partenza. Ma allora perché i pendolari sono tutti fermi a congelare nell’atrio? Per scoprirlo bisogna passare i tornelli, che per l’occasione sono rimasti aperti, e spalancano la vista su una scena surreale: i binari sono quasi tutti vuoti. Attenzione però, il treno per Como è uno dei pochi superstiti. La gente corre verso l’ultimo vagone, perché sui primi è già impossibile salire, e nel giro di pochi minuti anche la carrozza in fondo è piena.

Rimarrà tale per una buona mezzora, mentre la temperatura aumenta, e il livello di isteria collettiva raggiunge picchi pericolosi. Chi arriva vuole salire, ma chi è a bordo vuole respirare, e non è sempre facile stabilire le priorità, quando sono le sette di sera e la giornata è stata pesante per tutti. Pochi metri più in là, invece, tra i viaggiatori seduti è tutto un prodigarsi di buone maniere: mi scusi, prego, passi pure, no si sieda lei per carità. Quando finalmente il treno parte, una voce (umana) dall’oltretomba annuncia che sono state introdotte delle fermate bonus. Risultato: il treno si ferma tre volte in più, ma l’altra voce, quella registrata, non può saperlo, e continua imperterrita a snocciolare paesi che stanno altrove. Fuori, intanto, è buio, e la gente rinuncia a capire dove stia andando.

Decolla nel frattempo il toto-disfunzione, e ognuno dice la sua su cosa possa aver generato il delirio. C’è anche chi non ha una teoria ben precisa, ma non ci sta a rimanere indietro, quindi la butta sull’allarmismo: e se qualcuno sta male? E se succede qualcosa? Come si fa a uscire di qui? E come sempre accade in questi casi, succede davvero. Alla stazione di Saronno il treno si ferma, e non riparte più: sta aspettando un’ambulanza, perché qualcuno ha avuto un malore, e tocca attendere i soccorsi. «Bastava dargli un paio di sberle!» secondo un paio di passeggeri, ma tant’è. Passa un’altra mezzora, il treno si rimette in moto, e il bilancio finale parla da sé: due ore per un tragitto che sulla carta dura quarantacinque minuti. Mercoledì si parte preparati, non basterà un 8.06 a infondere facili entusiasmi. E infatti il treno che alle 18.10 dovrebbe partire da Cadorna, venti minuti dopo è ancora incerto sul da farsi. Prende l’aspetto di un 18.40, ancora cinque minuti di dubbio, e poi va.
 

Chiara Panzeri

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