Se ne sono andati (anche chi spiegava l’universo)

Se ne sono andati (anche chi spiegava l’universo)

Sir Patrick Caldwell Moore

(4 marzo 1923 – 9 dicembre 2012)

Inglese, molto. Vecchio stile. Eccentrico, hanno scritto. Gran divulgatore, di astronomia e astri. Ha fatto epoca: alla radio, alla Bbc, scrivendo libri, una settantina, approfondendo il genere. Nelle foto della vecchiaia, ricordava Churchill. E con lui, a parte il viso e l’espressione, ha avuto qualcos’altro in comune.

Una sveglia impazienza, e un innato fiuto per spaziare e spiazzare, su più versanti. Churchill è stato tory, poi liberale, poi tory per sempre. Ha salvato la civiltà (1940, solo contro i nazi) quando lo davano politicamente fallito. Dipingeva oli e acquarelli (più che dignitosi) anche nei momenti più critici. È ridiventato premier, a 76 anni, nel 1951, dopo aver avuto sullo stomaco i laburisti al governo, nel vittorioso dopoguerra. Scriveva magnificamente, e ha conquistato il Nobel letterario nel 1953.

Ha capito poco di Gandhi, ma con un certo spirito (“quel fachiro nudo”), non voleva l’India libera, ma ha lasciato a Elisabetta – appena incoronata – una civile comunità di associati, il Commonwealth. Moore ha dato il massimo su una materia non di Stato o geopolitica come Churchill, ma universale, alla lettera: la spiata professionale sul cosmo, sulla luna in particolare.

Un genio del racconto e dell’immagine: il suo programma capolavoro – The Sky at Night, una puntata dopo l’altra, alla Bbc, primi anni Sessanta – incrociava accostamenti mai sentiti prima. La Via Lattea come un uovo che frigge, l’andamento di un’eclisse solare come il ritmo di un taxista spagnolo, le fasi della luna viste come lo sforzo tranquillo di un cane che zampetta in alto, su una collina (Moore era, ovviamente, zoofilo e animalista, con i gatti al primo posto).

Successo generale, di quelle trasmissioni: ci metteva il mestiere, non solo l’estro. A 11 anni, era diventato membro della British Astronomical Association. I russi lo invitavano a Mosca, e Yuri Gagarin era lì ad accoglierlo. Ci voleva arte, in quegli anni, nel raccontare l’assodato sistema galileiano, arricchito dal grande balzo in avanti di Einstein: c’erano fra i piedi la fantascienza e il suo boom.

Moore non aveva visioni megagalattiche: narrava come un professore di planetario, con la vecchia mano inglese di uno “story teller”. Ha raccontato ai suoi tutte le spedizioni ‘Apollo’: otto, nove, dieci. La otto, in particolare (1968) sui cui ha detto, sparato, «uno dei massimi momenti della storia umana». Un anno prima dello sbarco lunare.

Churchill ha scritto il suo primo reportage di guerra (inglesi contro mahadisti del Sudan, 1898) a 25 anni. Moore, tredicenne, ha pubblicato, il suo primo testo scientifico: “Small Craterlets in the Mare Crisium”. Il soggetto: certi piccoli crateri su un certo mare lunare. Churchill è stato liberale e conservatore, imperialista e salvifico. Moore, impegnatissimo nella vita e nella società, è stato tory, poi liberale, poi di nuovo tory, poi ha virato più a destra contro l’immigrazione e l’Unione europea. Poi si è ristabilizzato tory. Accanito contro la caccia alla volpe. Appassionato di cricket, e suonatore maniacale di xilofono.

Churchill, con Lady Clementine, sua moglie, ha messo in piedi un matrimonio infinito. Moore, innamorato una volta sola, non si sarebbe mai sposato: Lorna, la sua fidanzata, era morta, nel 1943, sotto le bombe naziste su Londra. «Continuo a pensarla, se avessi potuto vedere l’intera Germania sprofondare nel mare, avrei dato una mano». L’aggettivo “lunare”, per dire qualcosa di eccentrico, o lontano, non è sempre esatto. Perché non dire “inglese”, per esprimere, normalmente, il contrario? 

John Daniel Silva

(20 febbraio 1920 – 27 novembre 2012)

Ingegnoso ingegnere elettronico americano. Di San Diego, California.
Molto fotografato vicino agli elicotteri. A uno, in particolare.

Si chiamava Ktla Telecopter, e John Daniel l’ha ideato e messo a punto lui, nel 1958: il primo elicottero con una funzione di studio televisivo, con cinepresa, e tutto il necessario. Mobile, ovviamente. Oggi, quell’invenzione ha avuto una quantità di perfezionamenti, ma la novità, allora, era sbalorditiva. Informazione istantanea, dall’alto, sul posto, subito dopo l’accaduto, o durante: disastri, terremoti, scene post-tsunami. 

Riprendere queste tragedie, con l’elicottero, dà l’idea immediata, e aiuta i soccorsi. Nella vita non catastrofica, quelle immagini aggiornano, in genere, sul traffico: le code, i rientri, le file autostradali. Silva, ex studente all’Mit di Boston, aveva dato una buona mano in guerra: dislocato sui fronti del Pacifico, era uno dei migliori radaristi. Più precisamente, sapeva piazzare il radar nella direzione giusta. Anche quando era complicato immaginare da dove veniva l’areo giapponese di turno.

Interessante, il suo primo lavoro nel dopoguerra: per la Paramount, cioè per il cinema. E proprio a Hollywood, c’è stato il primo exploit in grande di quell’elicottero: nel 1963, un’incendio stava lì ingoiando tutto, e una serie di Tkla, sorvolando e riprendendo esattamente i punti più critici, riuscivano anche a riversare tutta l’acqua necessaria, in questi casi. 250 milioni di galloni d’acqua, è stato calcolato, in quel caso.

Ha scritto il New York Times: «Eventi da film di Cecil B. De Mille». In nessuna intervista, John Silva avrebbe citato la ripresa più celebre di un elicottero attrezzato in quel modo: cioè la fuga, e l’inseguimento di O. J. Simpson, a Los Angeles , 1994 (dopo che lui, Simpson, aveva ammazzato la moglie e il suo amante).

Silva preferiva sottolineare genericamente, il futuro della sua invenzione: «Col Telecopter ci sara più sensibilità per la “graphic television”. E poi, lo schermo va sentito: con le sue facce “wonderful”». 

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