Serve un’economia “buona” per combattere la crisi

Serve un’economia “buona” per combattere la crisi

Ci sono libri che sono felici non solo per ciò di cui trattano, ma anche per come sono scritti. Tra questi, senz’altro, “L’Economia Buona” di Emanuele Campiglio, un giovane cervello in fuga, oggi alla London School of Economics. In un bel libro edito da Bruno Mondadori, Emanuele spiega le dinamiche della crisi più grave dopo la grande recessione del 1929, presentando con intelligenza il prodotto più recente della letteratura economica ‘di frontiera’. E suggerisce anche esempi di pratiche quotidiane, che non guastano mai, soprattutto per il lettore poco avvezzo ai tecnicismi dei soliti professori.

L’Economia Buona ha una struttura semplice e lineare, facile da seguire e accattivante. Un’introduzione in cui il paradigma economico dominante viene gentilmente messo alla berlina, con argomentazioni che ne sottolineano le contraddizioni e le criticità, è seguito poi da un capitolo in cui l’indicatore economico per eccellenza (il PIL) viene descritto, criticato e corredato di possibili alternative allo stesso. Il ragionamento segue linearmente con una critica alla filosofia che punta tutto sulla crescita, senza risparmiare un ragionamento profondo anche sui sostenitori toutcourt della decrescita che, finalmente, viene sdoganata dall’ambito del pour parler per arrivare ad un vero e proprio programma fatto di ricette pratiche.

C’è un capitolo che discute della finanza, spiegando chiaramente le dinamiche della crisi. E c’è infine tutta una parte che descrive concretamente idee e azioni quotidiane ispirate ad una nuova idea di sviluppo: dal consumo collaborativo del couchsurfing e della banca del tempo, fino agli esperimenti più interessanti delle transition towns, con un vero e proprio sistema di moneta parallela che promuove la spesa a km 0 e la rivalutazione del territorio su scala glocale.

Il libro di Emanuele Campiglio è un bellissimo testo divulgativo. Non è affatto semplice fare della buona divulgazione: spogliarsi dei propri panni più tecnici e accademici per cercare di comunicare a un numero il più possibile ampio di persone una qualche idea. C’è grande sete, oggi come oggi, di economia: le persone vogliono capire e, possibilmente, partecipare attivamente. Forse, non è esente da responsabilità, e lo dice sempre anche Paul Krugman, un certo mondo accademico rinchiuso
nella torre d’avorio e ancorato a paradigmi lenti a morire. È il tempo di promuovere nuove idee e di farlo con semplicità e rigore. Anche questo significa fare buona politica. E buona economia.

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