E coi vostri Like Facebook ci ha fatto un motore di ricerca

E coi vostri Like Facebook ci ha fatto un motore di ricerca

La mattina del 15 gennaio Zuckerberg annuncia una conferenza stampa per presentare un nuovo servizio capace di rendere Facebook più competitivo nel contesto dei media digitali. Le ipotesi più accreditate al momento della convocazione riguardavano «due ambiti di prodotto»: un motore di ricerca per concorrere contro Google direttamente sul suo core business; oppure un nuovo smartphone in competizione con i sistemi iOS e Android. In ogni caso, l’aspettativa era che Facebook cercasse di monetizzare immediatamente il servizio annunciato, in modo da sostenere il rilancio finanziario del titolo.

Alla fine Zuckerberg ha varato un motore di ricerca, Search Graph, che però è limitato ai contenuti interni del social network, e non ospita ancora nessuna forma di promozione pubblicitaria. Merrill Lynch ha comunque «alzato il target del prezzo» per ogni azione di Facebook da 31 a 35 dollari, contando sul valore di innovazione introdotto dal nuovo servizio. Subito dopo la presentazione di Zuckerberg però il titolo è retrocesso sotto quota 30 dollari, seguendo un trend negativo nei giorni successivi; chi ha tratto vantaggio dalla novità è Microsoft, il cui valore per azione è cresciuto da 27 a 27,25 dollari, dal momento che il suo motore Bing rimarrà un dispositivo irrinunciabile per Facebook nell’ambito delle ricerche sul web. Google ha ottenuto un rimbalzo positivo subito dopo la presentazione di Search Graph, per riprendere in seguito il trend negativo dell’ultima settimana.

Da tempo la comunità degli esperti aspettava il lancio di un motore di ricerca targato Facebook – almeno da quando Google ha tentato di entrare in competizione sul terreno del core business di Zuckerberg costruendo il social network Google+. Per ora nel mercato della ricerca web Google si confronta solo con piattaforme software (come Bing della Microsoft) che funzionano usando le stesse logiche di indicizzazione, di calcolo della rilevanza e di presentazione dei risultati agli utenti. Per ragioni di primogenitura, di fidelizzazione al marchio e di qualità del servizio, il primato del motore di Page e Brin non viene minacciata nemmeno da lontano dai concorrenti: in America Google processa oltre «due terzi delle ricerche complessive», in Europa supera i tre quarti, a «livello globale oltrepassa l’80%». Solo Facebook dispone dei dati e degli strumenti potenziali per introdurre un criterio di calcolo della rilevanza alternativo, e con questo patrimonio potrebbe costruire uno strumento in grado di competere sia dal punto di vista della qualità del servizio, sia dal punto di vista dell’offerta commerciale sulle inserzioni pubblicitarie.

Google archivia miliardi di pagine web, ed è in grado di mostrare all’utente un elenco di documenti che rispondono alla sua domanda, in ordine di rilevanza rispetto all’esigenza informativa che il ricercatore ha formulato con la sua interrogazione. La capacità di intuire il tipo di informazione richiesta, e la precisione nella scelta dei contenuti più rilevanti per soddisfarla, sono le tracce distintive dell’intelligenza (in senso ordinario) di Google, e la ragione originaria del suo successo. Il calcolo che permette di compiere la selezione e di comporre la classifica di pertinenza, avviene attraverso la raccolta di «segnali» distribuiti su tutto il Web: la famiglia di algoritmi eredi di PageRank controllano quante «citazioni» ogni documento ha ottenuto sotto forma di link distribuiti su altre pagine in Internet. Il dispositivo verifica anche quale sia il grado di autorevolezza e di competenza specifica che deve essere attribuita alla testata e all’autore della fonte del link, attraverso un meccanismo ricorsivo di calcolo delle citazioni. 

Google registra i segnali di stima che provengono dalla comunità degli esperti tramite i link. Al contrario, Facebook dispone dell’archivio di preferenze esplicite che vengono rilasciate dal pubblico tramite i Like. Il social network conosce attraverso la dichiarazione intenzionale dell’utente quali sono gli oggetti che gli interessano, attraverso quali altri individui è entrato in contatto con loro, quali altre persone della sua cerchia sociale ha influenzato con i suoi post e i suoi Like. Il calcolo della rilevanza non avverrebbe più tramite un’ispezione dei segnali indiretti di stima, ma attraverso la notifica diretta di preferenza da parte degli utenti registrati (che ormai assommano ad un campione di oltre un miliardo di individui distribuiti in tutti i continenti).

Come ha osservato Eli Pariser in Filter Bubble, Google registra un profilo personale costruito attraverso i comportamenti – spesso inconsapevoli – dei clic e dei link; Facebook invece ricostruisce il ritratto di come le persone vorrebbero apparire agli occhi degli altri, attraverso la dichiarazione delle loro preferenze a livello sociale. Per gli inserzionisti sono due lati di esplorazione del profilo di persuasione individuale che si possono rivelare interessanti in uguale misura; dal punto di vista della qualità del servizio di ricerca, in entrambi i casi il calcolo passa attraverso la valutazione del giudizio della comunità, con percorsi che seguono criteri alternativi. 

Facebook dispone di un potenziale competitivo molto preoccupante per Google, che però non è stato espresso nella presentazione di Search Graph. Zuckerberg anzi «ha sottolineato la distanza» che separa il suo motore da quello del concorrente. Search Graph non conosce il mondo all’esterno dei confini di Facebook: la sua area di indagine sono le reti sociali interne alla piattaforma. Tom Stocky e Lars Rasmussen sono due ingegneri fuoriusciti da Google, cui è stato affidato l’incarico di ideare e realizzare il nuovo motore; sono loro a spiegare che il dispositivo di Facebook non cerca documenti da elencare in una scala di rilevanza, ma «espone le motivazioni che tengono in relazione persone tra loro»

Merton sosteneva che le persone non cercano le informazioni (solo) per impossessarsi del loro contenuto cognitivo, ma per conquistare una posizione nelle reti sociali: alla base della formazione personale non si trova la passione per il sapere, ma gli «usi e gratificazioni» che sono connessi al riconoscimento della propria competenza. Tutti noi cerchiamo notizie per poter conversare con gli amici, per segnalare la nostra appartenenza alla tribù; lo stesso fenomeno si presenta nei contesti professionali, se non altro per sedurre o per guadagnare la fiducia degli interlocutori. Search Graph mostra gli oggetti che vengono scambiati all’interno delle reti sociali grazie al meccanismo degli «usi e gratificazioni» delle informazioni. 

Gli oggetti di questa condivisione possono essere le persone stesse, le foto, i posti, gli interessi. Il motore accetta domande in linguaggio naturale: è la prima grande prova della forza ingegneristica spesa nel progetto. L’utente può domandare al motore quali siano «le persone della città in cui sono nato che amano la musica classica», o quali «persone qui nelle vicinanze giocano a calcetto»; può domandare di vedere le «foto scattate a Milano» presenti nella piattaforma di Facebook, o può domandare quali siano i «posti di Barcellona che sono stati visitati dai miei amici» o i «ristoranti di Parigi in cui hanno mangiato i miei amici»; può interrogare infine il motore per sapere quali siano i «libri letti dagli amici dei miei amici» o i «film preferiti dal mio capo».

Sebbene per ora non siano state annunciate, le «potenzialità di promozione pubblicitaria» di Search Graph sono strepitose: Facebook potrebbe infatti elaborare un meccanismo di risultati sponsorizzati, a immagine di AdWords di Google, ma inserito nello schema degli oggetti sociali scambiati dagli amici, come già si configurano le sponsored stories attuali. In più, potrebbe affinare gli strumenti di indagine di mercato a disposizione delle imprese, permettendo di verificare quali siano gli interessi delle reti sociali raggiunte dai prodotti dei loro concorrenti.

Rispetto alle attese di un motore di ricerca universale, Jon Mitchell può «lamentare l’occasione persa nella direzione di un’intelligenza artificiale unica» per tutto il mondo dei dispositivi di ricerca. Ma se si considera che l’89% dei post più efficaci nel coinvolgimento del pubblico da parte delle imprese è centrato su una fotografia, e che Facebook ospita il più grande archivio iconografico del mondo con oltre 240 miliardi di scatti, Zuckerberg può essere convinto con buone ragioni che un motore attivo entro i confini del suo dominio offra già ottime opportunità di investimento per gli inserzionisti.

Taylor Hatmaker sospetta invece che Search Graph sia stato modellato per «aggredire il mercato degli incontri on-line» (i cosiddetti servizi di dating), con implicazioni non ancora prevedibili per la privacy degli utenti. Facebook ha sempre intrattenuto un rapporto disinvolto con le esigenze di riservatezza del pubblico registrato ai servizi della piattaforma: l’ultimo scandalo ha investito proprio la questione della proprietà e dell’uso delle immagini uploadate dagli utenti tramite Instagram. Per far funzionare un motore che rintraccia persone, interessi, fotografie e comportamenti all’interno delle reti sociali, Zuckerberg deve contare sulla permissività più ampia possibile nella divulgazione non solo dei dati privati, ma anche delle relazioni che ciascuno intrattiene con amici e conoscenti. Nella versione di Menlo Park della concezione di Merton, gli utenti dovrebbero essere felici di essere usati dal software di ricerca, senza alcuna gratificazione economica.

Il mercato finanziario non ha ancora riconosciuto a Facebook, il credito nel successo economico che deriverà dall’introduzione del dispositivo di ricerca. Secondo Zuckerberg invece il motore costituirà il terzo pilastro della sua piattaforma, dopo la colonna delle news e la Timeline. Il pubblico avrà più fiducia in lui di quanta ne abbia Wall Street? 

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