Gioielli di famiglia e orologi, ai Monti di Pietà per pagarsi le bollette

Gioielli di famiglia e orologi, ai Monti di Pietà per pagarsi le bollette

«Non mi chieda nulla: già mi vergogno di essere qui», dice, sfilando via, una signora. «No, non è un buon momento per parlare», dice un’altra, che, mani in tasca, sale subito in macchina. Dietro di loro, l’ufficio del Monte dei Pegni di Milano, in viale Certosa 94. Sembra una filiale di banca come tante, ma il nome sull’insegna evoca ricordi lontani nel tempo, di lotta contro la povertà. È normale che chi passa di lì senta imbarazzo. Molti si schermiscono, altri dicono di essere lì per conto di altri. Impegnare gioielli e oggetti di valore in cambio di denaro immediato è segno, in molti casi, di necessità. «No, non sono qui per me». E comunque, «non per impegnare oggetti». Si vergognano e reagiscono. «Sono affari miei».

Non tutti: alcuni, sono arrabbiati, e parlano, anche a lungo. «Perché l’ho fatto? Per pagarmi le tasse. Con questa Equitalia non se ne può più, non si sa cosa fare. Per me, è la prima volta che vengo qui», sbotta una ragazza, accompagnata dalla madre. Poi fugge via. Quello che colpisce è il passo affrettato di chi se ne va. Sudamericani, coppie di anziani, signori con cappotti eleganti. «Io sono qui per aiutare una signora anziana – spiega una assistente sociale volontaria (esce a passo veloce, e subito si dice “arrabbiatissima”). La pensione a quella signora non le basta, i soldi per pagare le bollette non li ha, e questo è l’unico modo che conosce». C’è chi non lo conosce, dice, e chiede soldi ad altre persone, o va in altri posti «come i Compro Oro». E guarda, caso, proprio di fronte al Monte, dall’altro lato della strada, ce ne è uno. Con una scritta indicativa: disimpegno polizze.

La polizza è una parola chiave nel mondo del Monte di Pietà. A chi fa un pegno, l’istituto corrisponde un prestito, e insieme un modulo per riscattare in futuro l’oggetto impegnato, la polizza, appunto. È al portatore, e non può essere trasferita se supera i mille euro di valore. E questo lo sa Santino, macellaio di Corsico, che ha accompagnato il suocero «per un trasferimento della polizza a mia moglie». Hanno impegnato dei gioielli, «cose di valore», dice vago, perché, «sa, la crisi..». Gli affari non vanno molto bene in macelleria, la gente compra meno, spende meno «ma i soldi servono sempre». Ed è lontano il tempo in cui «fare i pegni non era un problema. Mio padre vendeva pellicce, e allora le impegnavamo per tenerle nei magazzini dei Monti di Pietà». Perché si può fare anche così: usare il Monte come una cassetta di sicurezza. «Con i soldi, poi, ne compravamo di nuove che commerciavamo». Questo spiega anche la presenza di persone che, a giudicare dall’aspetto, non dovrebbero aver problemi di liquidità.
 

A Milano ci sono due Monti di Pietà: uno, in via Padova, fa capo a Unicredit e accetta oggetti di valore di ogni genere, compresi tappeti, pellicce e quadri. Quello di viale Certosa, approdato dopo diversi passaggi bancari alla Banca Popolare Commercio e Industria, del gruppo Ubi, è invece l’antico istituto milanese fondato da Ludovico il Moro nel 1483, controllato insieme ad altri nove istituti nelle città della Lombardia. Qui si applicano regolamenti più restrittivi: si prendono solo gioielli, oggetti preziosi in oro e pietre preziose («se incastonate nei gioielli o se diamanti», spiegano allo sportello) e orologi di marca, che vengono aperti per verificare se siano autentici o no. Non è sempre stato così, «una volta si accettavano anche altri beni. Quadri, pellicce. Con il tempo le cose sono cambiate», racconta Sergio Cavagna, consulente del servizio e “memoria storica” del Monte. Ma un punto resta sempre lo stesso: la rapidità. «Il servizio permette di ottenere denaro contante in poco tempo», evitando iter burocratici lunghi e complessi, e soprattutto senza indagini patrimoniali e amministrative. Bastano carta d’identità e codice fiscale e poi, in cambio dell’oggetto impegnato, si riceve un prestito di sei mesi, rinnovabile. Il valore del prestito, che va da un minimo di 100 euro a un massimo di 25mila, è stabilito di volta in volta da una perizia di esperti del Monte di Pietà, che è «abbastanza minore», spiegano allo sportello, al valore del pegno. Oltre al prestito, ci sono anche gli interessi: vanno dal 6,5% al 7% per i sei mesi. Restituendo tutto, si può riprendere quello che si è impegnato.

Altrimenti? «I beni vanno all’asta. Dopo tre mesi, però, se il cliente non è riuscito a restituire i soldi, o ha rinunciato a riscattare i suoi beni», spiega Cavagna. E la differenza tra quello che gli è stato prestato e il bene torna a lui. Ma come spiega Cavagna, sono situazioni rare: «solo il 4,5% dei beni complessivi viene messo all’asta». Chi si impegna cerca sempre di riprendere quello che ha lasciato alla banca.

In questo quadro, si nota bene che la crisi sta lasciando i suoi segni, e sempre più persone ricorrono al Monte. Basta guardare i numeri: nel 2010, la media delle operazioni al giorno si aggirava intorno a 350. Nel 2011 e nel 2012 ha superato quota 400, 189 solo nella sede di Milano il giorno della visita de Linkiesta. Se il numero delle operazioni è troppo vago (comprende anche proroghe e chiusure), il numero di prestiti erogati parla chiaro: 34.157 nel 2012, cioè il 7% in più rispetto ai 31.836 del 2008. Un boom. E quanti soldi erano? In totale, in Lombardia, la media è di 32.814.799 di euro solo nel 2012. Quattro anni prima si era arrivati a quota 23.270.977 di euro, e sembrava già tantissimo. E anche la somma media accordata, nei prestiti, è lievitata:

A chiedere i prestiti «sono persone di ogni tipo», anziani e persone in difficoltà, come si è visto, ma anche «imprenditori, artigiani, che hanno bisogno di finanziamenti immediati». A volte perché subiscono la scure dei ritardi nei pagamenti, o per avere liquidità necessaria in piccoli investimenti. Tutti «si rivolgono al Monte», e da un po’ anche «extracomunitari e immigrati. Sempre che abbiano i documenti a posto». Danno i valori, e prendono i soldi. «Noi chiediamo nel modulo che uso vogliono fare del denaro», ma non è un obbligo essere sinceri. «Una volta erano obbligati a giurare che non li avrebbero spesi per il gioco o per il malaffare». Non si fa più, certo. E forse non serve nemmeno: chi esce di lì, almeno quel giorno, non sembra che i soldi li voglia buttare. 

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