La linea di Bankitalia su Mps: salvate il soldato Draghi

La linea di Bankitalia su Mps: salvate il soldato Draghi

Compatti come una falange macedone. Nessuna ammissione per non aprire crepe nella linea difensiva della Banca d’Italia. Rivendicazione di un operato «ineccepibile» sul Monte dei Paschi di Siena. Negazione di ogni discrepanza fra l’azione degli ispettori e quello dei vertici, cosa che potrebbe far tornare alla memoria i tempi in cui i funzionari Claudio Clemente e Giovanni Castaldi si opposero all’allora governatore Antonio Fazio. Per fronteggiare l’onda di discredito sollevata dallo scandalo Mps, l’ordine arrivato dai piani alti della Banca d’Italia, oggi guidata dal governatore Ignazio Visco, è praticamente una chiamata alle armi. A preoccupare non è tanto l’inchiesta per omessa vigilanza aperta dalla Procura di Trani o altri sviluppi giudiziari, ma la ferita reputazionale dell’istituzione e dei suoi uomini più rappresentativi. 

«L’ordine è proteggere Draghi ad ogni costo», rivela a Linkiesta una fonte a conoscenza di quanto sta avvenendo oggi dentro le mura di Palazzo Koch. Il bubbone Montepaschi si è formato durante gli anni del governatorato Draghi, perciò la difesa di Draghi è la linea del Piave dell’intera istituzione, anche se, nella realtà, il punto è proprio l’incongruenza fra gli interventi che solo il direttorio guidato dal governatore poteva decidere e i severi rilievi degli ispettori di Bankitalia al termine degli accertamenti nel 2010. Qualunque eventuale concessione a un’opinione pubblica sempre più perplessa arriverà dopo le elezioni, sacrificando tutt’al più qualche esponente non più in servizio come l’ex funzionario generale della Vigilanza Stefano Mieli, ormai a riposo, e l’ex vicedirettrice generale Anna Maria Tarantola, attuale presidente della Rai.

Una task force sta monitorando la situazione, in costante quanto discreto coordinamento con l’ex governatore oggi presidente della Bce. È stata messa inoltre in campo una lobby serrata su tutte le massime istituzioni della Repubblica, sui maggiori banchieri, sui media, sui centri di potere. Il successo più alto, finora, sono state le parole pronunciate dal presidente della Repubblica: «Non sono esperto di banche ma se la questione è grave bisogna occuparsene. Ed io ho piena fiducia nell’operato della Banca d’Italia», ha dichiarato Giorgio Napolitano lo scorso 24 gennaio. E oggi il Capo dello stato è tornato sul tema in un colloquio con il Sole 24 Ore: «So quanto possano essere importanti il ruolo e l’impulso della stampa per far luce su situazioni oscure e comportamenti devianti. Sono altrettanto fermamente convinto che va salvaguardato il patrimonio di credibilità e di prestigio, anche fuori d’Italia, di storiche istituzioni pubbliche di garanzia, insieme con la riconosciuta solidità del nostro sistema bancario nel suo complesso». L’affaire Mps, ormai, è diventato affare di stato: il Quirinale chiede che «si manifesti quella consapevolezza dell’interesse nazionale cui sono di certo sensibili tutte le forze responsabili». Più che allineati sono stati da subito anche il premier Mario Monti e il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, che nel periodo 2005-2011 rivestiva il ruolo di direttore generale del Tesoro.

Questa mattina  il vicedirettore generale di Bankitalia Fabio Panetta ha dato prova di fedeltà alla linea, nel corso di un convegno all’Università Bocconi, a Milano. «La nostra vigilanza è stata continua e ineccepibile – ha detto – Siamo il modello, insieme a pochi altri, preso a riferimento per formare la banking union». E ancora: «Il Monte dei Paschi di Siena è stabile grazie alla nostra vigilanza ineccepibile». Affermazioni che evidentemente non sembrano attribuire grande peso ai 3,9 miliardi prestati dalla Repubblica Italiana alla banca senese (i Monti bond) né agli 1,9 miliardi di Tremonti bond risalenti al 2009.

Il 29 gennaio la Banca d’Italia ha rivendicato «un’intensa attività di vigilanza che ha consentito di individuare e interrompere comportamenti anomali a elevata rischiosità», attraverso un documento recapitato alla Camera tramite il ministro Grilli. Affermazioni che cozzano contro l’evidenza dei bilanci del Montepaschi e che si confrontano con la prolungata gestazione della crisi e la svolta tardiva.

Dopo la costosa acquisizione di Antonveneta, infatti, la gestione industriale faceva acqua, e si pensò di tamponare con la finanza. «L’esigenza di recuperare margini reddituali ha indotto a perseguire strategie di carry sull’intero bilancio e d’investimento a leva in titoli governativi italiani che hanno richiesto il reiterato aumento dei limiti interni e determinato un’esposizione al rischio tasso di interesse», scrissero gli ispettori nel verbale letto al cda di Mps (v.), alla presenza dei sindaci, il 29 ottobre 2010, avendo colto perfettamente il cuore della questione.

Ma non venne deciso nessun provvedimento sanzionatorio. «Con riferimento all’attività del veicolo Santorini, dall’ispezione non emergono elementi probanti per avviare una procedura sanzionatoria». Sul resto silenzio. L’allora presidente Giuseppe Mussari, gli amministratori e gli altri manager rimasero al loro posto fino a inizio 2012. Dopo aver letto il verbale ispettivo del 2010 pubblicato da Linkiesta, chi ha avuto esperienza di rapporti e “gatte da pelare con la Vigilanza” non nasconde lo stupore. «Come è nello stile Bankitalia il linguaggio è piano, forse un po’ trattenuto nel caso specifico, ma quello che c’è scritto farebbe rizzare i capelli a qualunque manager», è il commento di un banchiere che conosce bene la Vigilanza. 

In casi anche molto più lievi rispetto a Mps, Bankitalia è solita dare un ultimatum, intimando un cambio radicale di strategia. Ma a Siena si limitò a chiedere un aumento di capitale e il rafforzamento dei controlli interni. In sostanza, si mise una stampella a una situazione pericolante (la finanza) anziché mettere mano al problema di base che l’aveva generata: ossia la scarsa redditività delle attività bancarie tradizionali. Problema che solo la nuova gestione di Mps ha iniziato ad affrontare. L’aumento di 2 miliardi di euro, ad ogni modo, venne completato a luglio 2011. Ma ormai era troppo tardi, l’allargamento dello spread Btp-Bund e il deterioramento del rischio Italia hanno messo ko la più antica banca del mondo. E adesso, messa in sicurezza la banca con i soldi dello Stato, la priorità di Bankitalia è salvare il soldato Draghi. È questione di «interesse nazionale».

Twitter: @lorenzodilena

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