Le dogane non funzionano e le navi preferiscono l’estero

Le dogane non funzionano e le navi preferiscono l’estero

L’Europa ci ruba i container. Per l’esattezza un milione di TEUs (twenty-foot equivalent unit, unità di misura dei container). È questo il numero su cui si impernia l’allarme lanciato dal presidente di Fedespedi (l’associazione nazionale degli spedizionieri) Piero Lazzeri: “Circa 1 milione di TEUs – su un totale italiano che, stando alle più recenti proiezioni, si attesterà nel 2012 poco sopra i 9,5 milioni, nda – è il traffico containeristico (il più cospicuo quantitativamente ed economicamente) di merce destinata al (ma anche in partenza dal) paese che ‘sceglie’ porti esteri per lo sbarco o l’imbarco. È una cifra enorme, un danno enorme in termini di lavoro, di reddito e, non ultimo, di erario”.

Le ragioni naturalmente sono molteplici, ma ce n’è una che sta particolarmente a cuore a Lazzeri e alla sua categoria. E non solo per il suo ‘peso’, ma per il fatto che non dipende da fattori endogeni o difficilmente correggibili nel breve tempo come potrebbero essere alcune carenze infrastrutturali italiane, quanto piuttosto da (non) scelte politico-amministrative. Stiamo parlando del tema dei controlli doganali sulla merce, dicitura impropria – come vedremo le amministrazioni e i soggetti interessati sono molteplici – che, a dire dello stesso Lazzeri, rischia di ridurre il problema ad una polemica fra operatori ed Agenzia delle Dogane tanto sterile quanto parzialmente immotivata. 

È quanto successo, ad esempio, a valle di una recente intervista di Lazzeri al Sole 24 Ore. Sentendosi sotto tiro, l’Agenzia delle Dogane ha inviato a Linkiesta una corposa documentazione volta a chiarire alcuni aspetti della propria attività. Due, sintetizzando, sono le tipologie di rilievi che l’Agenzia muove alle critiche nei suoi confronti. Da una parte ci sono i numeri: la percentuale di controlli approfonditi (che possono arrivare fino allo svuotamento del container), pur a fronte di un aumento assoluto delle dichiarazioni, è fisiologica e in diminuzione grazie alla progressiva digitalizzazione degli adempimenti doganali (si è passati dal 7,20% del 2008 al 4,32% del 2012), mentre per i controlli automatizzati i tempi sono di “2-5 minuti dalla registrazione della dichiarazione doganale”.

Inoltre, e qui inizia il secondo argomento della ‘difesa’ delle Dogane, i tempi non sono quelli denunciati dagli spedizionieri (Lazzeri aveva contrapposto una media di 3-4 giorni per lo sdoganamento a fronte delle 48 ore di Rotterdam), ma più brevi e soprattutto dipendenti solo in parte dalle Dogane stesse. Secondo l’Agenzia, cioè, in caso di prolungarsi dei tempi di sdoganamento la responsabilità non è solo delle Dogane, ma di altri soggetti, dalle altre amministrazioni coinvolte (l’esempio più classico è quello delle verifiche sanitarie e fito-veterinarie), fino agli stessi spedizionieri: ad esempio “nel periodo settembre-ottobre 2012 sulle operazioni doganali di importazione effettuate presso l’Ufficio delle Dogane di Genova i tempi intercorrenti (giorni) tra la registrazione della merce in Temporanea Custodia (cioè al momento della presentazione del Manifesto Merci in Arrivo della nave) e la registrazione della successiva dichiarazione doganale effettuata dal rappresentante in dogana dell’importatore (inizio della responsabilità dell’Agenzia), solo il 15,54% delle dichiarazioni è stato presentato nello stesso giorno di arrivo, il 21,53% il giorno successivo, il 7,80% dopo 2 giorni, il 15,29% dopo 3 giorni e il restante 39,8% dopo 4 o più giorni”. 

Oltre a ciò, denuncia l’Agenzia, “è da sottolineare la scarsa propensione degli operatori economici italiani ad avvalersi dei vantaggi determinati dalla certificazione AEO (Operatore Economico Autorizzato)”, un particolare status previsto dalla normativa europea volto a individuare gli operatori affidabili, per cui alcune procedure “vengono assicurate con periodicità h23 per 365 giorni all’anno” e ai quali viene garantito “l’abbattimento generalizzato dei controlli di natura oggettiva. Ciò denota una distanza siderale dal comportamento di operatori di altri Stati Membri dell’UE, che accedono anche ad altri tipi di semplificazioni sulla base del requisito dell’accesso delle amministrazioni doganali alle scritture contabili dell’operatore”.

La polemica è vivace. In prima battuta Lazzeri non rinuncia a rintuzzare infatti la contraccusa alla categoria: “Sarebbe economicamente suicida e insostenibile allungare i tempi, se uno spedizioniere lo fa, viene spazzato via dalla concorrenza. E, quanto allo status Aeo, quella delle Dogane è una critica debole se consideriamo che le 23 ore di operatività valgono per l’inoltro informatico, che però risolve poco dal momento che gli orari di lavoro dei funzionari, comunque indispensabili al completamento dell’iter, non sono certo h24 come avviene all’estero”.

Un tasto, quello dell’orario di lavoro, molto sentito: “Dal momento che risparmiare 2-4 giorni in molti casi varrebbe più che pagare il trasporto da Rotterdam alla Pianura Padana, in certi porti gli operatori sono persino arrivati ad offrirsi per pagare gli straordinari dei doganieri pur di disporre di uffici operativi 24 ore al giorno. Ma non si è arrivati a nulla e bisognerebbe ragionare su come molti settori in Italia – penso ad esempio al trasporto pubblico – siano stati affossati da una contrattualistica del lavoro sbilanciata e rigida”. 

Ma poi è lo stesso Lazzeri a gettare acqua sul fuoco della querelle con le Dogane, precisando che la sua non è un’accusa ad un’amministrazione dello Stato, ma un campanello di allarme per un settore economico del paese non adeguatamente tutelato: “Non vogliamo buttare la croce su nessuno, noi facciamo il tifo per le Dogane, che con la digitalizzazione hanno fatto progressi da gigante negli ultimi anni. Ma la situazione resta critica, perché permangono forti incertezze sui tempi e sui ruoli delle operazioni di sdoganamento. Un’incertezza che è acuita dal fatto che – e lo riconoscono le stesse Dogane – in Italia abbiamo un numero di uffici doganali (porti, aeroporti, dogane stradali) senza uguali, in cui, per di più, vigono tacitamente prassi differenti, e peggiorata da un’iperburocrazia tutta italiana”.

E apparentemente insanabile: “Da tre anni ci sentiamo dire che l’attivazione dello ‘sportello unico doganale’ – il sistema telematico di integrazione operativa delle varie (18 nei casi estremi) amministrazioni cui spettano i controlli sulla merce, il cui coordinamento competerà all’Agenzia delle Dogane – è prossima, ma ad oggi non siamo nemmeno alla fase sperimentale (dovrebbero partire a gennaio alcune ‘prove’ a Ravenna e Venezia, nda). Non si tratta di individuare dei colpevoli, si tratta di intervenire alla svelta (e con costi assolutamente sostenibili) per correggere un approccio autolesionista e cominciare a concepire in modo più business oriented l’intero sistema dei controlli doganali, esattamente come hanno fatto quei paesi – mi riferisco ad Olanda, Germania e Belgio – i cui porti trattano merci italiane o per l’Italia, incamerandone tutti i relativi benefici in termini di lavoro e introiti fiscali”.

Ecco perché vale la pena gettare uno sguardo a ciò che succede fuori dai nostri confini, innanzitutto citando un recentissimo paper di Espo (European Sea Ports Organisation), l’associazione europea dei porti (teoricamente neutrale rispetto al problema), in cui, in estrema sintesi, si chiede alla Commissione Europea di intervenire per ridurre, snellire e armonizzare le procedure doganali all’interno dell’Unione, fonte oggi di distorsioni economiche fra paesi membri e fra membri e paesi terzi.

Illustrando le scarse risposte ottenute ad alcune domande inviate ad Autorità Portuali ed amministrazioni doganali di Amburgo, Brema, Anversa e Rotterdam – solo dall’Olanda abbiamo avuto riscontro (i tedeschi dicono che non possono fornire dati, mentre da Anversa siamo ancora in attesa dei dati promessi) – Linkiesta ha scoperto che l’apertura fisica degli uffici doganali h24 è una prassi consolidata, che le amministrazioni responsabili dei controlli sulla merce sono più d’una, ma coordinate dalla locale Dogana, “al fine specifico di evitare duplici ispezioni sul medesimo contenitore”, e che “sui 5,8 milioni di container (in TEUs sono molti di più perché un TEU corrisponde ad un contenitore di 20 piedi, ma ce ne sono anche da 40 e, meno diffusi, di altre misure, nda) in entrata o uscita dall’Olanda via mare i controlli fisici sono 49mila (0,8%) e quelli mediante scanner 104mila (1,8%)”. 

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