Lombardia, arrivano le prime elezioni “senza” industria

Lombardia, arrivano le prime elezioni “senza” industria

Prosegue il viaggio de Linkiesta nelle due Regioni italiane al voto per eleggere il governatore il prossimo 24-25 febbraio: Lombardia e Lazio. Punti di forza e debolezza dei due territori più importanti del Paese in un lungo racconto sul campo che accompagnerà i lettori fino alle elezioni.

ARESE (MILANO) – Una volta c’era la grande fabbrica dell’Alfa. Ora, «qui ad Arese ci sono solo tre cose: agenzie immobiliari, banche e bar». A dirlo è un barista (del bar Smile, appunto, nella piazza centrale del paese) e allora gli si può credere. Del resto, Arese è una cittadina placidissima, e lo si vede girando nelle sue strade. I negozi sono pochi, gli esercizi serrati (pochi riaprono prima delle quattro), quasi nessuno per strada. «Ci siamo trasferiti da Bollate, pensando che stando in centro avremmo fatto più affari», continua il gestore del bar, «ma non ha funzionato. Qui si va verso il nulla». Ecco, ad Arese le cose funzionano così: si sprofonda nella quiete. Ma è una quiete che inganna.

È passato ormai tanto tempo da quando Arese era il “giardino di Milano”: a due passi dalla Fiera di Rho, immersa nel verde punteggiato da villette a schiera. Era il dormitorio “per i ricchi”, cioè i quadri dell’Alfa, appena appena sfiorato dall’autostrada laghi. Di impronta conservatrice (e affezionata al Pdl), resta una cittadina moderata e laboriosa. Ma adesso è diventata “l’ingovernabile”, e si capisce perché.

Nell’ultimo anno e mezzo, Arese ha visto di tutto: un sindaco in manette per tangenti, un commissariamento, un nuovo sindaco che lascia dopo soli due mesi e, infine, un altro commissario. Stavolta è toccato al prefetto, Anna Pavone, venire a reggere le cose e prendere decisioni importanti, come la firma – definitiva – per l’accordo di programma sull’area ex Alfa Romeo. Un punto cruciale: con la sua approvazione si è deciso il destino (forse l’ultimo) dei terreni della vecchia fabbrica. Abbandonati in gran parte da anni, sono stati al centro di interessi, indagini, speculazioni e manovre politiche. Lì, adesso, sarà edificato il più grande centro commerciale d’Europa. I tentativi (e i progetti) di un recupero industriale sembrano vanificati, con conseguenze anche nella città. Perché ad Arese tutto passa ancora per l’Alfa. Anche il fantasma della ’ndrangheta, anche il pugno di operai, senza lavoro da due anni, che ogni giorno si ritrova al cancello sud-ovest a protestare.

Il Comune di Arese

Le vie di Arese

Quando si parla dell’Area ex Alfa, si parla di terreni che coprono circa 2, 2 milioni di metri quadrati. Tra le aree abbandonate, quella di Arese è seconda solo a quella di Sesto. Per loro, il ricordo della fabbrica è il segno del passato, anche glorioso, della città. Adesso è diventato il suo presente più ingombrante. Proprio sull’impiego dell’area (che tocca anche i comuni vicini di Rho, Lainate e Garbagnate), si sono giocate le ultime elezioni cittadine, a maggio del 2012. Le ha vinte Pietro Ravelli, 65 anni, medico in pensione, guidando la lista civica Arese Futuro, di orientamento (e anche uomini) di centrodestra. Aveva promesso un “no” strenuo alla firma dell’Accordo di programma, che equivaleva a un rifiuto della nascita del polo commerciale. Era stato premiato. L’idea insomma, era che Arese dovesse restare un polo industriale, o qualcosa di simile.

«Certo. A parte Pdl e Udc, su quel punto eravamo tutti d’accordo», spiega a Linkiesta Giuseppe Augurusa, leader del Pd locale e, nel 2012, candidato sindaco per il centrosinistra. Invece l’Accordo di programma, elaborato dalla Regione e dalla Provincia di Milano, prevede la costruzione sui terreni ex Alfa (in due anni) di un ipermercato («77mila metri quadrati») insieme a un nucleo residenziale (68.565 mq) e, va detto, aree destinate a centri per la ricerca. È compreso un grande parcheggio in vista dell’Expo. Il tutto per 2mila posti di lavoro.

«C’erano molti dubbi sul progetto», continua Augurusa. «Per varie ragioni. I negozianti erano spaventati dall’ipotesi di un nuovo centro commerciale». Ma di commercianti, ad Arese, ce ne sono pochi. «Quasi 150. E poi – ribadisce – il punto fondamentale, è sempre quello: la nostra volontà era di mantenere la vocazione industriale dell’area». Che comincia nel 1963, quando la fabbrica del biscione decide, su impulso di Giuseppe Luraghi, di trasferire laggiù la produzione, abbandonando il Portello di Milano (a sua volta, oggi, sede di un ipermercato). «Un fatto di tradizione, ma anche di opportunità economica. Serve a creare sviluppo e dare lavoro, in un contesto già pronto», continua Augurusa.

Del resto, sul rilancio industriale, lì, si è discusso per anni. In mezzo a lotte (a volte soffocanti) tra sindacati e Fiat, sono fioriti e poi morti protocolli, progetti, dichiarazioni di intenti più o meno concreti. Si è parlato subito di auto elettriche, del progetto Vamia (Vetture a minor impatto ambientale), di nuove installazioni. Nel frattempo, gli operai diminuivano, i sindacati si irrigidivano e la Fiat smantellava. Un esempio è il Craa: nato dal Protocollo di intenti tra Fiat e governo del 1994, il Consorzio per la Reindustrializzazione di Arese (partecipato dalla Provincia di Milano, dai comuni di Bollate, Garbagnate Milanese, Rho, Arese, Lainate, da Fiat Auto Spa, Finlombarda Spa, Svi Lombardia Spa e dalla Camera di Commercio) doveva mediare tra i fondi pubblici ricevuti (sei miliardi di lire, quasi tre milioni di euro) e le aziende interessate a spostare la loro attività nell’area. Non lo ha mai fatto, non ha mai funzionato ed è stato liquidato, tanto da insospettire la Finanza, che nel 2005 ha aperto un’indagine (chiusa poco dopo) per truffa in erogazione pubblica e abuso d’ufficio.

Il cammino di Arese è stato un muro contro muro, con storie uguali di aziende che via via si sono interessate (la Cosworth e la Tvr,ad esempio) e che hanno desistito. Delle Alfa Romeo “disegnate dal vento” non c’è traccia da anni. Intanto si è installata qualche azienda di logistica, il Call center Fiat e poco altro. Il deserto industriale e, ora, l’unica cosa che si riesce a costruire è un supermercato. Una sconfitta? «In un certo senso sì. Per noi è più importante riportare l’industira». Sembrava una posizione condivisa, quella di Augurusa. E invece, è andato a finire tutto al contrario.

La storia va così, si snoda in modo strano. Per prima cosa, «il sindaco, Pietro Ravelli, a causa di una serie di scontri con i suoi, si è dimesso dopo soli due mesi». Il 27 luglio, per la precisione. Ravelli se ne va, denunciando “troppe pressioni”. E troppi problemi. Sulle spiegazioni, non si dilunga. «Sono troppo deluso e amareggiato», ha detto l’ex sindaco a Linkiesta. «Non ho più intenzione di tornare a parlare di quella storia. Ho chiuso con la politica». Un no comment rassegnato che non racconta nulla.

Ravelli tace sulla bufera che ha travolto gli ultimi giorni della sua amministrazione, quando, tra scandali e veleni, si capiva che qualcosa non quadrava. Lo dice anche Marco Tizzoni, all’epoca a capo della lista civica Gente di Rho. Lui, in quei giorni, passa alla cronaca come un eroe che ha rifiutato 300 voti della ’ndrangheta. Ma aveva anche una lista gemella ad Arese. «Lì i fatti strani non si contano», aveva detto ai giornali. E sollevava dubbi anche sul sindaco: «Una litigata con la sua maggioranza non può essere stata alla base di una scelta così drastica. A soli due mesi dal voto, poi». Soprattutto, «dopo pochi giorni da un misterioso incontro nell’area dell’ex Alfa Romeo». Gira e rigira, si torna sempre lì, nell’area ex Alfa.

Il “misterioso incontro”, la scintilla di tutto, in realtà altro non è stato che una visita fatta dal sindaco nella zona della vecchia fabbrica, su invito dei proprietari dell’area, i rappresentanti della Tea spa. Dal 2000 in poi, quei terreni hanno subito una fitta e complessa serie di passaggi di proprietà. Prima Fiat, poi Immobiliare Estate sei, dell’onorevole Riccardo Conti –  all’epoca Udc e oggi Pdl – che ne rileva due terzi, per dividerlo poi con Aig Lincoln (la “strana cordata Brescia-Usa”, dicevano), e far nascere l’Abp (Alfa business park). Un pezzetto, poi, va a finire alla compagnia di riassicurazione tedesca Munich Re. Infine tocca a Tea, che ne compra 260mila mq. A capo, c’è Marco Brunelli, l’ottuagenario patron di Finiper che ne controlla il 76%. Il restante 24% è di Euromilano (partecipata da cooperative, Unipol e Intesa SanPaolo) con a capo Alessandro Pasquarelli.

È con loro che si incontra, il 26 giugno, Ravelli. Qualche giorno prima, il 12, i rappresentanti di Tea erano andati in Comune a presentare, con carte e plastici il loro progetto. Una cosa normale, secondo loro. Uno scandalo, per Andrea Costantino, presidente della lista Arese Futuro, vicesindaco e assessore alla Cultura, Risorse Finanziarie e Bilancio. Scoppia la tempesta.

Ravelli non accetta le accuse di Costantino («il sindaco sta cambiando idea sul progetto dell’area?») e lo rimuove dagli incarichi. Costantino reagisce e spacca la giunta. Alcuni passano con lui, e comincia la crisi. Ma non basta. La vicenda si complica, diventa una spy story: in parallelo, l’ex consigliere del Pd Giancarlo Giudici, candidato alla presidenza, va in sezione e vuota il sacco. «Ho aiutato Arese Futuro a vincere le elezioni», avrebbe detto. Durante la campagna faceva la spia e passava, facendosi chiamare “Carla”, documenti riservati a Costantino e altri esponenti della lista civica. Perché? In quei giorni, spiega, la sconfitta del Pdl era del tutto inaspettata. E anche se l’ultimo sindaco Pdl, Gianluigi Fornaro, era stato arrestato per aver gonfiato il prezzo della fornitura del gas a danno dei cittadini, il partito sembrava ancora in grado di vincere. Giudici voleva creare un’alleanza con Arese Futuro per farle diventare forze di opposizione unite. Per questo li aveva aiutati di nascosto. La confessione, fatta in seguito ad alcune minacce ricevute, scatena illazioni e veleni, che vanno a sommarsi con gli scontri nella maggioranza. È troppo: spionaggio, spaccature, tensioni di ogni genere. Arese è ”l’ingovernabile”. E Ravelli decide di lasciare.

«Dopo le sue dimissioni», spiega Augurusa, «il Comune è stato di nuovo commissariato». Con l’arrivo di Anna Pavone, vice-prefetto a Milano, comincia la seconda fase. «L’Accordo di Programma era ancora fermo in Regione». Pur avendo fatto le prime mosse nel 2004, «la sua ultima versione risale al 2010: quella volta Arese lo firmò, quando il sindaco era ancora Gianluigi Fornaro». Ma il percorso subisce una battuta di arresto a Rho, altro comune interessato all’area. Il sindaco, Roberto Zucchetti aveva dato il via libera, ma il Consiglio Comunale decide di bloccare tutto, bocciando il progetto. Tutto da rifare.

A festeggiare, sono i comitati per il no, tra cui quello di Sara Belluzzo, aresina e insegnante di musica. «Avevamo cominciato opponendoci a un progetto di tangenziale tra Rho e Arese», racconta a Linkiesta. Un problema urbanistico «e anche di traffico». Ma il movimento ha continuato inglobando la battaglia sull’area dell’Alfa Romeo. «Non ci si deve limitare a battaglie di corto respiro: qui è in ballo il futuro del territorio, e dei ragazzi che ci abitano». Non si può svenderlo a un supermercato, dice. Lei è «insegnante. Non voglio che i miei alunni vadano a fare i commessi», aggiunge.

«Per ripresentare l’Accordo di programma, vengono fatte alcune modifiche», continua Augurusa. «Cioè la riperimetrazione». In poche parole, viene tracciato un nuovo perimetro dell’area interessata dalla riqualificazione, riducendolo. «In questo modo restano fuori Rho e Garbagnate», spiega. Il resto, è storia recente. L’AdP viene autorizzato dalla Giunta uscente della Regione. Roberto Formigoni lo acclude alle altre 120 pratiche che sbriga l’ultimo giorno, prima di lasciare. Da quel momento, la parola torna alle amministrazioni locali. «Solo che, ad Arese, non c’era più il sindaco e nemmeno il Consiglio, eletto per dire no a questo progetto», sottolinea. Di fronte al documento,  il prefetto, Anna Pavone, non esita e firma l’AdP. «Era un atto dovuto», dice, rifacendosi alla approvazione ufficiale compiuta dalla giunta di Gianluigi Fornaro.

L’ultimo passo si compie il 17 dicembre, a Lainate, l’altro Comune interessato. In un Consiglio militarizzato, viene approvato il progetto. Alla fine, dopo oltre vent’anni, l’area ex Alfa Romeo ha un progetto preciso per la sua riqualificazione. Due mesi di tempo per presentare ricorso.

Ci sono proteste e ci saranno ricorsi: tra i contrari ci sono gruppi dei centri sociali e, insieme a loro, i sindacati dello Slai Cobas, i quasi 40 operai, licenziati dalla Innova Service che si ritrovano tutti i giorni nello stabilimento abbandonato. Nelle vecchie stanze che, una volta, erano utilizzate per il Consiglio di Fabbrica. «Il riscaldamento? Non c’è. Per l’elettricità abbiamo un generatore elettrico», spiega Corrado Delle Donne, ex consigliere regionale (eletto nel 1995 con il voto di 5000 operai dell’Alfa Romeo) e rappresentante del sindacato. Sono gli ultimi irriducibili, ex operai, di quando l’Alfa Romeo era la Cattedrale dei metalmeccanici. «Il nostro obiettivo è venire riassunti nelle industrie che aprono nell’area», spiega. Sono decisi. Finora, ogni proposta non è stata accettata. No all’ipotesi di una loro cooperativa, né di denaro per liquidazione. E con il nuovo progetto di riqualificazione, le possibilità sono poche: entrare nella grande distribuzione. Anche qui, anche stavolta, si consuma l’ennesimo, e forse l’ultimo braccio di ferro.

Sullo sfondo di Arese, e dell’Alfa Romeo, restano i capannoni abbandonati, lasciati alle erbacce, di una fabbrica che un tempo era gloriosa. Incorporava tutto il ciclo produttivo, e contava, negli anni d’oro, quasi 18mila dipendenti. Mentre Arese aveva tremila abitanti. Rimane difficile da credere, tra i calcinacci e i vetri sfondati dell’antico reparto verniciatura, che da qui sia uscita la Giulia GT, la prima auto prodotta ad Arese, nel 1963. Sempre qui, si era esibito, per gli operai e le loro famiglie, anche Eduardo De Filippo, nel 1980. Un luogo di scontri sindacali, con operai bizzosi e assenteisti (storico nel 1987l il duello dello “scopone scientifico”, quando la Fiat, nuova proprietaria, voleva vietare il gioco delle carte durante la pausa pranzo) e vivaio di politici, consiglieri e parlamentari.

Un universo colpito da anni di scelte industriali dettate dalla politica, come la vendita a Fiat, nel 1986, e non a Ford. Come la lenta dismissione dell’area da parte della casa di Torino, fatta di protocolli e progetti mai realizzati fino in fondo, e la durezza delle posizioni sindacali, che nel 1989 hanno dimezzato il ritmo nel reparto verniciatura, abbassandolo da 800 a 400. E si sono opposte a ogni tentativo, da parte di altre industrie, di insediarsi nell’area. Poi è arrivata l’agonia, con tappe e sussulti, che hanno travolto i progetti di cui sopra. Dal ritiro della produzione di vetture a minor impatto ambientale (Vamia) nel 2002, e la distruzione, con le ruspe, delle linee di produzione, nel 2003.

Ora, forse, con il nuovo Accordo di Programma, è arrivata alla fine e a un nuovo inizio. Del tutto diverso. Poteva diventare un nuovo polo, una Ruhr. Con il supermercato, è finita. Arese può tornare una città quieta e sonnacchiosa, fatta di «bar, banche e agenzie immobiliari». Per il ricordo, ci sarà il Museo, creato nel 1976, appena di fronte all’ingresso sud-ovest dello stabilimento, subito accanto al vecchio silos. Custodisce motori e 266 vetture originali, tra cui quella guidata da Nuvolari. Può vantare un flusso di 28mila visitatori all’anno. Anzi, poteva vantarli. Anche il Museo è chiuso, da due anni. E non si sa quando e se riaprirà.

Il Museo Alfa Romeo ad Arese