Fuggire dall’Italia e riparare in Austria, portando con sé la propria impresa. È il sogno carinziano, rispolverato in modo ciclico, che avvolge i pensieri di artigiani e imprenditori del nordest. Lasciarsi alle spalle, dietro il confine, l’oppressione del fisco e della burocrazia italiana. Lo si dice ogni volta, ma poi, funziona? Un mese fa è partito un pullman di imprenditori per conoscere la realtà e stabilire nuovi contatti. Ora la questione ha raggiunto istituzioni e associazioni di categoria, che sposano la linea. C’è chi, come la Cisl, ha applaudito alla cosa. Secondo Mario Pozza, presidente della Confartigianato della provincia di Treviso, però, è tutto un errore. «Perché le associazioni di categoria promuovono viaggi in Carinzia, invece che affrontare i problemi del territorio?», si chiede. Una risposta, forse, ce l’ha.
Cominciamo dall’inizio. Ma perché si vuole andare in Carinzia?
Non è che la Carinzia sia stata scoperta stamattina. È una cosa che viene fuori ogni volta, in forma ciclica. Aldilà del confine, si dice, si sta meglio. In Austria, ma anche in Slovenia. Insomma, non deve colpire che ci siano 50 imprenditori che hanno preso un pullman per andare a vedere com’è la situazione lassù.
Ma perché lo fanno?
C’è una forte pubblicità, prima di tutto. E poi ci sono anche dei legami oggettivi. Molti di loro lavorano già con imprese tedesche e austriache. Ma sopratutto, le tasse in Carinzia sono più basse. Non si discute, e questo la rende senz’altro un posto appetibile. Qui, in particolare con il governo Monti, le tasse sono schizzate, e quest’anno ne pagheremo ancora di più. Ma faccia attenzione: il problema, qui, non sono solo le tasse altissime. C’anche altro.
Immagino. Cos’è questo “altro”?
La burocrazia, ad esempio, è soffocante. E la giustizia? Non parliamo dei problemi del tribunale di Treviso, che copre un’area maggiore rispetto alle sue capacità. Di fronte a queste cose, è normale che ci siano imprenditori e produttori interessati ad avere dei vantaggi in questo senso. La soluzione, per loro, diventa andare all’estero. E il problema è che ci sono associazioni e sindacati disposti ad assecondarli. Ecco: non è questo l’atteggiamento giusto.
Cosa si dovrebbe fare, secondo lei?
Affrontare i problemi del territorio. L’atteggiamento prevalente è quello di concentrarsi sulla questione delle tasse, far notare che sono tante, che sono troppe – ed è vero – e si scarica la colpa sul governo centrale. Ma è sbagliato. Ci sono molte cose che si possono fare anche a livello regionale o territoriale, anche in questo senso, e andare in aiuto delle piccole imprese. Ad esempio, la Regione può riaprire i cordoni della borsa a favore dei consorzi di garanzia. Non lo fanno più, hanno preferito affidarsi alla finanziaria regionale Veneto Sviluppo, che però non ha più finanziato le imprese. Poi, andrebbero modificati i bandi di finanziamento regionali: sono limitati a 100mila euro, che sono, molto spesso, una cifra troppo alta per quello che serve alle imprese. A volte ne bastano 40mila, o 60mila. Per accedere come fanno? Sono costretti a unirsi ad altre imprese. E poi ci sono i fondi europei. Sono tutte indicazioni che si possono fare a livello regionale e che darebbero una solida mano alle Pmi. Ma non si fanno. Al contrario, quest’anno entra in vigore la Sanarti, un fondo integrativo sanitaro per i lavoratori, che nasce da un accordo tra sindacato e associazioni di categoria. Era previsto per il 2009, lo hanno spostato al 2013. E adesso ogni impresa dovrà pagare, oltre a tutto il resto, 125 euro per dipendente all’anno. Ecco, queste sono le cose su cui si dovrebbe agire, ma si preferisce guardare all’estero. Anche le associazioni di categoria fanno così. E lei sa perché?
Perché?
Perché si chiudono a riccio di fronte ai problemi delle imprese e degli artigiani, non affrontano le novità del mercato, che chiedono cambiamenti, anche nel modo in cui si decide di rappresentare queste realtà. E poi, lo dico, sono troppo ossequiose del potere politico, di destra e di sinistra, non fa differenza.
Ma, a parte la questione delle associazioni di sindacati, la Carinzia è davvero un pericolo?
Se vai in Carinzia, di sicuro – e qui non ci piove – pagherai meno tasse. Ma bisogna farsi una domanda: lì ci sono tutte le strutture che trovi qui sul territorio? La manodopera, i fornitori, le filiere, le capacità, qui sono ben strutturati, e funzionano bene.
Lassù non ci sono?
Per fare queste cose occorrono garanzie: oltre alle tasse ridotte, siamo sicuri che ci siano le filiere? Direi di no. C’è un tessuto produttivo come il nostro? Direi di no. Ci sono le infrastrutture? Chissà. Qui, di sicuro, il tessuto industriale è forte e radicato, e funziona
Ma qualcuno si è trasferito in Carinzia?
Che io conosca, nessuno.
E quindi qual è il problema?
Il problema è che gli imprenditori che salgono sul pullman per visitare la Carinzia hanno un sacco di buone ragioni: meno tasse, meno burocrazia. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: bisogna stare attenti a cosa si trova là. I problemi andrebbero risolti sul territorio, e questo vale anche per sindacati e associazioni di categoria. Non favorendo l’emigrazione delle imprese.