SANREMO – “Comunque vada, sarà un successo”. Devono aver pensato questo la direzione artistica del Festival di Sanremo. In effetti, l’edizione numero 63 della kermesse canora più celebre d’Italia è stata la migliore degli ultimi anni. Punto. Non c’è santo (o Papa, o meteorite, dato il periodo) che tenga. La vivacità è andata via via aumentando, di pari passo con le esibizioni dei cantanti. Nonostante fossero presenti fra i big, in tanto non avevano la caratura per esserci a pieno titolo e hanno pagato questo gap nelle prime sere. Poi, per il bene della musica, tutto è migliorato. C’è solo un grande, enorme, rimpianto. Quale? Che l’Armata Rossa abbia suonato solo la prima serata.
Quello che doveva essere il Festival dell’austerity (vedi il bilancio tagliato del 10%) è stato invece quello della buona musica. Dopo le performance di Asaf Avidan, di Stefano Bollani e di Caetano Veloso, sono arrivate quelle di Daniel Harding e di Lutz Forster. Erano anni che Sanremo non prendeva una piega così sfacciatamente jazz. Meglio così. Soprattutto, per fortuna che le sterili polemiche del primo giorno, in cui Maurizio Crozza fece il suo classico repertorio, hanno lasciato spazio a quello per cui Sanremo è nato: le canzoni. Altro che politica. Va bene, è arrivato poi Claudio Bisio, ma il palese gelo della platea ha dato spiegazioni ben più di ogni altra cosa. Mai come in questa occasione Letterio Munafò, il contestatore di Crozza della prima serata, sarebbe servito per far smettere lo spettacolo del comico milanese. Bocciato in toto, sia dalla platea sia dalla sala stampa. Specie considerando che ha ritardato di circa 4 minuti l’esibizione di Elio e Le Storie Tese, il vero momento clou della serata, atteso dai piccoli, dai grandi e da Rocco Siffredi, che si è visto ancora in giro per la cittadina rivierasca dopo la magistrale esibizione canora (?) di ieri sera.
Dalla coppia composta da Simona Molinari e Peter Cincotti, passando per Raphael Gualazzi e finendo con Max Gazzè e Daniele Silvestri, la protagonista è stata la musica. E chi aveva paura che l’edizione numero 63 sarebbe stata all’insegna del concerto del Primo maggio è stato smentito. Basti pensare anche solo alla presenza degli Almamegretta e di Annalisa. Sonorità differenti, emozioni garantite per entrambi.
Alla fine vince Marco Mengoni. Teatrale, stucchevole quanto basta per essere adorato dalle ragazzine, con una canzone molto radiofonica e con un testo assai moderno. Non poteva essere altrimenti. O meglio, le previsioni della vigilia vedevano vincente Malika Ayane. Purtroppo, quest’ultima ha portato una canzone che non è tanto radiofonica quanto quella di Mengoni. Peccato. Il premio della critica finisce a Elio e Le Storie Tese, che si prendono anche il premio per il miglior arrangiamento. E tutti sono contenti.
La kermesse più jazz degli ultimi anni si conferma come una delle migliori. La scelta di avvantaggiare sonorità ben più colte rispetto alle solite musiche da reality ha premiato. Va bene, va bene. Ok, ci sono sempre i Modà. Ma si sa, anche le ragazzine hanno bisogno di avere degli idoli. Dato che Justin Bieber non era disponibile per calcare il palco dell’Ariston, le teenager si sono dovute accontentare di Kekko, il frontman dei Modà. Per la serie, chi s’accontenta gode. E la bellezza di questa edizione è che la maggior parte delle canzoni sono molto catchy, ma allo stesso tempo mature e non scontate.
Il vincitore morale del Festival? Forse proprio lo stesso Fabio Fazio. Alla fine, la sua conduzione è maturata molto negli ultimi anni. La progressione che il duo di Che tempo che fa, dalla prima all’ultima serata, è stata quasi portentosa. Tanto noiosa e prevedibile la prima serata, quanto interessanti le altre, specie dalla terza in poi. Un successo a metà? No. Anzi. Il Sanremo 2013 è stata la dimostrazione che, a parte le solite polemiche su conduttori e la satira politica del momento, se ci sono canzoni di livello tutto il resto passa in secondo piano. A due settimane dalle elezioni, fare meglio di Fazio e Littizzetto era francamente difficile. Merito della musica. Punto.