BRUXELLES – Funzionari Usa parlano di «rischio di guerra commerciale», mentre vari europarlamentari descrivono un «attacco delle lobby senza precedenti». Benvenuti nella battaglia sulla nuova direttiva Ue che dovrebbe migliorare la tutela della privacy degli utenti di Facebook, Google, Linkedin, Twitter, Amazon & Co. È una battaglia colossale perché, come hanno scritto in una dichiarazione comune 43 ong e un centinaio di individui (la “Brussels Privacy Declaration”) «noi, i cittadini, siamo indignati perché siamo conservati in centinaia di banche dati, per lo più senza nostra conoscenza e assenso; oltre 1.200 società si sono specializzate nel commercio dei nostri dai personali, per lo più senza nostra conoscenza o consenso; ogni volta che navighiamo in Internet oltre 50 società monitorano ogni nostro click, per lo più senza nostra conoscenza o consenso; siamo costantemente categorizzati e giudicati da algoritmi e poi trattati secondo il “valore percepito”».
Sono argomentazioni di questo genere alla base della direttiva che ha proposto, ormai un anno fa, il commissario europeo alla Giustizia Viviane Reding. Una direttiva che punta a uniformare le regole (al momento le obsolete norme Ue del 1995 sono attuate nei 27 stati membri ognuno a modo suo), con un risparmio – secondo la Commissione – di 2,3 miliardi di euro l’anno, rafforzando però la tutela della privacy. «La protezione dei dati personali – ha avvertito la Reding – è un diritto fondamentale di tutti gli europei, eppure non sempre i cittadini sentono di avere il pieno controllo dei propri dati». La bozza di direttiva prevede, oltre all’uniformazione delle norme che applicheranno le authority nazionali (che dovranno essere solo una per paese), l’obbligo per le società di notificare entro 24 ore qualsiasi grave violazione da parte di hacker della propria banca dati; il consenso al trattamento dei dati dovrà essere esplicito; dovrà esser più facile accedere ai propri dati personali e trasferirli, volendo, da un fornitore di servizio a un altro. E poi c’è il cruciale diritto all’oblio (la completa cancellazione dei propri dati personali in caso di annullamento dell’account). Inoltre le nuove authority nazionali potranno comminare multe fino a 1 milione di euro o al 2% del fatturato mondiale annuo in caso di violazione delle norme. E le norme si applicheranno a qualsiasi società anche non Ue che operi su territorio dell’Unione.
Ed ecco il primo punto, visto coma il fumo degli occhi dai colossi Internet, quasi tutti made in Usa. Da mesi le lobby di questi gruppi ma anche il governo americano stanno attuando una fortissima pressione sulla Commissione Europea e soprattutto sul Parlamento Europeo per ottenere l’esenzione dalle norme degli operatori non Ue. Il che, viste le loro dimensioni, renderebbe praticamente inutile la direttiva. Solo pochi giorni fa John Rodgers, consigliere economico del ministero degli Esteri di Washington avvertiva del rischio che la nuova direttiva «se applicata nei termini attuali, potrebbe scatenare una guerra commerciale». Non se ne parla proprio, ha risposto piccata, pochi giorni fa in un’intervista al Financial Times, la Reding. «Una cosa è chiara – avverte – se le aziende vogliono attingere al mercato europeo, devono applicare standard europei». I colossi digitali made Usa in effetti temono come la fillossera le nuove regole stringenti, in cui temono perdite notevoli sul fronte dei preziosissimi (e lucrosi) dati personali. «La direttiva – ha tuonato anche Erika Mann, ex europarlamentare e ora lobbista per Facebook a Bruxelles – non favorisce il mercato unico europeo digitale e ostacola l’innovazione». «In pericolo – tuona anche la Coalizione Industriale per la protezione dei dati (Icdp), cui aderiscono 15 organizzazioni industriali del settore – è il futuro dell’economia digitale».
La vera tempesta, però, è proprio sul Parlamento Europeo, che ha avviato la discussione a livello di commissioni parlamentari. Il relatore presso la principale della commissioni coinvolta, Libertà Pubbliche, il verde tedesco Jan Philip Albrecht, è accesissimo fautore dei diritti della Rete, e ha proposto anzi emendamenti che rendono ancora più forti i diritti degli utenti a intervenire sui propri dati. Il problema è però che molti altri colleghi, meno sensibili al tema, si stanno facendo interpreti proprio delle richieste delle lobby. «Il 60% della pressione viene da Silicon Valley» stima Albrecht. Come dimostra con certosina minuzia il sito Lobbyplag.eu, si assiste a un vero e proprio copia-e-incolla in grande stile dalle “proposte” delle lobby ai testi degli emendamenti proposti in sede di commissioni europarlamentari a colpi di file in formato Word. Gutjahr ha preso di mira ad esempio l’eurodeputato Cdu Andreas Schwab.
Il quale – come mostra plasticamente il sito – ha fatto per i suoi emendamento il copypaste di passaggi suggeriti da varie lobby che puntano a: eliminare (senza sostituzione) l’articolo che prevede multe per chi viola le norme; eliminare (senza sostituzione) le norme che prevedono per i cittadini il diritto di far rispettare i propri diritti attraverso organizzazioni per la tutela dei dati; introdurre il cosiddetto “forum shopping”, e cioè consentire alle società di scegliere a piacimento la sede per aggirare norme più severe. Altri deputati hanno proposto – sempre con il copia-incolla – modifiche all’obbligo di consenso esplicito, che viene relativizzato. Solo esempi, se si va su Lobbyplag è elencato l’elenco degli eurodeputati che hanno copiato pari pari i testi passati loro dalle lobby (indicate anche queste come fonti). In totale sono 50, sostiene Gutjahr, gli eurodeputati che hanno presentato emendamenti quantomeno “sospetti”. Un lavoro “fruttuoso”: il rapporto sulla prima riunione degli europarlamentari dedicata alla direttiva a dicembre, è, dice Gutjahr, «disseminata di testi delle lobby». «Nell’intero rapporto -tuona anche Albrecht – non c’è una sola proposta che vada a difesa dei consumatori. È semplicemente una lista dei desideri delle società coinvolte».
Le varie commissioni parlamentari torneranno a esaminare i testi il 20 e 21 febbraio e poi di nuovo il 18 e 19 marzo, per una riunione conclusiva della commissione guida del 24-25 aprile. La speranza della Commissione e di Albrecht è di arrivare al voto in plenaria prima dell’estate, e non è chiaro quanto dei famosi emendamenti passeranno. Se, oltretutto, le lobby riusciranno a prolungare i negoziati, si potranno avere altri problemi: se entro inizio 2014 non ci sarà intesa, passa tutto in cavalleria, visto che in quell’anno si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo. Con buona pace della privacy degli utenti.