8 marzo e pubblicità ambigue: Facebook in rivolta

Sotto accusa Fiat e Durex

Secondo alcuni racconti, che cominciarono a circolare negli anni ’50 e ’60 negli Stati Uniti, la Giornata Internazionale della Donna venne istituita per ricordare un incendio scoppiato in una fabbrica di New York, nel quale persero la vita più di cento donne. In realtà, le radici storiche della festività affondano nella Russia del 1921, anno in cui la Seconda Conferenza Internazionale delle donne Comuniste, tenutasi a Mosca, istituì per l’8 marzo una giornata di commemorazione annuale della grande manifestazione del 1917 in cui migliaia di donne scesero in piazza, chiedendo diritto di voto e la fine della guerra.

Per molti, però, oggi la Giornata Internazionale della Donna è soltanto un altro evento commerciale, al pari di San Valentino. Tra i sostenitori di questa teoria, vi sono sicuramente le grandi aziende e gli uffici marketing, che cercano di sfruttare al massimo l’impatto che l’8 marzo ha sulla società e sull’immaginario collettivo. Per questo, ogni anno, nelle settimane che precedono la ricorrenza, i pubblicitari sono costretti ad escogitare modi sempre più fantasiosi per dare risalto al marchio del committente. L’obiettivo primario, nell’era dei social network, è la viralità (non virilità, mi raccomando), e per ottenerla si cerca sempre più spesso di spezzare la tradizione. I risultati, però, non sono sempre ottimali.

Basta con la tradizione, ad esempio, è il messaggio veicolato da una nota azienda di preservativi, la Durex, che ha lanciato sulla propria pagina Facebook un messaggio forte e chiaro: vibratori, unguenti di vario genere, oli per “massaggi” sono il regalo che può veramente fare piacere ad una donna. “Girls just wanna have fun”, per dirla con Cindy Lauper. Altro che le solite vecchie mimose. Gli uomini hanno apprezzato, le donne un po’ meno: c’è chi ha parlato di pubblicità “patetica”, “triste”, “squallida”, “oltraggiosa” rispetto al valore storico e culturale di una festa quasi centenaria.

Fiat c’è andata un po’ più pesante, giocando sul luogo comune che vorrebbe le donne incapaci di guidare una macchina. L’offerta, pubblicata su Facebook in mattinata, recita: “Fiat festeggia le donne: Solo per oggi i sensori di parcheggio sono inclusi nel prezzo”. Un’ironia che non è andata giù a molte, che hanno tacciato di sessismo la casa automobilistica torinese. “Noi non sappiamo parcheggiare forse, ma cari uomini del marketing Fiat ricordate che a fare il maggior numero di incidenti mortali siete proprio voi maschietti”, recitava uno dei commenti più edulcorati. Eppure, l’offerta è stata richiesta già 1000 volte in poche ore. Come dire: bene o male, purché se ne parli.

Autogol involontario, invece, quello realizzato da Algida. L’azienda italiana fondata nel 1945 a Roma da Italo Barbiani ha voluto omaggiare tutte le donne di un fiore… di gelato. Al posto della “banale” mimosa, però, ha optato per una rosa; e invece del gusto più indicato per l’operazione – la fragola, per ovvie ragioni visive – ha scelto il cioccolato. Il risultato finale, se così possiamo dire, ha suscitato reazioni ambigue. A qualcuno, infatti, la rosa di cioccolato ha ricordato qualcos’altro. Tanto che, in breve tempo, l’immagine è stata rimossa dalla pagina, mentre l’ironia degli utenti (con commenti del tipo: “Le donne, che vita di m….”) stava prendendo il sopravvento.

Le “gaffe” (spesso costruite a tavolino) dei pubblicitari sono state oggetto di critiche e di polemiche anche al di fuori di Facebook. Ad Arezzo, un locale ha deciso di invitare i cittadini alla propria serata con un manifesto spinto: un uomo, in completo elegante, che afferra con fare carnale il posteriore di una modella, ritratta completamente nuda. Una foto recuperata dagli archivi con una tempistica infelice, una svista? Pare di no. Il nome stesso della serata, “We love women”, contribuisce a spazzare ogni dubbio. Il poster non è sfuggito ad Anna Maria Romano, responsabile del coordinamento donne di CGIL Toscana, che ha protestato pubblicamente, richiedendo la rimozione immediata di tutti i manifesti. Anche in questo caso, però, non tutti sono d’accordo.

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