Correva l’anno 1992 quando Umberto Bossi si ritrovò nella situazione in cui si trova adesso Beppe Grillo con il suo Movimento Cinque Stelle. Fu allora che in pieno scandalo Tangentopoli il Carroccio riuscì a portare a Roma tra Camera e Senato circa 80 parlamentari. Fu una novità, un boom inaspettato.
E le critiche verso il finto medico di Cassano Magnago erano molto simili a quelle che si sentono adesso verso l’ex comico genovese. I numeri sono molto diversi, ma anche Grillo e Gianroberto Casaleggio si ritroveranno presto a fare i conti con l’impatto che i grillini avranno con le stanze del potere romano, tra servizi segreti, ricatti, donne, il Vaticano, divisioni politiche, inesperienza e deputati maligni pronti a far loro le pulci ad ogni passo falso: la “compravendita” del Partito Democratico sembra già iniziata. Non a caso hanno già adottato un «codice di comportamento», molto severo. (guarda qui il documento e le regole per i grillini)
La stessa questione se la posero nel ’92 l’ex tesoriere Alessando Patelli – poi coinvolto nello scandalo Enimont – e il Senatùr in persona. Ad affiancarli c’era il segretario politico Roberto Ronchi, l’ideologo Gianfranco Miglio, Marco Formentini, Gianfranco Pagliarini e persino Irene Pivetti, che diventerà presidente della Camera nel 1994 e che a molti ricorda già Marta Grande del M5s. Era una squadra a cui si aggiungevano anche personaggi come Francesco Speroni, ora europarlamentare, noto per i viaggi in macchina a 300 all’ora verso Strasburgo.
O come l’ingegnere Gianluigi Lombardi Cerri, uno, quest’ultimo, che di strada ne ha fatta tanta arrivando fino al cda di Finmeccanica, ma che ha sempre raccontato la storia in questo modo: «All’inizio eravamo un gruppo di professionisti che voleva cambiare le cose e risolvere la questione settentrionale. Volevamo starci per poco tempo a Roma, il tempo necessario, poi saremmo ritornati al nostro lavoro: ma poi Bossi preferì altro e la storia prese un’altra piega ». E a distanza di vent’anni gli effetti si sono visti, con il sistema produttivo del Nord ancora in debito d’ossigeno. O con errori come quello della candidatura del Trota Renzo Bossi in consiglio regionale della Lombardia. Il generone «romano», insomma, ha avuto la meglio.
«Sapevamo che i nostri parlamentari non avevano esperienza politica. Eravamo un partito nuovo, c’erano al massimo alcuni consiglieri comunali e regionali. In più c’era il problema di Roma e della corruzione che la Lega era nata per combattere. Dovevamo capire le banche dati, insomma, tutto quanto il funzionamento della macchina statale», ricorda Patelli durante una conversazione con Linkiesta. Fu proprio allora che a Bossi e al tesoriere vengono in mente due strategie di «difesa», per combattere l’inesperienza e per tenere il gruppo compatto, lontano da zone a rischio «tradimento».
Spiega Patelli: «La nostra idea era quella di affittare un residence dove vivere tutti insieme in comune. Ne avevo trovato uno in zona Monte Mario. Ognuno avrebbe avuto la sua stanza e la sua cucina. La sera poi ci saremmo tutti confrontati con le questioni più importanti della giornata politica». In quegli anni Bossi era uno che non andava mai a letto prima delle 4 del mattino. Era capace di riunire un consiglio nazionale alle 9 e andare avanti a ruota libera fino a notte fonda, quasi come «Fidel Castro», ricordano le cronache dell’epoca.
Grillo di certo è differente, ma gli attacchi verso gli altri partiti ricordano molto lo “statista di Gemonio” di quegli anni, tra «vaffa», «partiti di regime», «mafia e politica» e «forze morali». Continua Patelli: «Alla fine sul residence non se ne fece nulla e devo ammettere mi dispiacque molto. Ma a Grillo credo che servirebbero soluzioni simili alle nostre». Basti pensare che Luca Leoni Orsenigo, quello del cappio in parlamento, fu beccato ore più tardi in un Night Club di Roma mentre abbracciava quattro ballerine.
Ma al gruppetto padano venne in mente un’altra idea, quella di creare una sorta di tutoring per riuscire a sopravvivere a Montecitorio e Palazzo Madama. «Fondammo il cosiddetto Timer» spiega l’ex tesoriere «Avevamo degli uffici a disposizione fuori dalla Camera dove avevamo coinvolto anche esponenti di altri partiti, tecnici, professori, con cui i parlamentari potevano confrontarsi tutto il giorno, sui decreti legge, su materie come la sanità o infrastrutture. Cercavo di evitare la presenza femminile, soprattutto per non indurre in tentazione il segretario…».
In sostanza, i leghisti, per evitare di risultare impreparati si ritrovavano a studiare ogni giorno al Timer. Non solo. Talvolta, dopo le sedute alla Camera o durante la pausa pranzo, qualche deputato si fermava per ascoltare il professor Miglio, su temi come il federalismo o valutando insieme le strategie politiche da adottare.
Quell’esperienza durò due anni, poi arriverà Silvio Berlusconi, il ’94 e la rottura. Ora la Lega è rintanata nelle valli, con tre regioni, Piemonte, Lombardia e Veneto al comando. Maroni ci ha messo due decadi per capirlo: «Roma non ci interessa più». E Bobo non si è neppure candidato. La storia di Grillo e dei grillini non è ancora stata scritta. E non è detto che sarà totalmente diversa.