Mondo “non ergodico”. Ovvero un sistema che, dopo aver subito qualche disturbo, ritorna al suo stato iniziale. Con questo termine il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha recentemente sintetizzato, in un intervento all’Accademia dei Lincei, i problemi che accomunano il mondo della finanza, della regolamentazione e della ricerca economica al tempo della crisi. Tutto giusto, ma non perfetto. Manca una riflessione autocritica sul legame tra regolamentazione come l’abbiamo conosciuta e la capacità del nostro sistema bancario di prendere rischi. Provo a spiegarmi.
Dire quindi come fa il governatore che il sistema economico è non ergodico significa che tutte le crisi e tutti i disturbi ed i maltrattamenti, grandi e piccoli, che il sistema ha subito, faranno sì che il sistema non tornerà più quello che era prima. Sarà diverso per sempre, e i traumi che ha subito non saranno solo cicatrici, ma ne avranno modificato la struttura per sempre. In parole povere, non ritorneremo più all’economia di prima, e senz’altro non ritorneremo più al sistema finanziario di prima.
Niente tornerà più come prima, dunque. Anzi, non esiste neppure un “prima” a cui tornare. E in questa sceneggiatura (o, meglio, non-sceneggiatura) il governatore ripercorre le azioni e reazioni dei protagonisti, e le reazioni del sistema finanziario. Il sistema bancario ha provocato disturbi irreversibili modificando il suo modello di operatività, su tre fronti: un modello di generazione dei prestiti e cessione al mercato dei rischi, lo spostamento dell’attenzione dal finanziamento all’economia reale alle operazioni di investimento in conto proprio, una gestione distorta delle retribuzioni e degli incentivi del personale direttivo. Il sistema di regolamentazione è intervenuto sostanzialmente in risposta a questa attività di innovazione finanziaria, in particolare con regole di definizione di requisiti di capitale e con regole contabili che avrebbero dovuto migliorare la trasparenza dei bilanci. Infine, l’accademia degli economisti e degli esperti di finanza non ha sviluppato modelli in grado di interpretare la natura di questo eterno “non ritorno” del sistema economico e finanziario: abbiamo modelli lineari mentre la realtà è non lineare e caotica, abbiamo modelli basati su periodi di ordinaria amministrazione, mentre la realtà degli ultimi anni ci ha messo di fronte a eventi estremi.
L’analisi di Visco è così articolata e vasta che l’unica raccomandazione possibile è leggerla: un invito che diventa un ordine per gli studenti di analisi e gestione del rischio. E’ anche un’analisi condivisibile nella sua filosofia di fondo, e non potrebbe non esserlo per uno che di mestiere si occupa di non linearità ed eventi estremi, come chi scrive. Ma se una critica si può fare è la mancanza di una riflessione critica sugli effetti delle iniziative di regolamentazione del passato, che impedisce al lettore di capire come mai il sistema finanziario sia cambiato e a noi di condividere il fatto che la ricetta possa essere maggiore regolamentazione.
Da dove nasce il modello OTD (originate to distribute) che Visco indica, giustamente, come uno degli ingredienti fondamentali della crisi? OTD significa semplicemente che oggi le banche, invece di tenersi i prestiti che fanno in bilancio, li vendono al mercato o ad altri intermediari. Ma perché lo fanno? E quando e perché hanno cominciato? Hanno cominciato perché la regolamentazione di Basilea I, del 1988, richiedeva di mettere da parte l’8% del capitale a fronte di qualunque prestito alla clientela, indipendentemente dal grado di rischio.
La reazione del sistema bancario è stata logica. Il sistema ha messo fuori bilancio i crediti per liberare capitale, e in larga misura ha messo i crediti migliori (il cosiddetto arbitraggio regolamentare). E poi, l’appetito vien mangiando…
Dunque oggi il sistema finanziario è fatto, come descritto da Visco, di scambi ai piani alti di pacchetti di crediti, che si confondono con le posizioni prese sui cambi, sui mercati azionari, o su delle commodity. E’ il motore dei banchieri, che gira e sviluppa energia che non trova ruote cui trasmettersi e che non si scarica a terra. E cosa manca perché la spinta arrivi a terra? Perché la macchina non si muove? Perché mancano i bancari. Manca il mestiere di quelli che scelgono i piccoli crediti parlando con le persone, conoscono le aziende. In banca si chiamano settoristi. I settoristi erano sacri nella banca in cui ho lavorato io, la Banca Commerciale Italiana. Guai a perdere un settorista. Ma oggi i settoristi non ci sono più, esattamente come nella moda non ci sono più i sarti, ma solo le catene di produzione.
Perché non ci sono più i settoristi? In primo luogo, è chiaro che in un sistema OTD un settorista è meno importante che in un sistema di banca commerciale tradizionale: una volta fatto il prestito, non c’è più bisogno di uno che segua il cliente, perché il prestito viene ceduto. Ma è ancora la regolamentazione che l’ha sepolto. Basilea II, per rimediare agli errori di Basilea I, ha spinto le banche a sviluppare sistemi automatici di valutazione del rischio di credito. Il fiuto dei settoristi contro i numeri che venivano fuori dal computer. Indovinate chi ha vinto?
E su questo si innesca l’accademia e in particolare l’ingegneria finanziaria. Mentre nella Comit da cui provengo gli economisti erano meramente ancillari ai settoristi, guardate gli sviluppi di questi giorni della vicenda JP Morgan (il caso London Whale), al vaglio della commissione del Senato americano. Al centro del dibattito c’è la mail di un ingegnere finanziario, di nome Patrick Hagan, che proponeva un modello matematico per ridurre i requisiti di capitale di JP Morgan.
Per concludere, o forse per iniziare una discussione su questo interessante tema, possiamo dire che è vero: il sistema è non ergodico. Niente sarà più come prima. Ma una delle ragioni di fondo per cui niente sarà più come prima è il fatto che la regolamentazione dal 1980 a oggi ha concorso a produrre nel sistema di intermediazione cambiamenti irreversibili, eliminando funzioni e figure che costituivano l’ossatura del sistema della banca commerciale. Queste figure spariranno e non torneranno più. Sulla base di questo, perde di senso anche la proposta Volcker di separare l’attività creditizia da quella di negoziazione. E’ inutile separare una parte del motore da un’altra, se non c’è più la frizione che trasmette l’impulso alle ruote. La macchina non si muoverà. Inoltre, finché rimarranno i requisiti di capitale, le banche commerciali, rimaste sole, non potranno fare a meno di rivolgersi alle banche di investimento per cercare di risparmiare capitale (e le banche di investimento, che le vedranno come clienti, le tratteranno come hanno trattato gli enti pubblici). E nell’accademia, per rendere la distorsione delle risorse completa, incentiveranno la ricerca volta al nobile fine del risparmio di capitale regolamentare. E nelle università dovremo riscrivere il pezzo di Dante cui ci ispiriamo: “fatti non foste a viver come bruti”…ma a cercar di risparmiare capitale…