Il Cota bis, dopo il rimpasto della giunta regionale piemontese avvenuto stamani a Palazzo Lascaris a Torino, sembra un urlo di guerra in una riserva indiana. Dove i soldati leghisti devono tenere duro per non vanificare il progetto della macroregione voluta da Maroni, consapevoli di essere sul Titanic. Anche se il governatore, alla guida di una Regione che non ha mai voluto davvero dirigere, sembra più simile a capitan Schettino.
Avversato da suoi militanti, guardato con diffidenza dai maroniani, contrastato dagli esponenti del Pdl che ieri, quando ha minacciato le dimissioni in caso di una mancata volontà della coalizione di maggioranza di realizzare la riorganizzazione della sanità piemontese, gli hanno urlato “E allora vattene!” . Ben contenti di liberarsi dell’avversario-alleato leghista, che ha tolto al Pdl la possibilità di tornare a sedersi sul trono regionale, nel 2010.
Cota si ritrova in questo momento esposto su tre fronti, sulle tre “cadreghe”, detto in gergo padano, su cui è seduto. A creare problemi non sono solo le avvisaglie della magistratura, tra le indagini sull’ex assessore al Bilancio Massimo Giordano, il peculato in consiglio regionale e persino il Tar con quel ricorso che Mercedes Bresso mosse contro la sua elezione. A non far dormire il leghista, che si fece riconoscere una volta perché teneva il posacenere al Capo Umberto Bossi, c’è soprattutto la “sua” Lega, sacrificata a queste elezioni e ridotta elettoralmente ai minimi termini.
Del resto, c’è chi ricorda in via Bellerio come per Cota, comunque, la presidenza di palazzo Lascaris, sia sempre andata stretta. Lo assicura un fonte ben informata che rimanda a quando due giorni dopo l’insediamento fu proprio l’ex capogruppo alla Camera a dire: “Questo posto sembra una prigione”. Già all’epoca ne nacque una mezza polemica, con il governatore piemontese più a Porta a Porta e a Montecitorio che sul territorio.
E ormai nella “sua”regione c’è chi, tra gli stessi leghisti, lo dà ormai per spacciato. Lo ha spiegato Enrico Montani, ex senatore del Carroccio, che nelle liste per le elezioni ha dovuto fare spazio a uno come Giulio Tremonti. Secondo il sito l’Indipendenza, diretto dall’ex direttore della Padania Gianluca Marchi, Montani, ex cotiano di ferro, ha preparato una raccolta firme tra i militanti perché Cota si dimetta da dalla segreteria. Non solo. A questo ha aggiunto pure la richiesta di dimissioni da parlamentare, proprio come hanno chiesto alla Camera persino due deputati del Partito Democratico.
Del resto, Cota è reduce da un rimpasto lampo, deciso in 24 ore, dopo che l’assessore alla Sanità, Paolo Monferino, ex Ad dell’Iveco (voluto e sostenuto dal governatore ma contrastato dagli alleati del Pdl sia per interessi di bottega sia perché contrari alla riorganizzazione sanitaria che avrebbe infastidito più di una lobby), ha deciso di dimettersi. C’è chi dice per sfilarsi prima che la sanità piemontese, su cui pesa un deficit di un miliardo di euro, venga commissariata per l’impossibilità di fare un piano di rientro.
In realtà anche Roberto Cota, in difficoltà nel districarsi fra la crisi delle aziende e il debito regionale complessivo arrivato quasi alla soglia di 12 miliardi di euro, vorrebbe lasciare la barca, incagliata in una serie di guai giudiziari, (dopo le dimmissioni di Massimo Giordano, assessore all’Innovazione indagato per corruzione, ora si aspettano notizie relative all’indagine sull’utilizzo dei rimborsi elettorali dei consiglieri regionali e non è detto che riguardino solo gli esponenti della maggioranza). Qualcuno da via Bellerio deve avergli urlato “Sali a bordo caz…”, proprio com’è successo al capitano Schettino.
Per motivi di geopolitica padana, ovvio. In ogni caso, col rimpasto, Cota ha nominato 4 assessori, di cui uno solo leghista, per provare a tenere insieme una maggioranza indebolita anche dalla fuoriuscita dalla coalizione di alcuni esponenti del Pdl, che l’estate scorsa hanno fondato un loro gruppo, Progett’Azione. Cota infatti ha tentato la difficile impresa di rafforzare la giunta, offrendo l’assessorato al Personale e alla modernizzazione della pubblica amministrazione a Gianluca Vignale, di Progett’Azione, e quello per la Ricerca, l’Innovazione, Energia, Commercio e Partecipate a Agostino Ghiglia, di Fratelli D’Italia, mentre la delega per la Sanità è tornata in casa Pdl, nelle mani del vicepresidente della giunta Ugo Cavallera.
Nel frattempo l’opposizione che fa? In teoria il Partito democratico è da mesi che dichiara di voler mandare a casa Cota, in realtà esita. Anche se il vicepresidente del consiglio regionale, Roberto Placido, più combattivo rispetto alla dirigenza regionale del Pd, l’anno scorso aveva fatto i manifesti per una campagna “Mandiamo a casa Cota” e per fare un pò di teatro si era presentato in consiglio regionale con un elmetto della Grande Guerra calato in testa.
Da una parte, il Pd sa che non deve perdere un altro treno e chiedere le sue dimissioni, invece di seguire una politica inerte e aspettare che sia la magistratura, o il crac finanziario, a far cadere la giunta, per recuperare credibilità e anche qualche consenso elettorale, eroso in modo drastico alle ultime elezioni. Dall’altra, però, i consiglieri regionali del Pd piemontese temono nuove elezioni. E sono consapevoli del rischio che, una volta tornati a casa, gli elettori li punirebbero con un voto anticasta, lasciandoli, appunto, a casa.
Cota è assediato su diversi, troppi fronti. Oggi un parlamentare del Pd, Umberto D’Ottavio, ha chiesto le sue dimissioni da parlamentare e, durante il consiglio straordinario convocato per il rimpasto (ma anche per cercare di risolvere il casus belli della riduzione dei 25 reparti di emodinamica contrastata dal Pdl, la discussione è stata rimandata al 17 aprile), i consiglieri regionali del Pd si sono comportati come tori nell’arena. Mauro Laus ha dichiarato “Cota ha trasformato un funerale (della giunta.ndr) in una festa a premi.” Insomma se il governatore è rimasto in sella. O meglio è tornato a bordo, la domanda è: fino a quando? Di certo una delle tre cadreghe non la lascerà. Si dice quella alla Camera, per tornare a Montecitorio e magari a Porta a Porta…