«Per due cadreghe in più in giunta hanno fatto fuori il loro candidato sindaco di Milano, quello che aveva portato 13mila preferenze alle comunali». È un dirigente del Partito Democratico che chiede l’anonimato a spiegare la situazione interna al partito di Pier Luigi Bersani nel capoluogo lombardo dopo il siluramento di Stefano Boeri dalla giunta arancione di Giuliano Pisapia.
È una mossa quella dell’avvocato gentile, che più che creare sconquassi nell’amministrazione di palazzo Marino rischia di crearne tra le fila dei democratici, alle prese a livello nazionale con la formazione di un nuovo governo. Il Pd – che nel 2011 riuscì a battere insieme agli arancioni il centrodestra di Letizia Moratti e Silvio Berlusconi – è di fatto spaccato in due. E rischia di esplodere dopo la sconfitta di Umberto Ambrosoli contro Roberto Maroni in Lombardia: a far partire i fendenti potrebbero essere proprio i «boeriani» di ferro.
Dopo il silenzio surreale di domenica, con gli assessori Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran muti di fronte alle decisioni del sindaco, è toccato al coordinatore provinciale Roberto Cornelli spiegare le proprie posizioni rispetto al rimpasto di Pisapia. Il punto è in sostanza questo: motivi personali hanno portato al licenziamento dell’archistar e il Pd è comunque stato ricompensato dal rimpasto con l’assessorato al Bilancio. Ma 14 consiglieri comunali e una base già in fermento non sono d’accordo. E minacciano, sul web e in piazza, di spaccare il partito o dividerlo in due tronconi. Martedì mattina al cinema Apollo Boeri radunerà le truppe e potrebbe lanciare il guanto di sfida a tutta la nomenklatura democratica milanese e lombarda.
Del resto, in questi anni di assessorato, Boeri ha spesso rivendicato l’idea di voler ampliare il raggio d’azione del partito, per rottamarlo nello stile di Matteo Renzi, scontrandosi spesso e volentieri proprio contro Cornelli e Maurizio Martina, il segretario regionale filo bersaniano. Le polemiche in questi anni sono rientrate, ma l’architetto «rottamatore» non sembra aver voglia di abbandonare il campo di battaglia e, secondo chi l’ha sentito nelle ultime ore, vuole far pesare al Pd «di non averlo difeso a palazzo Marino».
Del resto le truppe aumentano di ora in ora. Su venti consiglieri hanno già firmato in 14 per la petizione pro Boeri. Sono David Gentili, Mattia Stanzani, Gabriele Ghezzi, Paola Bocci, Rosario Pantaleo, Emanuele Lazzarini, Roberto Biscardini, Bertolè, Francesco Mancuso, Carlo Monguzzi, Ruggero Gabbai, Maria Elisa D’Amico, Francesco Comotti, Filippo Barberis, Francesco De Lisi, Anna Maria De Censi e se ne stanno aggiungendo altri.
La linea dei nuovi «boeriani» è quella appunto di attaccare i dirigenti democratici alla prossima segreteria regionale che non viene più aggiornata da prima delle elezioni. Tace, al momento Maurizio Martina. Eppure dopo le elezioni comunali del 2011 fu proprio lui insieme con Cornelli a rivendicare la vittoria del Pd a Milano. Approccio che alcuni democratici criticarono perché in fin dei conti a perdere era stato in parte proprio il Pd che aveva candidato lo stesso Boeri alle primarie di centrosinistra nel 2010.
Quella volta, per quella sconfitta contro Pisapia durante la conta interna al centrosinistra, a pagare fu solo Filippo Penati, l’ex presidente della provincia di Milano poi travolto dalle indagini sul sistema Sesto San Giovanni. Penati diede le dimissioni, salvando la giovane classe dirigente dei democratici. Ma i problemi non si sono mai risolti. La sinistra perde ormai da 17 anni regolarmente in Lombardia. E il Pd si è ritrovato ancora una volta alle prese con l’ennesima sconfitta, pur avendo in casa uno come Giuseppe Civati, ex consigliere lombardo, ora deputato di peso a Montecitorio.
Ambrosoli è stata una scommessa di Martina e Bersani. Il primo lo ha dichiarato più volte. E secondo alcuni avrebbe potuto prendersi le sue responsabilità dimettendosi, ma alla fine è rimasto ancora una volta al suo posto, tra le timide critiche di diversi democratici. E adesso? La spaccatura dentro il centrosinistra milanese rischia di mettere a repentaglio l’esperienza arancione di Pisapia o comunque di cambiare le carte in tavola. «Il Pd raccoglie quello che ha seminato in questi anni» commenta amaro un riformista milanese. E Boeri rischia di fare la fine di Bruno Ferrante, Diego Masi e dei tanti candidati perdenti che dal Pds a oggi hanno contrassegnato le candidature del centrosinistra in Lombardia.