Venticinque soltanto a Monza le misure cautelari, trentacinque complessivamente le custodie in carcere, otto quelle domiciliari e undici gli obblighi di firma con le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine, estorsioni, usura, furti, ricettazione, riciclaggio, spendita di banconote false, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di armi, e di reati contro la pubblica amministrazione. Sono questi i numeri e i capi di accusa dell’operazione “Briantenopea” che ieri mattina è stata eseguita dal nucleo dei Carabinieri di Monza e coordinata dalla stessa procura.
L’inchiesta, a quanto si è appreso dalle indagini, ha consentito di individuare nel monzese un nucleo criminale di origine campana in contatto con i clan della Camorra dei Gionta e dei Mariano. Un appetito quello della Camorra per il nord Italia non certo di nuova data e che storicamente ricerca costantemente contatti nella politica e nella Pubblica Amministrazione.
Tra gli arresti vi è infatti anche quello di Giovanni Antonicelli, ex assessore del Pdl nelle giunte del centrodestra, arrestato a Vimercate alle prime ore del mattino. Un ruolo non secondario quello di Antonicelli secondo gli investigatori e i pm, che contestano proprio all’ex assessore il reato di associazione per delinquere. L’arresto di Antonicelli è tutt’altro che un fulmine a ciel sereno in quel della Brianza, che aveva già dovuto fare i conti con il fermo di un altro ras della politica locale, cioè Massimo Ponzoni, ex assessore regionale all’ambiente. Antonicelli, in carica dal 2007 al 2012, con delega all’ecologia, allo smaltimento rifiuti, alla manutenzione cimiteriale, al patrimonio, al demanio e agli alloggi comunali, risulta infatti iscritto nel registro degli indagati già a novembre dello scorso anno. Nel mese di giugno le Fiamme Gialle si erano presentate in comune per acquisire la documentazione relativa ad alcuni appalti pubblici dell’assessorato dello stesso Antonicelli, aprendo uno scenario investigativo sulle infiltrazioni della camorra nella Pubblica Amministrazione monzese.
La delega allo smaltimento dei rifiuti e la gestione dell’impresa Edilizia Lombarda, di cui Antonicelli risulta titolare, e i rapporti con la ditta Giancarlo Sangalli, che secondo i ben informati avrebbe “mescolato” per anni «rifiuti di diversa provenienza, con annesso danno economico per i cittadini. Specialmente, nel comparto del secco erano finite anche terre da spezzamento che, invece, non dovrebbero essere indirizzate al termovalorizzatore». Associazione criminale, quella insediata a Monza, che vedrebbe come presunto capo Giuseppe Esposito detto «o’ curt», residente a Villasanta, pregiudicato, ma uomo d’affari e imprenditore.
Sono infatti due i fronti sui quali la magistratura di Monza ha messo la lente di ingrandimento. Il primo è relativo alla manutenzione degli alloggi Aler, incarico affidato alla Pmg di cui, per l’accusa Esposito sarebbe una sorta di amministratore ombra; il secondo riguarda la raccolta dei rifiuti nel capoluogo brianzolo, da anni in mano alla Sangalli. Secondo gli investigatori, in cambio di voti a favore di Antonicelli le commesse sarebbero finite nelle mani di imprese riconducibili a personaggi legati alla camorra.
«Antonicelli – hanno specificato questa mattina gli investigatori durante la conferenza stampa presso il comando provinciale di Milano – aveva un impiego attivo nell’organizzazione criminale, era l’elargitore di appalti per la Pmg di Esposito e il punto di riferimento dell’associazione per risolvere problemi nella pubblica amministrazione».
Gli inquirenti si muovevano infatti per accertare la presenza sul territorio di un nucleo criminale di personaggi che «riproducono in Brianza gli stessi schemi di un clan di camorra». Con Antonicelli è coinvolto nell’inchiesta anche l’ex consigliere del Comune di Milano Renzo de Biase, che secondo le indagini «venne favorito alle penultime elezioni comunali».
Tuttavia il sostituto procuratore di Monza, Salvatore Bellomo, precisa che l’uomo non risulta al momento indagato: «Sappiamo che ha ottenuto voti di favore – ha detto il magistrato a margine della conferenza stampa al Comando provinciale di Milano – ma non sappiamo, al momento, se ne fosse consapevole». Il nome di De Biase compare anche nell’inchiesta che portò all’arresto dell’ex assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, accusato di voto di scambio: il medico Marco Scalambra e il sindaco di Sedriano Alfredo Celeste, poi entrambi arrestati, discutono proprio delle sollecitazioni ricevute dall’ex assessore regionale Alessandro Colucci, per far confluire voti sul De Biase alle comunali milanesi del 2011. De Biase a quella tornata elettorale non fu però rieletto.
Al contrario invece Antonicelli è ritenuto dagli investigatori «contiguo all’associazione criminale». É in una delle intercettazioni di Esposito che emergerebbe infatti la presenza di un vero e proprio tariffario per la compravendita di voti su Milano: 30 euro per un singolo voto e 50 per un intero nucleo famigliare. Esposito, che secondo gli investigatori era di fatto amministratore ombra della Pmg, stando alle intercettazioni agli atti avrebbe incontrato anche il boss Mario Savio, capo storico della camorra cutoliana, consciuto anche come “il boss scrittore”.
Chi pensa che la Brianza sia terra di conquista solo per le famiglie della ‘ndrangheta calabrese è fuori strada. Anzi, la spartizione tra realtà criminali calabresi e napoletane, con la complicità di amministratori lombardissimi, è quasi chirurgica.
Ad incuriosire gli addetti ai lavori era la “verginità” dalla colonizzazione ‘ndranghetista a Monza città, mentre le più recenti indagini avevano individuato in tutta la Brianza (Desio, Seregno, Giussano, Solare e Limbiate) nuclei della mafia calabrese. Curiosità che ha trovato risposta tra le investigazioni portate avanti durante l’inchiesta “Briantenopea” che consente di individuare come in realtà la piazza di Monza città fosse in mano alla camorra, a differenza della brianza nelle mani criminali della ‘ndrangheta calabrese. Non è un caso infatti che il presunto capo Giuseppe Esposito nelle intercettazioni telefoniche si vanti di preservare Monza «dall’invasione della ‘ndrangheta»
Non è solo Monza però ad essere nelle mire dei clan campani (come dimostrano infatti gli arresti avvenuti stamani nelle province di Milano, Lecco e Padova): il cancro al nord è radicato e con dinamiche criminali differenti dalla Lombardia al Veneto.
Nell’ultimo anno uomini riconducibili ai clan campani sono stati protagonisti delle inchieste delle procure lombarde. A luglio dello scorso anno un decreto di sequestro è risalito da Caserta a Milano per sequestrare il gran caffè Sforza, ritenuto nella disponibilità di Mauro Russo, uomo dei casalesi e in contatto con la la primula imprendibile della camorra cutoliana, quel Pasquale Scotti latitante da 28 anni e inserito nell’elenco dei latitanti di maggiore pericolosità. Stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Michele Froncillo, Scotti, avrebbe addirittura nella sua disponibilità «varie attività commerciali tra cui una catena di abbigliamento in Lombardia».
A dicembre del 2012 una l’operazione “Fulcro” portò alla luce alcuni dei traffici del clan dei Fabbrocino, originari dell’area vesuviana, ma con i tentacoli proiettati anche nel nord e centro Italia. Un impero da 120 milioni di euro arrivato anche a Milano, Bergamo e Mantova con supermercati e negozi di abbigliamento, costruito con la solita complicità di colletti bianchi compiacenti e politica.
A proposito di Cutolo e Fabbrocino vale la pena ricordare che il figlio di Raffaele Cutolo, Roberto, fu ucciso a Tradate (Varese) nel 1991, e a ordinare il suo omicidio fu Mario Fabbrocino, poi arrestato nel 1995, tradito da una telefonata, intercettata dalla Dia, in cui chiedeva di gustare, per Ferragosto, un piatto di maccheroni al ragù nella sua casa di San Giuseppe Vesuviano.
Lasciando la Lombardia e addentrandosi in un altro territorio di conquista toccato dall’inchiesta “Briantenopea”, si arriva in Veneto, dove illuminante è stata l’audizione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia del sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Pennisi. Pennisi fa sul punto una distinzione particolare tra le modalità di infiltrazione delle mafie, riferendosi alla colonizzazione per la Lombardia, e alla ‘delocalizzazione’ invece per il Veneto.
«Per comprendere il significato di questa terminologia – dice Pennisi in audizione – basta riferirsi al significato che il termine delocalizzazione ha nel mondo dell’economia globalizzata, cioè l’impresa che decide di insediarsi in un altro territorio mantenendo la sede centrale nel luogo di origine. La chiave di lettura – prosegue ancora Pennisi – la troveremo nella destinazione che avevano i proventi dell’attività criminale posta in essere da questi soggetti. Essi operavano in diverse parti del territorio veneto, ma i proventi dell’attività d’usura, di estorsione e di svuotamento delle imprese in difficoltà con la vendita dei beni facenti parte del patrimonio sociale di queste imprese in stato di decozione, non rimanevano nel territorio ma confluivano nel territorio dove aveva sede l’impresa che aveva delocalizzato una parte della sua attività nel territorio Veneto».
Le indagini “Ferrari come back” e “Aspide” di questi ultimi due anni hanno potuto accertare e certificare, anche a livello giudiziario, la forza e la pervasività del clan dei casalesi in una delle terre simbolo della produttività italiana come il Veneto, mettendo nel mirino tutto il nord-est.
In egual misura allarmano e sono diventate realtà purtroppo consolidate le presenza della camorra in Emilia Romagna che hanno i nomi altisonanti dei Bidognetti, dei Mallardo, dei Vallefuoco e degli Stolder, che trovano spesso linfa economica nelle banche della piccola e vicina San Marino. In questo contesto al momento sotto stretta osservazione ci sono il settore delle costruzione e dell’edilizia, in vista della ricostruzione post-sisma, e il settore delle video-slot, vero Bengodi per il riciclaggio del denaro.
Twitter: @lucarinaldi