È morto Hugo Chávez, líder máximo del Venezuela

Persa la battaglia col cancro

La notizia è stata data in televisione da Nicolás Maduro, vicepresidente del Venezuela, in lacrime, alle 22.55 ora italiana (le 16.55 in Venezuela). Con queste parole: «Nos encontrábamos acompañando a sus hijas, recibimos la información más dura y trágica. A las 4:25 de la tarde de hoy 5 de marzo falleció el comandante presidente Hugo Chávez Frías. Murió después de batallar duramente con una enfermedad durante casi dos años, con el amor del pueblo con las bendiciones de los pueblos, con la lealtad más absoluta de sus compañeros y compañeras de lucha y con el amor de todos sus familiares».

«¡Hasta la vida siempre!». Così salutava Hugo Chávez il suo Venezuela, poco prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato a L’Avana, pochi mesi fa, per sottoporsi all’ennesima operazione. Ai medici di Cuba l’inventore della revolución bolivariana si era affidato per sconfiggere il cancro che lo dilaniava da un anno e mezzo. La malattia non gli aveva impedito però, lo scorso ottobre, di riacciuffare il potere ancora una volta, la quarta, con una popolarità superiore al 50 per cento. Un governo ventennale, se il tumore non l’avesse vinto. Idolatrato da alcuni come difensore della democrazia per la sua vera o presunta sensibilità sociale, accusato da altri di essere solo un dittatore populista preoccupato di se stesso, due momenti hanno segnato la vita politica del presidente: il fallito golpe del 1992 contro l’allora presidente Carlos Andrés Pérez, che costò al giovane Comandante due anni di prigione, e il fallito golpe del 2002 contro di lui, che provocò 19 morti e 48 ore di vuoto al potere. Poi Chávez tornò trionfante a palazzo Miraflores.

La terza battuta d’arresto è arrivata il 30 giugno del 2011: il presidente era apparso solenne sugli schermi di tutte le case per dire alla nazione che si era ammalato di cancro. E lui stesso aveva aggiunto la nuova crociata ai due episodi precedenti. Nato nel 1954 a Sabaneta da una famiglia umile, secondo di sei fratelli, Hugo Chávez Frías trascorre l’infanzia con la nonna paterna. Appassionato di scienze e arti militari presto si arruola nell’Accademia dell’esercito nazionale venezuelano dove, poco meno che trentenne, conquista il grado di capitano. Nel 1982, all’interno del corpo militare, fonda il Movimento bolivariano rivoluzionario 200, con l’intento di costruire una nuova Repubblica.

Dieci anni dopo il golpe fallisce, ma, uscito di galera, Hugo Chávez comincia la sua prima campagna elettorale. Sostenuto da influenti politici, alle prese col crollo dei partiti tradizionali, e sempre più amato dai venezuelani, indignati delle misure politiche ed economiche del momento, il Comandante fonda il suo proprio partito: il Movimiento Quinta República. Per due anni attraversa il Paese, spiegando a tutti il suo nuovo progetto di Repubblica. E nel 1998 vince le elezioni con il 56 per cento delle preferenze.

Estroverso, osceno, carismatico, da allora tutto quello che è successo in Venezuela è passato da Chávez: tramite, contro, senza, secondo, prima o dopo di lui. Nessun cittadino è riuscito mai a spiegare quello che è accaduto in 14 anni nel Paese senza nominarlo. C’è chi ha sostentuto che la sua leadership sia stata perfino più spirituale e religiosa, che politica e rivoluzionaria. Nei suoi discorsi sono stati citati Gesù Cristo, Che Guevara, Mao, Marx o il capo delle rivolte indigene Túpac Katari. Tutti in una strana comunanza di intenti che il presidente è riuscito ad amalgamare in dottrina.

Ma Chávez ha fatto dell’esercizio del potere anche uno spettacolo televisivo: è stato il difensore dei poveri, il flagello dei ricchi, l’erede del libertador Simón Bolívar e il nemico dell’Imperio yankeee, come apostrofava gli Stati Uniti. Ha difeso il socialismo con la croce in mano, ha pregato in silenzio in una cappella mentre il Paese lo guardava in diretta tv e di volta in volta è tornato a Cuba per una nuova operazione, salutando tutti con l’immaginetta di un Cristo guaritore. Fino alla fine.
Ha unito il tradizionale caudillismo latinoamericano a una orgogliosa difesa della lotta di classe, che un giorno ha ribattezzato con il nome più moderno di Socialismo del secolo XXI.

Amico dei leader più discussi, come l’iraniano Ahmadinejad o l’ex dittatore libico Gheddafi, di certo tutti sapevano che avrebbe cambiato molte cose in tanti anni di governo, ma nessuno avrebbe potuto immaginare fino a che punto: negli ultimi dieci anni ha espropriato 3,6 milioni di ettari di terreno. Ha nazionalizzato più di una dozzina di banche e ha minacciato di continuare a farlo se gli istituti non avessero dato credito ai piccoli agricoltori. Ha statalizzato l’azienda nazionale di telecomunicazioni, l’elettricità di Caracas e mille altre imprese. Ha chiuso emittenti televisive e giornali oppositori e ha reso la vita difficile alla stampa sopravvissuta. Ha riformato la Costituzione, cambiato il nome del Paese e ha messo a repentaglio più volte l’indipendenza della giustizia.

Ma la politica di Chávez in America latina ha avuto anche altre conseguenze: la rivoluzione cubana è riuscita a sopravvivere agli embarghi Usa grazie agli aiuti di Caracas. I governi di Bolivia ed Ecuador sono nati sotto la stella chavista. E il presidente Comandante è stato anche responsabile, con l’appoggio di Néstor Kirchner e di Lula, del fallimento dell’Alca, l’Area di libero commercio delle Americhe, voluto dall’allora capo degli Stati Uniti George Bush. Un episodio che ha segnato la rottura dei rapporti con l’America a stelle e strisce, con tutte le limitazioni imposte dalla globalizzazione economica.

In Venezuela Hugo Chávez ha avuto certo il merito di porre in agenda due grandi problemi: aprire alle basi una democrazia elitaria e ridistribuire verso il basso le rendite del petrolio. Nel dibattito politico-sindacale ricordato come el paro del petroleo, tra il 2002 e il 2003, Chávez ha assunto il pieno controllo della Pdvsa, l’impresa petrolifera statale, e l’ha trasformata in una macchina di potere gigantesca. Ha distribuito ai più poveri, ma con arbitrarietà e in cambio di fedeltà politica. Da una parte niente controlli né resoconti. Dall’altra molta corruzione, clientelismo e inefficienza.

E oggi, alla sua morte, i dati parlano chiaro: l’inflazione è la più alta al mondo, il tasso di cambio e le riserve internazionali in caduta libera. Alcune importazioni, sebbene aumentate di quasi cinque volte dal 2003, non riescono a bilanciare la carenza cronica di generi alimentari o medicine. La produzione petrolifera è in calo e le raffinerie fuori controllo. L’indebitamento poi è in ascesa: nel 2007 sfiorava i 30 miliardi di dollari, oggi è a quota 200. Mentre i piccoli agricoltori e artigiani sono alle prese con una microeconomia a brandelli e con i salari ridotti a zero. E i ranchos di Caracas crescono. L’ultima ambizione presidenziale era governare fino al 2031, in quello che, secondo Chávez, sarebbe stato il decennio d’oro (2020 /2030). Questa volta però il Comandante ha perso la battaglia.

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