Fiumicino fine corsa per Bellavista Caltagirone

Dinastie italiane: arrestato l'imprenditore amico di tutti

Un anno fa per il porto di Imperia. Adesso è il porto turistico di Fiumicino. Francesco Bellavista Caltagirone è finito di nuovo agli arresti per una frode da 35 milioni di euro (17 sarebbero volati a Cipro, quando si dice la iella). Tutto congiura perché la sua lunga e tormentata carriera negli affari volga al termine.

Il 16 gennaio scorso, del resto, è arrivata al capolinea anche l’ultracentenaria avventura della Acqua Pia Antica Marcia, la holding del gruppo. Per lei non resta che la procedura di liquidazione. Il primo getto d’acqua, dai tempi dell’impero romano, era tornato a zampillare nella fontana di piazza dell’Esedra (oggi della Repubblica) il 10 settembre 1870, grazie a Pio IX che aveva finanziato la ristrutturazione dello storico acquedotto costruito nel 144 avanti Cristo dal pretore Quinto Marcio Re . Dieci giorni dopo i bersaglieri facevano irruzione a Porta Pia. E per Roma cominciava la bonanza edilizia, l’era dei palazzinari, il brodo di coltura dei Caltagirone.

Proprio in seguito all’inchiesta scattata a Imperia, è venuto fuori che la società, con una perdita di 600 milioni, non è in grado di ristrutturare i propri debiti (è esposta con le banche per 900 milioni). Svalutata bruscamente da 2,6 a un miliardo, con l’ultimo fatturato calcolabile che non arrivava a 300 milioni, non può più tirare avanti. Fiumicino era l’ultima flebile speranza alla quale appendersi ed è probabile che, se confermate, le accuse di aver condotto i lavori in modo sommario e truffaldino, dipendessero dalla brama di dimostrare, in fretta e furia, che c’era ancora qualcosa di concreto al quale appellarsi, lavoro, cemento, cantieri. Quel che ha fatto la fortuna dei Caltagirone, fratelli e cugini, ma che a Francesco Bellavista stavano troppo stretti. Altre erano le sue ambizioni, grandi alberghi, high society, signore eleganti e ricche, molto ricche.

Figlio illegittimo di Ignazio Caltagirone, ha cominciato a usare il secondo cognome per distinguersi dagli altri, non si sa se per sua scelta o dei cugini. La famigliona proviene da Palermo. Tutti costruttori e ingegneri. Nel 1905 il patriarca Gaetano fonda la prima impresa edilizia familiare. Sventra la Palermo dei vecchi quartieri spagnoli e la ricostruisce intorno a via Roma. Genera quattro figli maschi: Ignazio, Francesco, Vincenzo, Saverio i quali si spostano nella capitale d’Italia. 

Ignazio è il padre di Gaetano, Camillo e Francesco, il quale si chiama Bellavista-Caltagirone perché nasce da una relazione extraconiugale e solo dopo viene riconosciuto. Dal vecchio Francesco nascono Francesco Gaetano, detto Franco, Edoardo e Leonardo. I figli di Ignazio amano tutti la ribalta, l’ ostentazione, la pubblicità. I cugini, Francesco Gaetano in testa, se ne stanno in disparte e tessono la loro trama di affari e potere che diventa sempre più fitta con il primo centrosinistra. Loro, da sempre legati alla Dc romana impregnata di acqua santa e incenso, saranno i protagonisti della grande espansione.

Corre l’anno 1962. I socialisti costringono i democristiani a varare un imponente piano regolatore generale che promette case, impianti, infrastrutture, insomma, un boom edilizio su scala ancor più vasta rispetto al periodo della ricostruzione post-bellica. Franchino, come allora lo chiamavano, insieme ai fratelli Edoardo e Leonardo, decide di riprendere il mestiere avviato dal nonno interrotto negli anni ’40 dalla prematura morte del padre. Contatta il cugino Gaetano, architetto, che aveva ben avviato una fiorente attività di costruttore. E’ lo stesso Gaetano, amico di vecchia data di Giulio Andreotti, che apostrofava Franco Evangelisti con la mitica locuzione “a Fra’ che te serve”. Il piano regolatore non passa in consiglio, viene firmato da un commissario e rimane sulla carta come i tanti libri dei sogni del centrosinistra. Ma i Caltagirone realizzano 200 complessi immobiliari di 800 edifici, ben 3,3 milioni di metri quadri il cui valore oggi potrebbe essere stimato attorno ai 15 miliardi di euro.

Franchino diventa Franco, si espande e, insieme a Edoardo, è il socio di maggioranza. Intanto, i debiti aumentano, c’è il terremoto degli anni ’70 e per Gaetano e il fratellastro Francesco Bellavista, arriva il crack, il fallimento, il tentativo di salvataggio con l’Italcasse, la banca pubblica che finanziava la Dc. Poi un tunnel lungo undici anni, che passa accanto all’intrigo Imi-Sir poiché Bellavista sposa Rita Rovelli, uno delle mani più appetite (e appetitose) nella ricca società romana, figlia di Nino, il capo del gruppo chimico fallito, sostenitore di Andreotti che lo sostiene. Nel 1991 la vicenda giudiziaria finisce con il proscioglimento dalle accuse. 

Intanto, le strade dei Caltagirone si separano. Gaetano va all’estero, tra Montecarlo e New York. Francesco Bellavista si lancia nei grandi alberghi. Franco ed Edoardo si rimboccano le maniche. E nel 1983 colgono l’occasione per il primo balzo in avanti. Lo Ior, Istituto per le opere di religione, guidato dal cardinale Paul Marcinkus, deve far cassa per rimborsare i debiti del Banco Ambrosiano. E mette in vendita la Vianini, specializzata in grandi lavori (acquedotti, autostrade, ferrovie, metropolitane). Caltagirone la compera, la risana e tre anni dopo la colloca in borsa. Ormai è uscito dall’ombra dei pini di Roma. 

Il vero salto avviene nel terribile 1992, l’anno in cui, con il crollo della lira finisce anche la prima repubblica. Il governo Amato comincia a vendere pezzi dell’Iri. La Cementir è una delle prime aziende a essere messa sul mercato e se l’aggiudica proprio Caltagirone. La massa critica del gruppo si moltiplica per tre, ma, arrivati nei piani alti del capitalismo, i fratelli cominciano a litigare. A metà anni ’90 Franco prende le redini, unisce le proprie quote a quelle del cugino Gaetano nella Finanziaria Italia, holding che controlla il 51% della Caltagirone spa alla quale fanno capo tutte le altre società. 

I giornali arrivano uno dopo l’altro a partire dal 1996. Il vecchio ordine politico è crollato, il nuovo stenta a nascere. Antichi sodalizi si sono dissolti, i nuovi sono ancora fluidi. Francesco Gaetano, ormai chiamato l’Ingegnere, sa che finirà sotto i riflettori; ma anche lui che preferisce attendere l’occasione propizia, adesso deve giocare d’anticipo. Sul mercato c’è Il Tempo della famiglia Angiolillo. Dopo l’uscita di Gianni Letta, direttore e amministratore, è in caduta libera, basta levare la mano per raccoglierlo. Caltagirone lo prende, ma solo per pochi mesi: si accorge di aver fatto un errore e lo rivende immediatamente a Bonifaci, per puntare sul primo quotidiano della capitale. Il Messaggero era finito tra le macerie del crollo Ferruzzi-Montedison ed era senza dubbio una preda ben più ambita. In quello stresso anno acquista Il Mattino di Napoli creando il nocciolo duro di un vero e proprio gruppo editoriale al quale si aggiunge la free press (Leggo) e altri quotidiani locali come quello di Lecce, il Corriere Adriatico e nel 2004 il Gazzettino. Il quotidiano veneto porta Caltagirone al primo impatto con il nord-est, i suoi pregiudizi antiromani, lo snobismo di una vecchia borghesia da morte a Venezia e gli artigli dei nuovi imprenditori che guardano a est e soffrono i cinesi. 

Bellavista, invece, continua a coltivare le sue relazioni nei ben più placidi salotti romani. A cominciare dal numero uno, quello di Maria Angiolillo, la vedova dell’editore. Tra i suoi amici ci sono Marcello Dell’Utri, Sergio D’Antoni, Marcello Pera, l’ex comandante della Finanza Roberto Speciale, l’ex presidente di Confcommercio Sergio Billè; insomma, il catalogo è questo. C’è anche Claudio Scajola soprattutto per i lavori in quella che una volta veniva chiamata la “sua” Imperia. Chiunque balzi alla ribalta, trova in Francesco Bellavista Caltagirone una sponda. Presta i suoi aerei privati a Gianpiero Fiorani e usa una società delle Isole Vergini, la Maryland, per aiutarlo a scalare l’Antonveneta. Mentre il cugino, l’Ingegnere, guida il contropatto nella Bnl attaccata da Unipol. E’ il 2005 e non si capisce da dove Bellavista possa far saltar fuori tutti quei quattrini. La sua società, infatti, sembra marcia di nome e di fatto. 
 Quando l’aveva rilevata nel 1994, era forte soprattutto nell’immobiliare.

Negli anni, Francesco diversifica e internazionalizza. Soprattutto la proprietà che si perde tra Lussemburgo e Malta, dove c’è l’ultima scatola, l’oscura Ignazio Caltagirone Trust. Anche lui si getta nelle infrastrutture: oltre al porto di Imperia, arrivano i lavori per la costruzione dei porti di Fiumicino e Siracusa. E poi il business dei servizi di terra in aeroporto, con le controllate Ata Handling e Ali: dalla gestione dell’aeroporto privato di Linate a Malpensa, Bologna, Catania, Venezia. Comprensibile che un imprenditore così esposto verso la politica e interessato al settore aereo nel 2008 faccia parte dei patrioti dell’Alitalia con l’1,77 per cento.

L’edilizia non è un pranzo di gala. Ma Bellavista si è mosso sempre sul sottile crinale tra miseria e nobiltà. A Milano la magistratura ha sequestrato un’area di 300 mila metri quadri di proprietà dell’Acqua Marcia e della Residenza Parchi Bisceglie. Quei terreni, dove si stavano costruendo alcuni palazzi, erano niente altro che una discarica bonificata (secondo l’accusa) solo in parte. L’altro Caltagirone, come lo chiamano i giornali, controllava anche alcuni degli alberghi più esclusivi d’Italia, in Sicilia: Villa Igiea e Des Palmes, a Palermo, il San Domenico a Taormina, l’Excelsior di Catania. Il Molino Stucky di Venezia è il pezzo pregiato, il più grande albergo 5 stelle della laguna. 

E adesso? Probabilmente finirà tutto in spezzatino per pagare i debiti. Francesco Bellavista è caduto e risorto molte volte, ma a 74 anni è difficile ricominciare, anche se le accuse si dissolvessero come bolle di sapone. Le strade si sono troppo divise perché possa fare appello alla famiglia. L’eterno outsider, oggi come oggi, sembra proprio out.

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